Umorismo ebraico 4

Umorismo ebraico 4 – Introduzione

 

«Se vuoi far ridere Dio,
parlagli dei tuoi progetti».

Woody Allen
(da un proverbio yiddish)

Umorismo ebraico 4 – Con una chiave
di lettura differente bisogna invece
intendere alcuni testi biblici
che mettono a confronto ebrei
e non ebrei
sul problema dell’idolatria:
l’umorismo diventa scherno
e denigrazione
allo scopo di rafforzare
la fede del lettore.

Nella Bibbia (1 Re 18,27)
il profeta Elia
propone ai profeti di Baal
di invocare un fuoco dal cielo
che accenda l’altare del sacrificio.
Il loro dio non si manifesta
ed Elia comincia a farsi beffe di loro:
«Gridate con voce più alta,
perché certo egli è un dio!
Forse è soprappensiero
oppure indaffarato
o in viaggio;
casomai fosse addormentato,
si sveglierà!».

Umorismo ebraico 4

Oltre che nella Bibbia e nel Talmud,
è soprattutto nell’universo chassidico
che sono nate molte storielle
più o meno buffe.
I maestri chassidici divennero celebri
per le battute sagaci
che i loro discepoli
si sono tramandati
di generazione in generazione.

Spesso chi le ascolta
fatica a decidere
se classificarle come
«storielle umoristiche»
o come «insegnamenti chassidici».
Forse si tratta di insegnamenti
attraverso l’umorismo:
insegnamento di un morale
o critica
di determinati comportamenti.

Il rabbino Levi Itzchak di Berdičev,
vedendo un uomo con indosso
lo scialle da preghiera
e i tefillin (in italiano “filatteri”:
strisce di cuoio che gli ebrei
indossano sul braccio sinistro
e intorno al capo
durante la preghiera del mattino),
intento a cambiare
la ruota del suo carro,
si rivolse a Dio e gli disse:
«Signore del mondo, guarda
quanto sono straordinari i tuoi figli!
Anche quando
si occupano di questioni profane,
indossano i loro abiti da preghiera!».

L’insegnamento è semplice e chiaro,
e riassume in sé una filosofia
improntata all’amore per il prossimo
e il modo relativo tramite cui
si può guardare e comprendere
il mondo.

***

Umorismo ebraico 4 – Invece di cadere
nella facile trappola della critica
e accusare l’uomo
di occuparsi di cose profane
durante la preghiera,
il rabbino capovolge la prospettiva
rendendo la situazione
bella e luminosa:
anche nelle situazioni profane,
l’uomo rimane immerso
nella sua relazione con Dio!

L’universo chassidico
si è specializzato
in questi capovolgimenti
di prospettiva e di formulazione
che ritroviamo anche
nell’umorismo in generale,
anche se con uno spirito
totalmente diverso.

«Una coppia ha un tenore di vita
piuttosto alto:
secondo alcuni, lui,
avendo messo via
un bel po’ di soldi,
avrebbe un bel materasso;
secondo altri, lei,
avendo un bel materasso,
avrebbe messo via
un bel po’ di soldi»
(citato da Sigmund Freud
ne Il motto di spirito).

Umorismo ebraico 4

Uno degli aspetti centrali
dell’umorismo ebraico
riguarda la lingua
con cui sono raccontate le storie.

Certamente la maggior parte
delle storielle ebraiche
nasce in yiddish
e si diffonde negli shtetl
(piccoli villaggi
a prevalenza ebraica).

Lo yiddish è una lingua
nata in Lotaringia nel X secolo
ed evolutasi su basi proprie
come lingua di fusione
integrando progressivamente
diversi altri idiomi,
dall’ebraico al la’az lotaringio
(una lingua romanza ebraicizzata)
dall’alto-tedesco medio
alle lingue slave.

Valga come esempio
quello proposto da Max Weinreich
in History of the Yiddish language:
«Nokhn bentshn
hot der zeyde
gekoyft a seyfer»,
«Dopo la benedizione
che segue il pasto,
il nonno ha acquistato
un libo religioso».

Questa frase
contiene le seguenti parole:

Seyfer, che significa «libro»
e proviene dall’ebraico:
Bentshn, «benedizione»,
che è di origine romanza;
Nokhn (dopo), hot (ha),
der (il), gekoyft (comprato),
che provengono dal tedesco;
Zeyde, «nonno»,
che è di origine slava.

***

Umorismo ebraico 4 – Lo yiddish
si è affermato solo
a partire dal XV secolo,
quando gli ebrei
emigrarono in Europa orientale:
Polonia, Galizia, Ungheria,
Romania, Russia.
In quei luoghi,
la loro vivacissima lingua
prese in prestito
nuove locuzioni,
adattandosi spontaneamente
alla strada e al mercato.

«Per molto tempo,
lo yiddish venne assimilato
al Medioevo più oscuro.
Svariate sono le similitudini:
lingua del passato, detestata,
gergo malfamato
lingua senza grammatica
e senza regole,
repellente, antiestetica,
e le parole per denigrarlo
sempre le stesse:
cascami, spazzatura,
sporcizia, cencio, bastarda,
concubina, megera, suocera…

Alla fine del XIX secolo
ci fu un’inversione di tendenza
e si cominciò
a considerare lo yiddish
una lingua nazionale
a pieno titolo.
Nel 1908 a Czernowitz
si tenne una conferenza
sulle lingue
e lo yiddish venne adottato
come una delle lingue nazionali
del popolo ebraico»
(Régine Robin, «Le yiddish,
langue fantasmatique?»,
in L’Ècrit du temps,
n. 5, 1984, Parigi).

Umorismo ebraico 4

Scrive Leo Rosten,
autore di Joys of Yiddish,
nella prefazione:

«Penso che lo yiddish
sia una lingua
di eccezionale fascino.
Come un monello di strada
che ne ha viste di tutti i colori,
lo yiddish è brillante,
audace, malizioso.
Ha dimostrato immense risorse,
una flessibilità ancora più immensa
e una formidabile volontà
di sopravvivenza…

Lo yiddish si presta
a una straordinaria gamma
di sfumature
e sottigliezze psicologiche.
Impregnato di sentimento,
lo yiddish si sciacqua
nel sarcasmo.
Ama il rimuginio,
perché riposa
su un triste passato;
privilegia il paradosso,
perché sa che solo il paradosso
può rendere giustizia
alle ingiustizie della vita;
adora l’ironia
perché l’unico modo
per gli ebrei di conservare
la salute mentale
era guardare il mondo terribile
con gli occhi
sardonici e caustici.

Nel profondo del suo cuore,
lo yiddish oscilla
tra lo schmaltz
(l’eccesso di sentimentalismo)
e la derisione».

***

Umorismo ebraico 4 – Tutta
la forza di questa lingua
è presente nell’ebraismo ebraico:
anche in traduzione,
la musicalità dello yiddish
resta intatta,
sia nelle costruzioni,
sia nei personaggi,
che ci suggeriscono
l’accento naturale
quando cominciano a raccontare.

Lo yiddish è già di per sé
una parodia,
e l’accento è una parodia
della parodia…

Alcune di queste storielle ebraiche
suscitano lo stesso riso sgangherato
di certe storielle salaci
che riescono a provocare l’ilarità
con poco o nulla.
Di altre si percepisce
a malapena
la sottile vena ironica.

Un giorno qualcuno domandò
al celebre musicista Isaac Stern
perché avesse deciso
di dedicarsi al violino.
La sua risposta fu che,
in caso di pogrom
(termine russo che indica
le esplosioni di violenza antisemita
tipiche dell’era zarista),
il violino sarebbe stato
più facile da trasportare
rispetto a un pianoforte.

L’umorismo ebraico
è una confessione pubblica,
una serie di memorie che raccontano
il percorso degli ebrei
nel mondo degli altri uomini,
archivi esilaranti
della piccola storia dei ghetti
e dei mellah (quartiere ebraico
delle città arabe),
dei vicoli sudici, bui o assolati,
di Cracovia e Marrakesh.

Umorismo ebraico 4

Storia «piccola», dicevamo,
ma più incisiva e rivelatrice
della Storia ufficiale,
e suscitata dall’esigenza interiore
di raccontare a se stessi
la vecchia e lunga avventura
degli ebrei nel mondo.

Poiché si sottopone
incessantemente
alla satira e allo sberleffo,
l’ebreo non teme
la franchezza brutale,
eppure non giunge mai
al cinismo.
Dietro le critiche
lucidissime e finanche feroci,
l’ebreo conserva intatta
una sorta di profonda pietà
per se stesso e per tutta
quell’umanità ebraica
che pure ridicolizza
senza tregua.

Alternando uno spirito corrosivo
a una tenera indulgenza,
queste buffe e talvolta
meno buffe storielle
disegnano i profili
di tutti i personaggi
della vita ebraica,
dalla yiddishe mame
(la mamma ebrea)
al rabbino miracoloso,
dai mendicanti burloni
agli psicanalisti,
dai futuri suoceri
in cerca di futuri generi
agli autisti
di autobus di Gerusalemme…
fino al personaggio principale
di tutte le loro vicende.
Dio in persona!
Dio e la sua fedele compagna:
la religione.
Dio e le creature infedeli,
che si ribellano
e non smettono mai
di fare domande…

Ma l’umorismo ebraico
non è altro, in fondo,
che un lungo lamento!
È uscito dalle viuzze ebraiche
per andarsene a spasso
nelle grandi avenue di New York
o nei buolevard di Parigi.

***

Umorismo ebraico 4 – Un tempo
le storielle ebraiche
venivano raccontate in yiddish,
in giudeo-arabo,
o in giudeo-spagnolo.

Oggi noi rappresentiamo
la seconda generazione
di questo umorismo
e raccontiamo queste storie
in inglese, in francese o in italiano,
mantenendo inalterato quell’accento
che è la nostra memoria
più vicina e profonda.

La terza generazione
le racconterà senza accenti,
precisando però,
prima di ogni storiella,
come un sottotitolo:
Da raccontarsi con l’accento!
O forse inventerà un nuovo umorismo
che sarà ancora, a modo suo,
lo specchio di un popolo…

In ogni caso,
come dice Woody Allen…
«Se Dio non esiste,
io ho pagato troppo cara
la mia moquette!».

Marc-Alain Ouaknin, «E Dio rise.
La Bibbia dell’umorismo ebraico
da Abramo a Woody»,
pubblicato per Libreria Pienogiorno
da FullDay Srl, Milano, 2021,
pp. 28-34.

Foto: Copertina di «E Dio rise» /
pienogiorno.it

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