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Tangerinn

Tangerinn,
romanzo d’esordio di Emanuela Anechoum

 

Quella tensione tra radici e libertà
La storia della donna è un mosaico
di ambientazioni che spaziano
da Londra alla Calabria fino a Casablanca.

Nella sua fuga, non trova se stessa,
ma rinuncia alla propria identità
in nome di un’accettazione superficiale

Tangerinn
Mina, la
trentenne protagonista
di Tangerinn,
abita a Londra

perché sentiva
il suo paese di origine
nel Sud d’Italia
come un indumento
troppo stretto.

Aveva bisogno
di evadere, scoprirsi.

«Nel
tentativo spasmodico
di sentirsi finalmente
“giusta”»,

si trasferisce
nella capitale inglese,

dove conduce
una vita finta,
composta
da una continua
imitazione della sua
coinquilina Liz,

che ha un evidente
disturbo alimentare
e un’attitudine woke
molto performante:

«Era molto brava
a maneggiare
la bellezza»,
come se
quella vera possa
essere «maneggiata».

«La sua vita
era diventata
il righello con cui
misuravo la mia»,

dice Mina
dell’amica vampiresca.

La ricerca
di approvazione altrui
le immobilizza l’essere.

***

Tangerinn
(Roma, e/o, 2024,
pagine 256, euro 18)
è il romanzo di esordio
di Emanuela Anechoum.

Si è da poco
aggiudicato il Premio
Mastercard
per il migliore romanzo
scritto da un esordiente.

Nata a Reggio Calabria
nel 1991, è figlia
di padre marocchino
e madre italiana:

queste radici
le permettono di compiere
un viaggio molto personale
all’interno dei temi
dell’identità
e del senso di appartenenza.

«Quelli come te
che hanno
due sangui diversi
nelle vene,

non trovano mai
riposo né contentezza;

e mentre sono là,
vorrebbero trovarsi qua,
e appena tornati qua,
subito hanno voglia
di scappar via…

ma in realtà
inseguirai soltanto
le sorti diverse
che si mischiano
nel tuo sangue»,

così Elsa Morante,
ne L’isola di Arturo
citata in esergo
e vera password
del romanzo.

Tangerinn

La sua storia
è un mosaico
di ambientazioni

che spaziano
da Londra
alla Calabria,
fino a Casablanca.

Nella sua fuga Mina
non trova sé stessa,
ma rinuncia
alla propria identità
in nome di
un’accettazione superficiale.

La morte improvvisa
del padre Omar
segna una svolta
nel racconto,

costringendola
a tornare
nel paese natale.

Questo ritorno
diventa un
confronto inevitabile
con il passato,
la famiglia
e le proprie radici.

La figura di Omar,
proprietario del bar
Tangerinn,
emerge come un simbolo
della condizione migratoria:

un uomo che cerca
di creare una comunità
in una terra che
non lo accetta del tutto,

incarnando
sia l’accoglienza
che l’alienazione.

Per Mina, però,
Omar è soprattutto
un mistero, un padre
che non ha mai compreso
fino in fondo,

e il cui ricordo
si mescola
a rimpianti
e domande irrisolte.

Il rientro di Mina
per i funerali
si rivela una vera
e propria «restanza»,

una permanenza
che rinuncia
a recidere il legame
con la propria terra
e comunità d’origine,

e non per rassegnazione,
ma per volontà precisa.

Mina resta in quel luogo
«dove nessuno sembra
essere al suo posto».

Lì ritrova la famiglia,
gli amici
e soprattutto
i ricordi del padre,

questo mitico,
inafferrabile,
eterno migrante.

***

Tangerinn
Un tema centrale
di Tangerinn
è, dunque,
la tensione
tra radici e libertà.

Mina e la sorella Aisha
rappresentano
due modi opposti
di affrontare l’identità
e il legame
con la propria cultura.

Aisha,
rimasta a casa,
ha accettato la propria
appartenenza,

mentre Mina
l’ha rifiutata,
scegliendo la fuga.

Tuttavia,
nel corso della narrazione,
Mina arriva a interrogarsi
se la sua idea di libertà
non sia essa stessa
una forma di prigionia.

Il confronto con Aisha
è senza limite.

Mina riflette
sulla complessità
delle scelte

e sulla necessità
di riconciliarsi
con il proprio passato
per trovare un equilibrio.

Tangerinn

Il risentimento
della protagonista
del romanzo

è dovuto al fatto
che Aisha sia riuscita
a resistere
– e quindi a esistere -,

mentre lei
ha ammesso
la propria sconfitta,
scappando.

Mina capisce
che non esiste
libertà senza radici,

e che
la gabbia arrogante
in cui si è rinchiusa

è più insidiosa
di quel carcere
che lei attribuisce
al fatto di indossare
un hijab.

Dirà ad Aisha:
«Sono migliore di te
perché sono libera».

Ma nel dirlo
sarà costretta
a guardarsi
allo specchio

e chiedersi
se la ricerca di
una libertà assoluta
non sia in sé
una prigione invisibile.

Aisha le risponderà:
«La libertà non esiste,
esiste solo scegliere
le proprie gabbie».

***

Tangerinn
Uno degli aspetti
più riusciti
del romanzo
è la capacità
di Anechoum

di descrivere
i legami affettivi
attraverso
dettagli evocativi,
intimi
e a volte struggenti.

La scrittura cattura
la bellezza e la fragilità
delle relazioni umane
con una delicatezza
che emoziona:

dalla nonna
che cucina
polpette di melanzane
per la famiglia,

ai giochi a ramino
con Omar,

fino al rapporto
con Nazim,
un uomo che ama
e accetta Mina
per ciò che è.

E poi
scopriamo
la mamma di Mina,
chiamata
semplicemente
col suo nome, Berta:

perennemente triste,
si isola
dal mondo esterno,
rifiutandosi di vivere
e di essere una mamma.

La Anechoum
ha avuto bisogno
di creare
questo personaggio

così atipico per essere
una madre del Sud,
del tutto fuori
dagli stereotipi.

Ne aveva bisogno
per liberare le tensioni
di Mina
e farle esplodere.

Ma
di questo personaggio

– che genera
scene felliniane
e commoventi
come quelle del funerale
del marito Omar –

resta
l’«odore che emanava»,
traccia persistente
di sensibilità.

***

Tangerinn
È proprio il
coinvolgimento dei sensi
che conferisce al romanzo
una forte dimensione emotiva.

Come accade
nelle ambientazioni,
punto di forza del romanzo.

Anechoum riesce
a rendere tangibili
i luoghi descritti,

trasportando il lettore
dalla frenesia di Londra
ai profumi e ai colori
di Casablanca

passando dalla periferia
del suo paese natale
sul mare.

Ogni luogo
diventa un simbolo
delle scelte e
dei conflitti interiori
dei personaggi,

arricchendo il racconto
di significati metaforici.

Che cosa significano
i luoghi
che scegliamo di abitare?

Ma, soprattutto,
cosa significano

i luoghi
che scegliamo di lasciare,
quelli
che scegliamo di abitare,
e quelli nei quali
decidiamo di restare?

Tangerinn

Non manca
la tridimensionalità
religiosa,
parte indispensabile
della «restanza».

Struggenti
le parole sulla fede
del padre Omar,
che trovano eco
nelle parole di Aisha:

«Non so se Dio esista,
ma mi piace parlarci.
Lui perdona sempre,
capisce sempre.

È come parlare
con la parte di me
più gentile.

Nessuno
ci ha insegnato
a volerci bene –
questo è l’unico modo
che conosco».

***

Tangerinn
Un elemento
interessante
ma problematico

è la scelta
di alternare
la narrazione principale
alla ricostruzione
della vita di Omar.

Attraverso
una voce narrante
in seconda persona,

Mina ripercorre
la storia del padre,
dall’infanzia
in Marocco
all’emigrazione
in Italia.

Ma questa onniscienza
è incongrua
rispetto al suo
dichiarato rimpianto
di non averlo mai
veramente conosciuto,

creando una tensione
non sempre risolta,
ma forse irresolubile.

***

Tangerinn
Dominano l’intreccio
dei fili del romanzo
le parole folgoranti
che leggiamo
nelle pagine finali

e che danno
il senso delle relazioni,
e forse della stessa vita:

«L’amore è un lavoro.

Impari
ad amare le persone
quando cambiano,
quando ti deludono,
o quando ti sembrano
sconosciute ed estranee

– nel peggiore dei casi,
impari ad amarle
anche quando non le ami.

Gli occidentali
hanno questa idea di sé
talmente narcisistica
da pensare che la persona
che scegliamo di amare

debba essere fatta
apposta per noi,
per meritarsi
un tale impegno
da parte nostra.

Ma non è vero.
Nessuno è speciale.

E tutti meritiamo
di essere amati.

Quindi ama,
dico io,
e non ti lamentare».

Antonio Spadaro,
«Quella tensione
tra radici e libertà», in
“L’Osservatore Romano”,
giovedì 2 gennaio 2025,
p. 11.

Foto: Tangerinn
di Emanuela Anechoum /
illibraio.it

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