Sir 3,17-20.28-29 – XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Il Siracide e la sua redazione
Sir – La I lettura è tratta
dal libro del Siracide.
Databile intorno al II secolo a.C.,
è il più voluminoso
dei testi sapienziali
accolti nel canone biblico.
Si ritiene che il libro sia stato redatto
all’inizio in ebraico
a Gerusalemme verso il 190 a.C.,
e, successivamente, tradotto in greco
nel 132 a.C. in Alessandria d’Egitto
dal nipote dell’autore.
Fino allo scorcio dell’Ottocento, tuttavia,
il libro era noto solo nella versione greca.
Ma dalla fine del secolo scorso,
grazie ai manoscritti scoperti al Cairo,
e successivamente in Israele a Qumran e
a Masada, è stato possibile ricostruire
il testo originario ebraico per due terzi.
Precisamente a causa dell’adozione del testo greco,
rispetto all’originale ebraico, il nostro libro
non è entrato nel Canone delle Scritture sacre
degli Ebrei e, in seguito, dei protestanti,
ma solo in quello cattolico.
Autore
Il nome completo dell’autore,
secondo l’originale ebraico, era
«Simone, figlio di Gesù, figlio di Eleazaro,
figlio di Sirach» (Sir 50,27),
donde l’appellativo Ben Sirach o Siracide,
attribuito anche all’opera.
L’autore risulta residente a Gerusalemme,
e appare uomo colto e ben radicato
nelle tradizioni religiose e sapienziali
dell’antico Israele;
mentre invece risulta meno aperto
a recepire le istanze e gli stimoli culturali
provenienti dagli ambienti ellenistici.
I suoi interessi spaziano
dalla vita sociale all’ambito familiare,
dal lavoro all’educazione dei giovani,
senza disattendere tematiche
più strettamente attinenti alla fede,
come l’osservanza della legge,
la giustizia divina e la questione del male.
Sir – Il nostro testo
La I lettura (Sir 3,17-20.28-29)
è composta da due blocchi di vv:
il primo (vv.17-20) ha per tema l’umiltà,
e la lotta all’arroganza e alla presunzione.
Il secondo blocco, invece, ha per tema,
al v. 18, la docilità, indispensabile
al fine di ottenere la sapienza,
mentre a partire dal v. 19
è di scena un’altra virtù, la carità,
che si esprime praticamente nell’elemosina.
Conseguentemente,
siamo davanti a una manciata di versetti,
sei, in tutto, legati pertanto artificialmente,
e che rendono assai difficile capire
e commentare il testo,
salvo leggerlo nel suo contesto.
Ovviamente il tempo non permette
questa lettura, e perciò mi limito
strettamente al nostro testo.
Sir – La vera grandezza è l’umiltà
Sir 3,17 – La I lettura
si apre con l’appellativo «figlio»,
un’espressione ricorrente in tutta la Bibbia
(una ventina di volte nel libro del Siracide).
Questa espressione,
nel linguaggio sapienziale,
crea un rapporto di familiarità.
Essa permette il travaso di saggezza,
dalla persona che la possiede
(metaforicamente il “padre”),
alla persona che la riceve
(metaforicamente il “figlio”).
In effetti, l’istruzione sapienziale,
da parte del maestro nei confronti
dei suoi discepoli, è paragonata
al processo generativo (v. 17):
chi istruisce è come un padre
che genera e dà vita al figlio.
Il sapiente, nel nostro testo,
si rivolge al discepolo con tono paterno,
esortandolo a compiere le sue opere,
lasciandosi ispirare dalla mitezza
e non dall’arroganza o dalla superbia.
Nel testo ebraico
il testo è leggermente differente:
«nella ricchezza cammina con modestia».
Il senso cambia poco, però:
nella vita ordinaria
o nell’abbondanza di risorse,
si consiglia di evitare di assumere
un atteggiamento spocchioso
e sprezzante verso gli altri.
La modestia è lo stile
che deve improntare la vita
di chi si sforza di apprendere la sapienza.
La docilità è più apprezzata della generosità,
perché la liberalità può anche essere esercitata
al fine di un tornaconto personale
(nel testo ebraico si fa riferimento all’uomo
«che dona regali»), mentre la mansuetudine
non pretende ricompensa.
Infatti, l’umile non cerca gloria,
né ambisce ai riconoscimenti
da parte degli uomini;
sa, invece, di trovare grazia
agli occhi del Signore (Sir 3,18).
La grandezza autentica, infatti,
non consiste nell’innalzarsi sugli altri,
ma nell’abbassarsi al cospetto di Dio
e del prossimo.
Sir – La preferenza di Dio
Gli uomini orgogliosi e superbi sono numerosi;
si prodigano al fine di essere riconosciuti
e apprezzati e hanno la pretesa di ergersi sugli altri.
Le loro velleità s’infrangono, però,
contro la scelta di Dio, che preferisce
manifestare la sua volontà ai miti,
a coloro che non hanno la pretesa
di sostituirsi a lui, a causa di un ego
smisurato e tracotante, ma confidano in lui
e da lui si lasciano istruire e guidare (Sir 3,19).
Secondo il testo ebraico,
la condiscendenza divina,
nei riguardi degli umili,
è connessa alla sua bontà misericordiosa.
Nel testo greco, invece, si fa riferimento
alla potenza del Signore,
oggetto di glorificazione da parte degli umili.
Comunque, si tratti di compassione
o di potenza, l’enfasi è posta soprattutto
sull’atteggiamento reverenziale degli uomini
nei riguardi di Dio: non s’insuperbiscono
dinanzi a lui, ma ne hanno timore, nel senso che
lo riconoscono come Creatore e Signore (Sir 3,20).
Sir – Un cuore saggio
Superbo è colui che ha un cuore ostinato
(cf. vv. 26.27, non riportati dal nostro testo)
e per lui non c’è alcun rimedio,
perché si lascia accecare
dal peccato dell’orgoglio (Sir 3,28).
La sua condizione è certo biasimevole:
l’arrogante non pone la sua fiducia
e il suo vanto in Dio,
ed è destinato perciò alla perdizione.
Il peccato di presunzione
è ben radicato in lui: è la pianta del male,
che produce frutti di malvagità e perversione;
è autoreferenziale e non accetta la correzione,
che potrebbe, invece, rivelarsi benefica.
Ad esso si contrappone il «cuore sapiente»,
che medita («comprende» nel testo ebraico)
i proverbi, nei quali è sedimentata
la saggezza tradizionale d’Israele
a causa della quale è possibile vivere
con rettitudine e sincerità
al cospetto di Dio (Sir 3,29).
Il desiderio del saggio, perciò,
non è di autocompiacersi,
ma di tendere l’orecchio
al fine di prestare ascolto
alla parola del Signore.
E ciò soprattutto per due motivi:
evitare di cadere nelle trame del peccato,
e agire secondo giustizia.
Foto: Violette / giardinaggio.it