Seconda caduta. Settima stazione. Tra solitudine e attesa
Via Crucis del malato – Cammino di speranza
Seconda caduta. È anche l’attesa che mi logora.
In genere è infatti l’attesa che si mangia gran parte del mio tempo.
Attesa tormentosa dei risultati di quell’esame
che sembra non arrivino mai.
Inoltre le ragioni che mi vengono fornite
hanno quantomeno l’aria di puerili pretesti
al fine di nascondermi la verità.
Ancora. Attesa della medicina che compia il miracolo,
o faccia almeno sparire il dolore.
Attesa del medico,
che però oggi sembra non possa venire,
a quanto mi dicono.
Poi attesa di quel favore che ho implorato con insistenza,
ma probabilmente hanno dimenticato la mia richiesta,
figurarsi, con tutto quello che hanno (o non hanno) nella testa…
Infine attesa di quella visita.
E arrivano tante visite,
per i motivi più diversi,
meno quella che desidero veramente io,
e che mi sento in diritto di pretendere.
Ancora. La porta che rimane ostinatamente chiusa.
Il telefono che non squilla,
o, quel che è peggio,
squilla per farmi sentire voci e messaggi
che preferirei non ascoltare.
La posta che mi recapita cose banali,
da buttare subito nel cestino,
senza degnarle di uno sguardo.
Ugualmente, attesa di qualcuno che mi ascolti,
e non stia soltanto a sentirmi
con malcelata sopportazione.
Attesa che cessi quel rumore che mi spacca la testa,
tacciano quelle voci,
il vicino spenga finalmente il televisore.
E infine, attesa che diventa una tortura durante le notti d’insonnia,
quando ho l’impressione che,
per una congiura malvagia,
abbiano bloccato
o rallentato fino all’esasperazione tutti gli orologi.
Seconda caduta. Non succede comunque assolutamente nulla.
Tutto prevedibile,
e non certamente piacevole.
Manca infatti l’elemento sorpresa.
Inoltre manca il gesto dettato dalla fantasia.
Conseguentemente, senso di frustrazione
derivante dalle attese regolarmente deluse
e dalla solitudine che mi assedia.
Ho quindi la sensazione
che si dilati attorno a me uno spazio desertico
che impedisce i contatti,
taglia le comunicazioni,
impedisce i rapporti.
Inutile però piangermi addosso.
Devo perciò rialzarmi da questa situazione penosa di abulia,
inedia, disincanto, tedio.
Non posso infatti continuare ad aspettarmi le novità dagli altri.
Bisogna sia io a far succedere qualcosa di nuovo,
di bello,
cavandolo da dentro di me.
Occorre soprattutto ritrovi il mio miglior amico:
me stesso.
Oserei dire che sarebbe opportuno
tentassi di stabilire un rapporto pacifico col mio male,
gli parlassi amichevolmente,
stabilissi con esso una buona relazione.
Nessun cedimento,
beninteso,
ma neppure ostilità pregiudiziale.
Inutile ignorarlo e tenergli il muso.
Soprattutto è necessario
riscopra quella Presenza abituale,
anche se invisibile.
Lui certo c’è:
discreto, partecipe, insostituibile.
Lui sa soprattutto cosa si prova.
Perché anche Lui è «caduto» nella solitudine
e nell’abbandono più totale.
Preghiera
Quante volte, Signore,
piagnucolo: «Nessuno mi capisce…».
E non mi rendo conto che,
dicendo così,
faccio torto a Te.
Tu comprendi veramente la mia delusione,
le mie attese vuote.
Sai cosa vuol dire sentirsi soli
anche se circondati da molte persone.
È inevitabile.
Nessuno di coloro infatti che mi stanno accanto,
anche se lo vorrebbero sinceramente,
riescono a «entrare» nel mio dolore.
Rimangono necessariamente sulla soglia.
Nessuno,
neppure la persona che mi ama,
e che amo più di ogni altra,
ha la capacità di capire cos’è la mia sofferenza
e di che cosa è fatta.
Nessuno all’infuori di Te.
Che,
proprio perché comprendi,
taci.
Precisamente perché sei vicino,
non ti fai notare,
sembri addirittura assente.
Signore, tendimi la mano.
Rendimi consapevole
che soltanto quando accetto serenamente la solitudine
non sono solo.
Amen.
Alessandro Pronzato, Via Crucis della Speranza. Tre itinerari,
Gribaudi Editore, Milano 1995, pp. 33-35.
Foto: Disegno a matita di Salomoni Fausto