Santissima Trinità

Santissima Trinità – Dt 4,32-34.39-40 – Anno B

Santissima Trinità. 1. La festa della Santissima Trinità
è come una festa di sintesi,
che vuole riportare tutti noi alla «fonte»
da cui origina la multiforme storia della nostra salvezza.

Dovendo la Liturgia celebrare i vari aspetti del mistero cristiano,
essa li scagliona lungo tutto l’arco dell’anno: alla fine, però,
abbiamo come tanti frammenti di un immenso disegno
che rischia di sfuggirci nella sua orditura di fondo.

Lo stesso mistero pasquale fa parte di un disegno più vasto
e trascendente, e non si capisce
se non rapportato ad una «fonte» primordiale,
da cui esso pure trae la sua origine.

Orbene, la «fonte» di tutta l’economia salvifica
è precisamente la Santissima Trinità.

Dante, nella sua sensibilità cristiana
e nella sua altissima intuizione artistica,
non ha avuto torto quando,
alla conclusione della sua avventurosa
peregrinazione simbolica nell’oltretomba,
tutto riporta al mistero di Dio uno e trino:

«Nel suo profondo vidi che s’interna /
legato con amore in un volume, /
ciò che per l’universo si squaderna» (Par. XXXIII, 85-87).

2. Più che riflettere sul mistero della Santissima Trinità in sé
(perché e come Dio sia nello stesso tempo uno e trino),
mi limito a rilevare alcune indicazioni
che ci fornisce la Liturgia con le suggestive letture bibliche odierne.

La cosa più interessante che da esse viene fuori
è che il «mistero» della Santissima Trinità
non ci appare tanto come una sfida alla nostra intelligenza,
per cui dobbiamo chinare il capo, umiliati e quasi atterriti
da tanta incomprensibile grandezza,
quanto come un immenso oceano di amore
in cui è pur dolce «naufragare».

Più che una fredda teologia, le letture bibliche
ci presentano il mistero della Santissima Trinità
operante nella storia della salvezza:
Dio-per-noi (I Lettura), Dio-in-noi (II Lettura), Dio-con-noi (Vangelo).

3. Mi limito alla I Lettura, tratta dal libro del Deuteronomio.
Essa permette di percorrere la strada battuta da Israele:
arrivare a Dio attraverso la lettura della storia,
che documenta appunto ciò che Dio fa per il suo popolo.
«Interroga pure i tempi antichi»:
essi ti daranno informazioni sul mio conto.

Noi vorremmo scoprire chi è Dio in se stesso.
Lui, invece, si fa conoscere
mediante ciò che opera per noi.
Il Dio-per-noi è l’unica faccia del mistero
della Santissima Trinità che ci è consentito vedere.

4. Dopo questo sguardo sommario alla I Lettura,
proviamo ad analizzarla più dettagliatamente.

Anche se sono attribuite a Mosè, le esortazioni
contenute in essa appartengono a un autore anonimo,
vissuto a Babilonia nel VI secolo a.C. fra gli israeliti in esilio.

Essi sono coscienti di essere responsabili
della condizione di schiavitù in cui si trovano
e convinti di aver ormai definitivamente compromesso
con i loro peccati la loro storia.
Sono avviliti, scoraggiati e hanno bisogno
di udire parole di consolazione e di speranza.

Il profeta si rivolge a questi deportati
e li invita a ripensare al passato.
Chiede loro di ricordare le opere di salvezza
compiute dal Signore in Egitto
e di confrontarle con le gesta
che gli altri popoli attribuiscono ai loro dei.

La conclusione è scontata:
in tutto il mondo nessuno ha mai sentito dire
che Dio sia intervenuto con tanta forza per liberare il suo popolo,
come ha fatto il Signore con Israele.

Gli dei degli altri popoli abitano in cielo
e si disinteressano di ciò che accade sulla terra,
dimorano in templi dove attendono di essere serviti
e ricevere sacrifici dai loro devoti;
il Dio d’Israele, invece, è coinvolto nella storia del suo popolo.

Anche il salmista ne è convinto:
«Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell’alto,
ma si china a guardare in basso, nei cieli sulla terra?» (Sal 113,6-6).

Se i deportati a Babilonia si fidano
di questo Dio attento alle vicissitudini dell’uomo,
non possono più lasciare cadere le braccia:
come ha fatto in passato, egli certo interverrà per liberarli.

Questa rivelazione di Dio amico e protettore, richiamata dal profeta
agli israeliti che si trovano in Mesopotamia,
è rivolta oggi a ogni uomo, affinché, in ogni circostanza della vita,
si senta accompagnato dal Signore e si renda conto
che egli gioisce dei suoi successi ed è partecipe delle sue delusioni.

Chi crede in questo Dio
non si perde d’animo anche se,
nella propria vita, verifica errori:
sa, infatti, che egli li comprende e indica come porvi rimedio.

Lungi dall’indurre a commettere peccati,
la fede nel Dio d’Israele, che è solo amore e tenerezza
e che va sempre a recuperare il suo popolo,
è uno stimolo a coltivare la fiducia
e ad accogliere i suoi precetti come parola di vita.

Per questo la I Lettura si conclude con l’esortazione:
«Osserva le sue leggi perché possa essere felice tu
e i tuoi figli dopo di te» (v. 40).

5. Ritornando al tema iniziale del mistero della Santissima Trinità,
la I Lettura definisce un primo aspetto della natura del Dio d’Israele,
nel quale crediamo anche noi cristiani.

È un Dio che non conosce la solitudine, che cerca il dialogo,
parla, si interessa dell’uomo e vuole stare con l’uomo;
fa uscire il suo popolo dall’Egitto «per abitare in mezzo a loro» (Es 29,46).

La tenda del convegno, che accompagna gli israeliti
durante l’esodo, costituisce il segno sacramentale di questa presenza
e, anche quando essi diventano infedeli e sono deportati a Babilonia,
per bocca del profeta Ezechiele, egli continua a promettere:
«Io abiterò in mezzo a loro, per sempre» (Ez 43,7).

Il Signore si comporta come chi,
perdutamente innamorato,
non riesce a staccare il cuore e la mente dalla persona amata,
neppure quando questa gli è infedele.

La manifestazione somma di questo bisogno
che Dio prova di stare con l’uomo
si ha quando egli «venne a piantare la sua tenda tra noi
e noi potemmo contemplare la sua gloria» (Gv 1,14).
Ancor oggi, «dove due o tre sono riuniti nel suo nome,
egli è in mezzo a loro» (Mt 18,19-20).

Il profeta, che esortava gli esuli di Babilonia a credere
che il Signore era vicino a loro, aveva avuto solo una scialba intuizione;
non immaginava che Dio fosse così desideroso di stare con l’uomo
da venire un giorno fra la sua gente, da «farsi carne»
per poter essere visto con gli occhi, toccato con le mani,
udito con gli orecchi e divenire ospite e commensale degli uomini.

In un Dio così vicino, nell’Emmanuele,
crediamo solo noi cristiani.

Foto: Andrej Rublëv, La Trinità,
o Ospitalità di Abramo (part.) (1422 ca,),
Galleria statale di Tret’jakov, a Mosca / it.wikipedia.org

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