Royal Botanic Gardens di Kew
Anche nei «Giardini di Kew»
trionferà il politically correct
Royal Botanic Gardens –
Campagna al fine di estirpare
la «discriminazione strutturale»
e lo «schiavismo»
Royal Botanic Gardens
Può un’esposizione botanica
da milioni di esemplari
essere razzista?
Sì, in pratica, se è quella
dei Royal Botanic Gardens
di Kew, a Londra,
tra le più antiche
ed estese al mondo.
Infatti, dal marzo scorso
è oggetto
di una riqualificazione
al fine di estirpare
la «discriminazione strutturale»
che la caratterizza.
A dirlo è precisamente
la stessa direzione.
Il motivo è chiaramente
perché porta in mostra fiori,
piante, frutta e funghi
che evocano esplicitamente
il passato imperiale
del Regno Unito.
L’idea
a dire il vero,
non piace a molti.
Il think-tank Policy Exchange,
di ispirazione conservatrice,
in effetti, promette battaglia
in punta di legge.
Il progetto,
avvertono i tecnici,
viola soprattutto
la legge del 1983
relativamente alla tutela
del patrimonio storico nazionale
(il National Heritage Act).
Questi, in effetti, ha definito
l’attuale assetto organizzativo
dell’ente che ogni anno
riceve dal ministero dell’Ambiente
circa 30 milioni di sterline
al fine di promuovere, in particolare,
iniziative di carattere scientifico.
Il caso, peraltro, è l’ultimo
del filone «cancel culture»,
ossia la tendenza a cancellare
le tracce del passato
non conformi alla neutralità,
soprattutto se riferita
a razza e genere.
Una tendenza
che nel Regno Unito
ha portato, in pratica,
alla rimozione di decine
di statue e memoriali dedicati
a personaggi, evidentemente,
dal trascorso colonialista.
Il “Manifesto per il cambiamento”
dei Royal Botanic Gardens di Kew
sottolinea specificamente l’urgenza
di «riesaminare» il patrimonio
di piante e fiori,
in esposizione sin dal 1841.
E ciò al fine di ripulirlo
dai residui dello schiavismo
che lo connotano,
perché in gran parte proveniente
da nazioni dell’Africa e dell’Asia
durante le campagne coloniali
dell’impero.
L’idea è chiaramente quella di
«sviluppare una nuova narrativa»,
per esempio, sugli alberi
di caucciù dell’Amazzonia
o sulle canne da zucchero dei Caraibi
che ne contestualizzi
chiaramente le origini.
«Come tante altre organizzazioni,
così pure parte della storia dei
Royal Botanic Gradens di Kew
attinge vergognosamente a un’eredità
che affonda del tutto le radici
nel colonialismo e nel razzismo».
Così, infatti,
spiegava esplicitamente
alcuni mesi fa
Richard Deverellal,
direttore
dell’orto botanico.
Dichiarazioni
che, però, in pratica,
hanno fatto infuriare
diversi deputati Tory.
«È un’assurdità»,
sottolineava bruscamente
John Hayes,
un oltraggio soprattutto
al «patriottismo britannico».
Il cavillo che gli oppositori
della «cancel culture»
sperano di utilizzare,
al fine di far naufragare
il progetto,
è soprattutto legale.
Ursula Buchan,
storica dei giardini
e divulgatrice di orticultura
di discreta fama,
ha curato specificatamente
l’analisi di Policy Exchange.
Essa ha evidenziato,
anzitutto, come la ripulitura
dei cataloghi della collezione
in chiave “politically correct”
non sia certamente
consentita dallo statuto
dei Royal Botanic Gardens.
Tale statuto, infatti,
ricorda espressamente
che la valenza
dei Royal Botanic Gardens,
nazionale e globale,
è del tutto
scientifica e non politica.
Secondo il Telegraph, inoltre,
l’approccio è condiviso
anche da Downing Street
che starebbe cercando,
in verità, di frenare le fughe
verso la «decolonizzazione»
di diverse istituzioni.
La «cancel culture»,
tuttavia, nel frattempo,
si insinua ovunque.
Ad esempio, qualche mese fa
è circolata alla facoltà di ingegneria
dell’Università di Sheffield
la bozza di una proposta
al fine di rivedere l’approccio
allo studio di Isaac Newton,
il padre della scienza moderna.
Questi pare essere colpevole
di aver investito denaro
nella South Sea Company,
la società che gestiva,
in effetti, la tratta degli schiavi
provenienti dall’Africa.
Erano i primi anni del 1700.
Angela Napoletano, «Anche
nei “Giardini di Kew”
trionferà il politically correct»,
in “Avvenire”, domenica
2 gennaio 2022, p. 16.
Foto: Royal Botanic Gardens
di Kew (Londra) /
zoomzoomtour.com