Risurrezione dei morti – Lc 20,27-40
Risurrezione dei morti. Il Vangelo di oggi è collocato nella fase conclusiva della vita pubblica di Gesù, quando a Gerusalemme la discussione con il Maestro si fa incandescente. Tanto prima quanto dopo il presente brano, Gesù si trova sotto il fuoco incrociato delle obiezioni degli avversari.
Il tema della disputa con Gesù è la risurrezione dei morti, un tema sul quale, anche al suo tempo, esisteva molta imprecisione. Gli stessi farisei, che professavano fermamente la fede nella risurrezione dei morti, continuavano a interpretarla in modo piuttosto rozzo. Nella vita futura – dicevano – le gioie di questa vita saranno accresciute a dismisura. In cielo non ci saranno la fame, le malattie, le sofferenze, le disgrazie; gli uomini godranno di ogni piacere, avranno pane, carne e vino in abbondanza.
Il Vangelo di oggi introduce un nuovo gruppo politico-religioso del quale finora nel Vangelo secondo Luca non si era ancora parlato, i sadducei.
Chi sono?
Il nome ‘sadducei’ designa un gruppo giudaico che deriva il suo nome da Sadoq, un sacerdote del tempio di Salomone. Inferiori numericamente ai farisei, i sadducei hanno molto peso nella società perché raggruppano le famiglie sacerdotali e quelle abbienti. Non si conosce esattamente l’origine del gruppo, ma si sa che verso il 150 a.C. gli ambienti sacerdotali si erano organizzati per difendere i loro poteri. Proprio per salvaguardare i loro interessi sono disposti ad accondiscendere l’occupante di turno, gli Ellenisti prima, i Romani poi. Da un punto di vista politico, sono quindi degli opportunisti. Teologicamente il gruppo si attesta su un minimalismo sconcertante, riconoscendo solo i primi cinque libri della Bibbia, la Torah. A differenza dei farisei, negano la risurrezione dei morti.
Ascoltando Gesù, i sadducei un giorno si rendono conto che, sul tema della risurrezione dei morti, egli concorda, almeno in parte, con i farisei: crede nella vita eterna, anche se dà l’impressione di interpretarla in un modo molto originale.
Per convincerlo a cambiare opinione ricorrono a un testo della Torah, imbastiscono una storia curiosa (vv. 28-33) e vanno a raccontargliela.
La legge di Mosè – dicono – stabilisce che, se un uomo muore senza lasciare discendenza, suo fratello sposi la vedova. I figli nati da questo nuovo matrimonio sono considerati figli del defunto (Dt 25,5-10). Ora c’era fra noi una donna che riuscì a «logorare», uno dopo l’altro, ben sette mariti. Poi venne meno anche lei. Ora se si ammette la risurrezione dei morti, la situazione diventa intricata: nella vita futura a quale dei fratelli verrà assegnata?
Per comprendere il contenuto del loro ragionamento, è necessario spiegare la legge, per noi un poco strana, del levirato.
Dal latino levir ‘cognato’ deriva il termine ‘levirato’ che indica una particolare costituzione giuridica di Israele, registrata in Dt 25,5-10. La legge prevedeva il caso di una donna sposata che rimanesse vedova e senza figli. Il fratello del defunto doveva sposare la vedova, cioè sua cognata. Il figlio nato dal matrimonio era considerato figlio del defunto, di cui riceveva il nome e l’eredità. La legge si comprende nel contesto della società antica e patriarcale, in cui la discendenza garantiva la continuità della famiglia, e si evitava la dispersione del patrimonio.
Gesù, che intende la risurrezione dei morti in modo radicalmente diverso dai farisei, prende la parola e articola la sua risposta in due parti.
La prima riguarda il modo della risurrezione dei morti: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli dell’altro mondo… sono uguali agli angeli… sono figli di Dio» (vv. 34-36).
L’obiezione dei sadducei si regge sul falso presupposto che la vita futura sia la continuazione (migliorata e potenziata) di questa vita e questo non è accettato da Gesù. Egli non predica un risveglio dal sepolcro per riprendere la vita di prima. Una cosa del genere sarebbe ridicola, assurda, crudele da parte di Dio. Non avrebbe alcun senso far morire per poi restituire lo stesso corpo, la stessa vita.
La vita con Dio è una condizione completamente nuova: quando è introdotto in essa, l’uomo, pur mantenendo la propria identità, diviene un essere diverso, immortale, uguale agli angeli di Dio.
Come sarà questa vita con Dio?
Ciò che Gesù intende sconfessare è la nostra pretesa, sempre ricorrente, di immaginare come sarà questa vita con Dio. Ci devono bastare due immagini:
«Saranno uguali agli angeli». Nessuno di noi, però, sa come sono gli angeli. Possiamo semplicemente intuire che la vita con Dio sarà consacrata alla lode e all’azione di grazie, nella piena comunione con Dio e tra di noi.
«Sono figli di Dio». E qui l’immagine lascia intravvedere un rapporto d’intimità, come quello che intercorre tra il Padre e il Figlio Gesù Cristo
La seconda parte della risposta di Gesù riguarda il fatto della risurrezione dei morti. Egli offre una dimostrazione piuttosto insolita. Siccome i sadducei ammettono quasi esclusivamente ciò che è contenuto nel Pentateuco, Gesù cita proprio il passo di Es 3,6, quello del roveto ardente, dove Dio si presenta a Mosè come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.
Con questa citazione, Gesù riconduce il dibattito all’amore di Dio e alla sua fedeltà. E argomenta più o meno così: se Dio ama l’uomo ed è fedele all’uomo, non può abbandonarlo in potere della morte.
Alla fine, due certezze di fondo:
«Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi». Per cui affidarsi a questo Dio significa scoprire che siamo fatti per la vita. E che la vita consiste nell’essere con lui, senza che questo rapporto si interrompa mai.
«Tutti vivono per lui». Dio è la sorgente e il fine della vita. Il credente che vive con lui e per lui, dopo aver ricevuto da lui il dono dell’esistenza, è strappato al dominio della morte.
Come si vede, al posto di una pretestuosa e sciocca diatriba su una moglie contesa da sette fratelli, Gesù colloca l’immagine di un Dio che contende vittoriosamente alla morte il tesoro che gli è più caro: l’uomo.
Foto: La risurrezione di Cristo / it.aleteia.org