ResQ – Li salvi chi può
ResQ – “Arrivare, partire… che gusto mi dà!”
così cantava Julio Iglesias.
Romantico, ma non per tutti, però.
Da sempre, cambiare patria
può essere certamente una bella opportunità,
ma anche però una scena
all’interno di un immenso dramma.
Per limitarsi agli ultimi cento anni,
il nostro Paese ha visto partire milioni
di suoi cittadini alla ricerca di fortuna altrove.
Ancora in questo momento esiste
“un’Italia all’estero” di quasi 6 milioni di persone,
come certifica una ricerca della Fondazione Migrantes.
Intanto nel Mediterraneo
si continuano a vedere non solo morti,
ma anche respingimenti,
rimpalli di responsabilità tra nazioni europee.
La parola pertanto a ResQ, una delle organizzazioni
che si occupa del salvataggio dei profughi in mare.
Persone spesso strumentalizzate e disprezzate.
Eppure, paradossalmente
sono quei popoli a portare giovani forze in Italia
mentre molti giovani italiani ‘fuggono’ all’estero
al fine di trovare lavoro.
Non sono merci, sono persone
ResQ – Secondo ResQ,
“decidere chi può sbarcare e chi no
in base alle condizioni mediche individuali
è inaccettabile sotto il profilo etico
e da un punto di vista giuridico”.
Contro i “metodi” dell’Europa
parla anche il Vescovo di Ventimiglia
ResQ – «A Lampedusa una donna è morta di ipotermia.
Un neonato è morto su un barchino,
i genitori speravano di poterlo curare qui.
È il sesto bambino in tre settimane a morire
davanti alle coste italiane.
Non sono “clandestini”, non sono numeri,
non sono pacchi o merci, non sono invasori.
Sono persone».
A scriverlo – il 10 novembre – è ResQ,
una delle organizzazioni impegnate nel salvataggio
dei “profughi del mare” nel Mediterraneo.
Ne è presidente Luciano Scalettari,
per molti anni firma prestigiosa
sulle pagine di Famiglia cristiana.
ResQ opera sulle acque del mare nostrum
con una nave dello stesso nome,
ma svolge anche azioni a terra.
Tra cui l’azione di sensibilizzazione,
che in questo momento
appare particolarmente importante.
«Siamo indignati – avevano dichiarato
qualche giorno prima – a causa di ciò che succede
a poche miglia dalle coste italiane.
A bordo di alcune navi di soccorso,
per giorni, poco più di mille persone,
uomini, donne e bambini
sanno di poter sbarcare in un porto sicuro.
Sono sopravvissuti alla traversata in mare
e, prima ancora, a violenze, stupri, torture.
Soccorrerli, assisterli
e condurli in un porto sicuro
è certamente un obbligo giuridico,
non solo un principio etico;
le navi di soccorso, pertanto,
hanno fatto le prime due cose.
Siamo sdegnati a causa della scelta
di non prestare assistenza ai naufraghi,
alle navi e ai loro equipaggi,
che costituisce di fatto una violazione
del diritto e delle Convenzioni internazionali.
Bloccare i sopravvissuti in mare per giorni,
su imbarcazioni che sono adatte al soccorso
ma non certo a una lunga permanenza a bordo,
vuol dire trattarli in modo inumano e degradante.
Decidere poi chi può sbarcare e chi no
in base alle condizioni mediche individuali
è inaccettabile non solo sotto il profilo etico
ma anche da un punto di vista giuridico,
perché sono naufraghi
ed è un’operazione di ricerca e soccorso:
il diritto di scendere a terra
in un porto sicuro (e il dovere delle navi di concludere
in questo modo l’operazione di soccorso)
devono prescindere da ogni caratteristica individuale.
Siamo sconcertati, inoltre, dal tentativo
del nostro Governo di trovare il modo
per respingere collettivamente queste persone
– un’altra violazione degli obblighi internazionali –
Invece di impegnare ogni sforzo possibile
al fine di assisterle, curarle,
farle giungere finalmente in un luogo sicuro.
Siamo sgomenti a causa del fatto
che giorno dopo giorno, ora dopo ora,
si stiano violando gravemente i diritti umani
di queste persone».
In riferimento poi alla situazione di alcuni giorni fa,
Scalettari faceva questa domanda all’intera società:
«Sono davvero esseri umani?
Quelle 1.075 persone
a bordo delle navi attualmente in mare
sono davvero donne, bambini, uomini?
Ce lo chiediamo perché le nostre istituzioni
non li stanno trattando come tali,
ossia come persone come noi
e con gli stessi nostri diritti”»
Va anche detto però
che è semplicistico addossare l’intera responsabilità
all’attuale Governo italiano di “destra-centro”.
Mons. Suetta, vescovo di Ventimiglia
al confine tra Liguria e Francia, commenta
che il pugno duro della Francia con l’Italia
attraverso il rafforzamento dei controlli alla frontiera
«è stato più un’azione dimostrativa,
un’esibizione di forza.
Purtroppo, è una prassi che dura da anni:
impedire il libero transito
e riportare in Italia giornalmente
circa una ottantina di persone con espedienti vari».
Anche ricorrendo all’inganno:
«A volte le forze dell’ordine francesi fanno trovare
nelle tasche dei migranti degli scontrini emessi in Italia,
e con questa scusa li riportano indietro.
Purtroppo, anche tanti minori».
Oltretutto, nel più ampio panorama,
una certa indolenza, inefficienza
o indifferenza europea
non farà che aggravare la situazione.
Come annotava il giornale tedesco Süddeutsche Zeitung
(riportato da Internazionale):
«Certi discorsi d’ispirazione umanitaria tengono viva l’idea
che l’Europa accolga i migranti a braccia aperte.
Invece la triste verità è che non c’è all’orizzonte
nessuna politica migratoria umanitaria,
perché il Continente è troppo preso da se stesso.
Ma è inutile covare segretamente la speranza
che il lavoro sporco lo sbrighi tutto Meloni.
Piuttosto, se non sapremo trovare una strada comune,
sarà il metodo Meloni a imporsi».
Dario Rivarossa, «Non sono merci, sono persone»,
in “La Voce”, Settimanale Di Informazione Dell’Umbria,
venerdì 18 novembre 2022, n. 41, pp. 1.3.
Foto: La nave ResQ
(dall’inglese “rescue”, salvataggio)
in missione / resq.it