Oracolo – Mic 5,1-4a – Domenica IV di Avvento C
Oracolo. Al tempo del profeta Michea, contemporaneo di Amos e di poco anteriore ad Isaia (sec. 8°), la situazione politica, sociale ed economica di Israele è disastrosa. Ovunque ci sono segni di violenza, nei tribunali i giudici si lasciano corrompere dai regali, i sacerdoti e i profeti pensano solo ad accumulare denaro, fra il popolo una minoranza abile e prepotente si è impadronita di tutti i campi e sfrutta i poveri come braccianti, come lavoratori stagionali mal pagati. Da trecento anni i discendenti di Davide detengono il potere, ma non hanno combinato che disastri, hanno oppresso il popolo e lo hanno ridotto alla fame. Il re, Ezechia, è un buon uomo, ma ha capacità di governo molto limitate; i tempi sono troppo difficili per uno debole come lui.
È in questa situazione complicata che si colloca l’oracolo di Michea riferito dalla Prima Lettura.
Per Michea occorre ripartire da capo. Sarà Dio a far rinascere il suo popolo attraverso l’opera di un «dominatore in Israele», ma ripartirà non da Gerusalemme, bensì dalla piccola Betlemme di Efrata (v. 1), patria di origine di Davide.
Per il momento però è necessario un tempo di purificazione,un tempo in cui Israele è sottomesso ad altre potenze e che terminerà alla nascita del nuovo «dominatore» (v. 2).
L’oracolo di Michea non ne fa il nome, ne indica invece il fine per cui verrà: governare con fermezza e insieme con la cura con cui un pastore segue il proprio gregge; soprattutto, egli agisce nel nome del «Signore suo Dio» (v. 3). Così il popolo ritrova la pace (v. 4).
Questo l’oracolo di Michea. Cerchiamo ora di decodificarlo.
Con questo oracolo siamo all’apice del giudizio di Michea contro Gerusalemme, la metropoli capitale, fonte di ogni ingiustizia, a favore invece di Betlemme di Efrata, piccolo centro della zona collinare di Giuda. La delusione per chi sta al potere in Gerusalemme si accompagna in Michea alla speranza di riavere un re come alle origini della monarchia, al tempo di Davide.
Michea ricorre a un linguaggio molto enigmatico e oscuro, senza dubbio voluto. Lascia il suo oracolo nella penombra, evita i particolari, sembra preferisca fare il misterioso, perché, con la stessa certezza con cui prevede la realtà futura, ignora come questa si realizzerà.
Ogni nascita è corredata da un luogo e da una data: «X nato a… il…».
L’oracolo di Michea ci fornisce l’indicazione geografica e soprattutto la motivazione di quella nascita: «Nato a… per…». Poco interessato alla cronologia, l’oracolo del profeta orienta verso lo scopo di quella nascita, offrendoci scampoli di immagini per aiutare a capire chi sarà colui che deve nascere.
«Nato a…». L’oracolo è rivolto a Betlemme, un piccolo villaggio di Giuda che nella tradizione veterotestamentaria è noto soprattutto per aver dato i natali al re Davide e dove questi era stato unto re d’Israele da Samuele ( 1 Sam 16). Qui la sua menzione è accompagnata dalla specificazione costituita dal riferimento a Efrata (dal nome di un clan di Efratei che si era stanziato a Betlemme), che in diversi passi dell’Antico Testamento funge da secondo nome di Betlemme (Gn 35,19; 48,7; Gs 15,59; Rt 4,11). Nonostante la sua piccolezza, da questo villaggio «uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» (v. 1). Il testo originale recita «uscirà per me un môšēl», ossia un «comandante, reggitore» (in greco tradotto ἄρχων). Il vocabolo è volutamente velato di oscurità: non si tratta di un «re» (melek), né di uno «sceicco» (nāśîʾ, vocabolo pure arcaico), né di un «capo» (nādîb, titolo attestato per Davide in Is 55,4).
Il richiamo alla città di origine del re Davide, e non alla sua capitale Gerusalemme, suggerisce che l’oracolo stia qui prospettando una sorta di nuovo inizio, resosi necessario dalla corruzione sociale e dall’idolatria dei regni di Israele e Giuda. Questa prospettiva sembra confermata dalla scelta del termine ebraico ‘elef («villaggio») il cui principale significato è «tribù», un termine che richiama senz’altro l’Israele delle origini, in epoca premonarchica organizzato per tribù e clan. Ciò che è evidente è il rifiuto della situazione contemporanea a Michea e l’affidamento della propria speranza alla capacità di JHWH di far nascere (o far ritornare) un re che sia all’altezza dell’antenato Davide.
Quanto al nostro «Nato il…», l’oracolo afferma semplicemente che le origini di questo futuro dominatore «sono dall’antichità, dai giorni più remoti» (v. 1).
I tempi non sono ancora maturi e, in attesa del grande evento, Israele sarà ancora alla mercé dei suoi nemici. In effetti, al v. 2, l’oracolo fa riferimento a un tempo in cui Dio consegnerà il suo popolo a nazioni straniere. Potrebbe trattarsi di un riferimento alla presa di Samaria da parte degli Assiri e la conseguente deportazione degli Israeliti (721 a.C.), coincidenti con gli anni in cui Michea svolge il suo ministero profetico.
In ogni caso, questo periodo di sottomissione terminerà con la nascita di questo “dominatore”: allora, quanti hanno subito la deportazione si riuniranno agli altri figli d’Israele. Tra l’oracolo di Michea e la sua realizzazione si colloca la speranza, autentico motore della storia d’Israele. Il nome di Betlemme di Efrata alimenta un’attesa e dà uno spessore di concretezza alla speranza.
Quest’attesa finirà quando «colei che deve partorire» partorirà (v. 2). È curioso questo passaggio dell’oracolo che non precisa il “quando” ciò avverrà e presenta sulla scena solo la madre del bambino, e non il bambino, ossia colui che sarà «il dominatore in Israele». Precisa, tuttavia, la conseguenza di questo parto: «il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele» (v. 2), ossia la situazione di oppressione dei nemici sarà rovesciata, e il «resto» disperso dei fratelli potrà fare ritorno e confluire nell’unità dei «figli d’Israele».
«Nato per…». Si è detto che l’oracolo di Michea è poco interessato alla cronologia; orienta, invece, verso lo scopo di quella nascita. Infatti annuncia che «il dominatore in Israele» verrà tra i «figli d’Israele» e li «pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio» (v. 3). In altre parole, Egli viene per regnare saldamente, cioè per essere un vero e potente pastore con la forza e la maestà del Signore.
Quello del pastore è un tema ricorrente nel mondo biblico e sta a indicare, oltre al significato ovvio di custode di greggi, un capo che si prende cura della sua gente. La metafora pastorale ricorda che quello del sovrano non è tanto un dominio da esercitare, ma un servizio da adempiere per il suo popolo, dinanzi al quale il re deve rappresentare Dio stesso, anch’egli più volte indicato come il vero pastore di Israele (Sal 23; Ez 34). A volte tale incarico è disatteso per riprovevole negligenza del pastore e il popolo ne paga l’amara conseguenza di essere condannato allo sbando. Non è, fortunatamente, il nostro caso. La situazione raffigurata è altamente positiva perché il pastore è dotato della forza del Signore, premessa e garanzia di successo. L’espressione «con la maestà del nome del Signore suo Dio» suona un po’ barocca, ma serve a Michea per far capire che Dio s’impegna personalmente.
L’oracolo prosegue: «Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra». A una prima lettura l’oracolo sembra indicare che la grandezza di questo dominatore avrà come conseguenza la sicurezza e il benessere dei suoi sudditi, che avrà estensione universale. Con molta probabilità vuol dire qualcosa di più profondo e vero: il primo effetto delle venuta di questo dominatore sarà la conversione del popolo di Dio («abiteranno sicuri»), progressivamente però anche quella delle nazioni pagane («egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra») (v. 3). L’espressione «sarà grande fino agli estremi confini della terra» significa che porterà a tutti la giustizia e la salvezza.
Il v. 4a così conclude l’oracolo profetico: «Egli stesso sarà la pace». La presentazione dello scopo della venuta di questo dominatore termina con l’identificazione dello stesso con la pace. Ora la storia freme verso il futuro e colui che nascerà porterà la vera pace, lui chiamato «principe della pace» (Is 9,8).
A chi si riferisce l’oracolo di Michea? Quasi certamente a un re della dinastia davidica. Ma Dio – com’è solito fare – realizza le sue promesse al di là di ogni umana attesa. Lascia passare altri settecento anni e da una donna, Maria, fa nascere l’annunciato figlio di Davide.
Questo figlio – Gesù – non fu presuntuoso e arrogante come i suoi antenati e portò a compimento ciò che è annunciato nella seconda parte dell’oracolo (vv. 3-4a): fu il pastore buono che guidò il popolo «con la forza del Signore». Diede inizio al mondo nuovo e in cui la pace regna ovunque, fino ai confini della terra.
A questo punto sorge però in noi, spontanea, l’obiezione che già i rabbini dei primi secoli rivolgevano ai cristiani: dov’è la pace che raggiunge tutti i confini della terra? Qualcuno ci mostri questo mondo nuovo – dicevano – e crederemo in Gesù.
I cristiani, noi, abbiamo un’unica possibilità di rispondere a questa domanda provocatoria: indicare qualche luogo concreto in cui questa pace è giunta con l’avvento del Signore: la loro, la nostra famiglia, la loro, la nostra comunità o almeno il loro, il mio cuore.
Foto: Gustave Doré, Michea profetizza agli Israeliti – Foto di Nicku / it.depositphotos.com