Mt 5-17-37 – Domenica VI del Tempo Ordinario – Anno A
Contesto
Mt 5-17-37 – Dopo il solenne esordio
delle Beatitudini (due domeniche fa),
al quale è stato collegato il brano
sul compito dei discepoli nel mondo
(essere sale e luce: domenica scorsa),
il Vangelo di oggi entra esplicitamente
nel tema di fondo del Discorso della montagna.
«Non pensate che io sia venuto ad abolire
la Legge o i Profeti… ma per dare compimento» (v. 17)
Mt 5-17-37 – Se Gesù sente il bisogno
di chiarire la sua posizione,
significa che qualcuno
ha avuto l’impressione che egli,
con il suo comportamento e con le sue parole,
stesse demolendo le convinzioni, le attese
e le speranze di Israele, basate sui testi sacri.
Gesù era rispettoso
delle leggi e delle istituzioni del suo popolo,
ma le interpretava in modo originale;
il suo punto di riferimento
non era la lettera del precetto,
ma il bene dell’uomo.
Per amore dell’uomo
non esitava a violare anche il sabato
e questa sua libertà
suscitava stupore, perplessità
e anche irritazione nelle autorità religiose.
Tuttavia, più che la sua mancata osservanza
delle prescrizioni dei rabbini,
ciò che creava sconcerto era il suo messaggio,
la nuova Toràh che aveva proclamato sul monte,
una Toràh che sconvolgeva i principi e i valori
su cui era fondata l’istituzione religiosa
e civile di Israele.
Ecco come chiarisce la sua posizione e le sue scelte:
«In verità io vi dico: finché non siano passati
il cielo e la terra, non passerà un solo iota…
senza che tutto sia avvenuto» (v. 18)
Mt 5-17-37 – L’Antico Testamento
resta parola di Dio anche per Gesù.
Intatto è il suo valore,
anche nel dettaglio più microscopico,
come può essere un jod («iota»),
la lettera più minuscola dell’alfabeto ebraico.
Prima che il mondo sia finito,
quanto è stato scritto si realizzerà.
Tuttavia Gesù non spiega ancora cosa egli intenda
per compimento della Legge e dei Profeti.
Lo farà tra poco.
Intanto prosegue:
«Chi, dunque, trasgredirà
uno solo di questi precetti, anche minimi…
Chi invece li osserverà e li insegnerà…» (v. 19)
Mt 5-17-37 – Il pensiero di Gesù, qui,
è estremamente chiaro: la grandezza
o l’esattezza dell’interpretazione e della prassi
si trova in chi pratica la Legge di Dio
(= la sua volontà)
e insegna agli altri a fare altrettanto.
Ma subito soggiunge:
«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà
quella degli scribi e dei farisei,
non entrerete nel regno dei cieli» (v. 20).
Mt 5-17-37 – In che cosa consiste
il «compimento della Legge e dei Profeti»,
annunciato da Gesù?
La risposta è da cercare non nell’AT preso in sé,
ma in una sua interpretazione e osservanza fredda
e formale, offerta dagli scribi e dai farisei,
per cui Gesù censura questa osservanza e ribadisce
che la nuova «giustizia» – ossia il comportamento morale
dei suoi discepoli – dovrà superare nettamente
la teoria e la prassi degli scribi e dei farisei.
La superiorità richiesta da Gesù non va intesa
nel senso della quantità e della severità
(altre norme ancora, ancora maggiore rigidezza),
ma nella direzione della qualità.
Gesù stesso si spiega con sei esempi,
di cui quattro sono contenuti nel Vangelo di oggi
e gli ultimi due in quello di domenica prossima.
Il primo è il comandamento di non uccidere.
«Avete inteso che fu detto… “Non uccidere”…» (v. 21)
È una disposizione chiara, che non ammette eccezioni
e che condanna qualunque forma di omicidio (Gn 9.5-6).
L’uomo non ha potere sulla vita di un suo simile,
quand’anche fosse un criminale (Gn 4,15).
La vita umana è sacra e intangibile
dal momento in cui sboccia
fino a quando, naturalmente, si conclude.
Questo era già chiaro nella Toràh antica.
«Ma io vi dico…» (v. 22)
Mt 5-17-37 – Gesù insegna che non si uccide
solo materialmente.
L’arma più potente che l’uomo dispone
al fine di “far fuori” il suo prossimo
è il proprio cuore: si può eliminare l’altro
offendendolo, comportandosi come se non esistesse,
o, peggio ancora, agendo in modo tale
da relegarlo ai margini della società.
È questo cuore crudele e ingiusto che va disarmato.
All’opera di demonizzazione dell’uomo,
Gesù contrappone il suo giudizio: è un fratello.
Per tre volte ripete questa parola (vv. 22-24)
come un antidoto per guarire il cuore
dal veleno della cattiveria e dell’odio.
Ora è più chiaro il perché Gesù
al comandamento «Non uccidere» oppone:
«Chiunque si adira con il proprio fratello…
Chi poi dice al fratello… e chi gli dice…» (v. 22)
Mt 5-17-37 – I tre binomi utilizzati da Gesù
ira-giudizio, stupido-sinedrio, pazzo-geenna
più che indicare la progressione dell’ira
che bisogna fermare in tempo
prima che si giunga all’irreparabile,
servono ad evidenziare
che tutto ciò che si pensa e si dice
contro il prossimo, è una colpa davanti a Dio,
e una colpa così grave che
«se presenti la tua offerta sull’altare…
lascia lì il tuo dono davanti all’altare…
e poi torna ad offrire il tuo dono» (vv. 23-24)
Mt 5-17-37 – Incredibile!
Il culto del tempio passa in secondo posto
nella graduatoria dei valori,
scavalcato da ciò che fino a quel momento,
almeno nel cervello dei più,
non figurava neppure al secondo posto.
Ai vv. 25-26, Gesù passa dal trattare
un problema con il «fratello»
a questioni con l’«avversario»:
«Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario…
In verità io ti dico… fino all’ultimo spicciolo»
Mt 5-17-37 – Questi vv. sembrano introdurre
uno dei temi successivi,
che è quello dell’amore per il nemico
(Mt 5,38-48, il Vangelo di domenica prossima),
brano in cui ritroveremo anche l’idea
del cammino compiuto assieme all’avversario:
(«se uno ti costringerà
ad accompagnarlo per un miglio,
tu con lui fanne due», Mt 5,41).
In entrambi questi due ultimi esempi il cammino
(da/verso l’altare e con l’avversario)
diventa occasione di conversione del cuore
verso l’altra persona, e quindi occasione
di salvezza, nell’ultimo esempio addirittura
l’«ultima» occasione di salvezza.
Gesù passa poi al problema dell’adulterio:
«Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”.
Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla
ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore»
(vv. 27-30).
Mt 5-17-37 – L’interpretazione della Toràh
sembrava vietare solo le azioni cattive.
Gesù va invece al cuore e coglie le esigenze
più profonde di questo comandamento.
Ci sono amicizie, sentimenti,
relazioni che sono già adulteri.
Siamo in un campo in cui, con molta facilità,
si è travolti dagli istinti e dalle passioni
che possono provocare guai seria a sé,
alla propria famiglie e a quella degli altri.
Gesù insiste: di fronte a certe situazioni,
è necessario avere il coraggio
di procedere a tagli, anche se dolorosi.
Due sono i membri del corpo
che occorre essere disposti ad amputare:
l’occhio destro e la mano destra.
In questo contesto sono il simbolo
di ciò che risveglia la libidine (sguardi)
e dei contatti pericolosi (mano).
Non si tratta di mutilazioni materiali,
ma del faticoso autocontrollo
del proprio cuore e dei propri pensieri.
La Geenna è la valle
che delimita a sud-ovest la città di Gerusalemme:
era l’immondezzaio della città.
Chi non sa imporsi le necessarie rinunce
nel campo della sessualità
corre il rischio di gettare il proprio corpo
(la propria persona) nella Geenna
(nella spazzatura).
Questo non è un castigo di Dio,
ma la conseguenza del peccato.
Il terzo caso riguarda il divorzio:
«Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie…
Ma io vi dico: … commette adulterio» (vv. 31-32)
Mt 5-17-37 – Dio ha voluto il matrimonio
monogamico e indissolubile.
La Bibbia lo afferma con chiarezza,
fin dalle prime pagine:
«I due formano una carne sola» (Gn 2,24).
Per la durezza del cuore dell’uomo,
si è introdotto però, anche in Israele, il divorzio.
Andando contro la consuetudine,
le tradizioni e le interpretazioni dei rabbini,
Gesù riporta il matrimonio alla purezza
delle origini ed esclude la possibilità
di separare ciò che Dio ha stabilito
che rimanga unito.
La clausola «eccetto in caso di concubinato»,
che sembra lasciare aperta una possibilità di divorzio,
in realtà riguarda le unioni illegittime e irregolari.
Il quarto caso è quello del giuramento:
«Avete inteso che fu detto…:
“Non giurerai il falso… Ma io vi dico…» (vv. 33-37)
Mt 5-17-37 – Gesù esprime un categorico rifiuto
del giuramento che troviamo quasi
con le stesse parole nella Lettera di Giacomo:
«Soprattutto, fratelli miei, non giurate
né per il cielo, né per la terra
e non fate alcun altro giuramento.
Ma il vostro sì sia sì, e il vostro no no,
per non incorrere nella condanna» (Gc 5,12).
Il motivo per cui Gesù ordina ai suoi discepoli
di non giurare mai, con nessuna formula
e per nessun motivo, ma dire soltanto «sì» se è sì
e «no» se è no, è per ripristinate la dignità
della parola umana, che è alla base
della vita sociale e religiosa degli uomini.
Nella nuova società, annunciata da Gesù,
la forza della parola
non è data dal giuramento che l’accompagna,
ma dalla dignità morale di chi parla.
Se questa dignità morale manca,
non c’è giuramento che tenga,
anche se fosse fatto
pronunciando il nome di Dio
o stendendo la mano solennemente
sulle sacre Scritture.
Foto: Attavante degli Attavanti, «Cristo ammonisce
un uomo e una donna riguardo al divorzio»,
inizio XVI secolo, Biblioteca Medicea Laurenziana,
corale 4, fol. 138, Firenze /
foto dal mio cellulare da Timothy Verdon, «La bellezza
nella Parola. L’arte a commento delle letture festive»
Anno A, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI),
2007, p. 205.