Mt 17-1-9 – Domenica II di Quaresima – Anno A
Mt 17-1-9 – La II domenica di Quaresima
di ognuno dei cicli liturgici (A B C)
ci presenta la scena della Trasfigurazione
secondo il racconto
di uno dei tre Vangeli sinottici.
Testo
Mt 17-1-9 – Questo Vangelo è interpretato,
a volte, come una breve anticipazione
dell’esperienza del paradiso,
concessa da Gesù
a un gruppo ristretto di discepoli,
al fine di prepararli a sopportare
la dura prova della sua passione e morte.
Bisogna sempre essere molto circospetti
quando ci si avvicina a un testo evangelico
perché quello che, a prima vista,
può sembrare la cronaca di un fatto,
a un esame più attento,
si rivela spesso un testo di teologia,
redatto secondo i canoni del linguaggio biblico.
Il racconto della trasfigurazione di Gesù,
riferito in modo quasi identico da Marco,
Matteo e Luca, ne è un esempio.
Oggi ci è proposta la versione secondo Matteo.
Essa si apre con un’annotazione
apparentemente irrilevante:
«Sei giorni dopo» (v. 1a)
Mt 17-1-9 – Dopo che cosa? Non viene detto,
ma il riferimento più verosimile
sembra essere al dibattito sull’identità di Gesù,
avvenuto nella regione di Cesarea di Filippo
(Mt 16,13-20).
«Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni
suo fratello e li condusse… su un alto monte» (v. 1b).
Mt 17-1-9 – Come mai Gesù prende con sé
solo tre discepoli e perché sale su un monte?
Cominciamo da quest’ultimo particolare.
È curioso il fatto che,
soprattutto nel Vangelo secondo Matteo,
Gesù, quando fa o dice qualcosa di importante,
salga su un monte:
l’ultima tentazione avviene sul monte (Mt 4,8);
le beatitudini sono pronunciate sul monte (Mt 5,1);
sul monte sono moltiplicati i pani (Mt 15,29)
e, alla fine del Vangelo,
quando i discepoli incontrano il Risorto
e sono inviati nel mondo intero, si trovano
«sul monte che era stato loro indicato» (Mt 27,16).
Basta scorrere l’Antico Testamento
per scoprire la ragione di tanta insistenza.
Il monte, nella Bibbia, era il luogo
dell’incontro con Dio: fu sul Sinai
che Mosè ebbe la manifestazione di Dio
e ricevette quella rivelazione
che poi trasmise al popolo,
fu in cima all’Oreb
che anche Elia incontrò il Signore.
C’è di più: se leggiamo Es 24
troviamo che anche di Mosè si dice
che salì «dopo sei giorni» (Es 24,16),
non vi andò solo, ma prese con sé Aronne,
Nadab e Abiu (Es 24,1.9)
e fu avvolto da una nube.
Sul monte,
anche il suo volto fu trasfigurato
dallo splendore della gloria divina (Es 34,30).
Alla luce di questi testi
risulta chiaro l’obiettivo dell’evangelista:
intende presentare Gesù
come il nuovo Mosè, come colui
che consegna al nuovo popolo,
rappresentato dai tre discepoli, la nuova legge;
Gesù è la rivelazione definitiva di Dio.
«[Gesù] fu trasformato davanti a loro» (v. 2a)
Mt 17-1-9 – Si tratta di un “passivo teologico”,
il cui agente è Dio stesso.
Traduco “trasformare” e non “trasfigurare”
a ragione dell’idea di “forma” (μορφή)
presente nel verbo stesso,
e anche perché il Risorto è descritto così
da Mc 16,12, come colui
che apparve “in un’altra forma”.
«Il suo volto brillò come il sole
e le sue vesti divennero candide come la luce» (v. 2b)
Mt 17-1-9 – Nell’organizzare la scena,
Matteo si distingue dagli altri sinottici
per alcuni elementi peculiari.
Il «volto» di Gesù è paragonabile
a quello trasfigurato di Mosè sul Sinai,
che scendeva dal monte senza sapere che
la pelle del suo viso era raggiante (Es 34,29-35),
e che però doveva tenere velato.
Qui, però, c’è una differenza rispetto a Mosè:
mentre la realtà più profonda di Gesù
è “velata” per tutto il Vangelo,
questa è l’unica volta che quel velo è,
per breve tempo, tolto, e qualcosa
della sua gloria trascendente
è visibile ai discepoli.
Il dettaglio delle «vesti» luminose di Gesù
è ancora più interessante,
perché, per Matteo,
esse non sono semplicemente,
come per Mc 9,3,
bianche in modo straordinario,
ma sono «come la luce».
L’idea potrebbe rievocare la visione
del libro del profeta Daniele,
quando apparve un vegliardo la cui veste
«era bianca come la neve» (Dn 7,9).
Ma forse si può andare oltre,
e arrivare fino al libro della Genesi.
Ancora sul «volto» e sulle «vesti» di Gesù
Nelle fonti giudaiche antiche si legge
che la prima conseguenza della caduta
di Adamo ed Eva fu che divennero nudi.
I loro corpi, nello stato originario,
non erano «nudi»,
ma avvolti da una nube di gloria
o di un manto di luce;
appena violato il comando di Dio
questa veste cadde,
ed essi provarono vergogna.
Giocando sul fatto
che in ebraico «pelle» e «luce»
si scrivono quasi allo stesso modo,
l’interpretazione rabbinica sembra insistere
sulla relazione tra l’uomo e la donna, che
«dovevano essere trasparenti l’uno all’altro.
Questa trasparenza
doveva essere fonte di gioia e di luce.
Dopo il peccato,
persero questo vestito di luce
che si trasformò in pelle».
Servendosi di queste immagini,
Matteo afferma che i tre discepoli
sono testimoni privilegiati di un evento
chiamato “trasfigurazione”.
Nel nostro caso, esso designa Gesù che
si presenta diverso, trasformato, cioè al di là
(trans) dell’aspetto (forma) abituale.
Abituati a vedere l’uomo Gesù,
ora sperimentano
la sua dimensione oltreumana.
«Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia,
che conversavano con lui» (v. 3)
Mt 17-1-9 – Tutto parla al superlativo,
anche la presenza di due autorevoli personaggi
quali Mosè ed Elia.
Prima di sottolineare il valore della loro persona,
è significativo il valore del numero due:
secondo la legge ebraica (cf Dt 19,15),
un fatto, per essere accolto come vero,
doveva essere attestato da almeno due testimoni
I loro nomi hanno un’importanza stellare,
perché i due sono simbolo dell’Antico Testamento,
rappresentanti rispettivamente della legge e dei profeti.
Ora le sacre Scritture d’Israele hanno lo scopo
di condurre a Gesù, orientano a lui.
Senza di lui, l’Antico Testamento è incomprensibile;
ma anche Gesù, senza l’AT, rimane un mistero.
Nel giorno di Pasqua, per far capire ai discepoli
il significato della sua morte e risurrezione,
egli ricorrerà all’Antico Testamento:
«Cominciando da Mosè e da tutti i profeti,
spiegò loro ciò che, in tutte le Scritture,
si riferiva a lui» (Lc 24,27).
«Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù» (v. 4a)
Mt 17-1-9 – Pietro è l’unico
che riesce a verbalizzare i propri sentimenti
ed esce con l’espressione: «Signore,
è bello per noi essere qui. Se vuoi,
farò qui tre tende, una per te,
una per Mosè e una per Elia».
Matteo cambia radicalmente rispetto a Mc e Lc,
perché mette sulla bocca di Pietro il singolare
«farò» (anziché il plurale «faremo»),
preceduto da «se vuoi».
Letto questo particolare alla luce
della professione di fede
e del conseguente conferimento del primato
dal capitolo 16, la frase evoca
una nota di singolarità.
Pietro prende l’iniziativa in proprio,
distaccandosi dagli altri: è il “capo” a parlare.
Le sue parole portano il marchio
dell’immediatezza,
non meno che della irriflessione.
Matteo si guarda bene dal precisare,
come gli altri due sinottici, che Pietro
«non sapeva che cosa dire» (Mc 9,6) o
«egli non sapeva quel che diceva» (Lc 9,33).
Di fatto, le sue parole non avranno seguito:
le tre tende non saranno costruite.
Ancora sull’intervento di Pietro
Mt 17-1-9 – Secondo il profeta Osea,
l’abitazione sotto le tende
è un segno della visita che Dio compie
alla fine del tempo per abitare per sempre
con il suo popolo (cf Os 12,10).
Pietro pensa che la fine del tempo sia lì,
sul monte, e che convenga inaugurare
il cielo sulla terra.
Le sue sono parole dell’uomo
che vorrebbe eternare quell’attimo
per goderlo per sempre.
Pietro esprime un sentimento
umanamente condivisibile.
Tutti vorrebbero dimenticare un passato
gravato di difficoltà e ignorare un futuro
carico di incognite, per assaporare
unicamente un presente gratificante.
Anche se comprensibile
e in parte giustificabile, il desiderio di Pietro
rimane interiormente bacato,
perché vorrebbe snaturare
la finalità dell’esperienza.
La sua rimane una parola indebita,
perché egli parla prima di ascoltare,
vuole programmare prima di capire
il senso profondo dell’avvenimento.
La trasfigurazione è un fatto divino che
si comprende solo se Dio ne offre la chiave.
Per questo occorre prima ascoltare Dio,
e solo in seguito sarà possibile
pronunciare una parola adeguata e corretta.
«Una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra» (v. 5)
Mt 17-1-9 – La nuvola luminosa
è la forma sensibile
con la quale Dio si rivela.
Opaca a risplendente allo stesso tempo,
essa manifesta Dio presente,
senza rivelarne il mistero.
Porta con sé una ricca documentazione biblica.
È la nube che guida il popolo nel deserto (Es 13,21),
ed è dalla nube che Dio parla a Mosè (Es 24,16),
è ancora la nube che riempie il tempio
al momento della sua consacrazione (1 Re 8,10).
Oltre a essere elemento della presenza di Dio,
la nuvola coinvolge i tre discepoli
che entrano quindi nel mistero di Dio.
Ammessi all’esperienza divina,
perché avvolti dalla nuvola,
sono ora in grado di intendere la voce divina:
«Questi è il Figlio mio prediletto,
nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (v. 5b)
Mt 17-1-9 – Già al momento del battesimo (Mt 3,17)
la voce divina era intervenuta a proclamare
Gesù il «Figlio prediletto».
Ora, la sorprendente novità sta nell’imperativo
«Ascoltatelo».
Dato il contesto e tutta la dinamica del brano,
quest’imperativo lanciato dal Padre
ha la forza propulsiva di un impegno
che non può essere disatteso.
Nella Bibbia il verbo «ascoltare»
non significa soltanto «udire»,
ma equivale spesso a «obbedire»
(Es 6,12; Mt 18,15-16).
La raccomandazione che il Padre fa a Pietro,
Giacomo e Giovanni e, attraverso loro,
a tutti i discepoli, è di «porre in pratica»
ciò che Gesù insegna.
«I discepoli caddero con la faccia a terra
e furono presi da grande timore» (v. 6)
Mt 17-1-9 – Il cadere a terra bocconi
e il timore reverenziale dei discepoli
costituiscono una prima
e ancora istintiva risposta:
davanti a Dio l’uomo si mette in adorazione.
«Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse:
“Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi
non videro nessuno, se non Gesù solo» (vv. 7-8)
Mt 17-1-9 – Tutto ritorna nella normalità.
Spariscono Mosè ed Elia,
non si vede più la nuvola luminosa,
né si intende la voce di Dio.
Rimane Gesù. Solo lui ora conta.
Ricchi dell’esperienza avuta,
edotti dall’insegnamento divino,
i discepoli devono capire
che la loro vera risposta consisterà
nel seguire Cristo ovunque egli vada,
qualunque strada egli vorrà prendere,
perché solo in lui si realizza l’AT
rappresentato da Mosè ed Elia
solo lui è la piena a vivente espressione
dell’amore del Padre.
Stare con lui significa realizzare la storia,
compiere il progetto divino,
raggiungere la piena vittoria.
«Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno
di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo
non sia risorto dai morti» (v. 9)
Mt 17-1-9 – Si tratta
del cosiddetto “segreto messianico”,
tipico soprattutto del Vangelo secondo Marco.
Qui basti dire che il discepolo
cerca la luce perché non è soddisfatto
del proprio volto. Per questo intende
sottoporlo alla luce del volto di Dio.
Per “rifarselo”.
Giù, nella pianura del nostro quotidiano,
qualcuno aspetta di vedere che cosa
ci è successo, cosa siamo diventati
dopo quell’esperienza.
È il nostro volto «trasfigurato» che,
d’ora in poi, è incaricato di prendere la parola.
In tal caso, è opportuno tenere la bocca chiusa.
Foto: Beato Angelico, «Trasfigurazione»,
1438-1440, affresco (189 cm x 159 cm),
Museo nazionale di San Marco, Firenze /
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