Mercatino bombe atomiche

Mercatino bombe atomiche
1 Cronaca di un affare da un milione di morti

 

Al mercatino delle bombe atomiche.
Un reporter decide di dimostrare che
chiunque può acquisire la materia prima
per costruire un ordigno nucleare artigianale.

Cambia nome,
si allea con un mercante di armi.
Mette su un ufficio, usa telex, gira il mondo.
Alla fine il contratto è firmato.
Uranio e plutonio ci sono.

E, sorpresa delle sorprese,
la consegna dovrà avvenire
in una ambasciata di un Paese comunista.
Basta avere 140 miliardi…

Mercatino bombe atomiche
Si chiamava
Operazione Amid.

Scopo: la vendita
di materiale atomico
da un Paese
del Sud America
ad un Paese arabo.

Il materiale serviva
(o è servito)
per costruire
tre bombe atomiche

della stessa
devastante potenza
di quella che esplose
a Hiroshima nel 1945.

L’operazione Amid
non è una favola,
tant’è che
di questa vicenda

se ne sta occupando
da qualche mese
la procura
della Repubblica di Milano.

In Italia, infatti,
aveva sede
una società fantasma

che ebbe
un ruolo importantissimo
nella trattativa d’acquisto
delle tre bombe.

Il giudice
Francesco Greco,
che ha in mano
l’inchiesta,

ha scelto
la via del silenzio

per far sì
che le indagini
non vengano
in alcun modo
intralciate
dalla troppa pubblicità.

Quello che si sa,
dunque,
non è molto.

***

Mercatino bombe atomiche
L’operazione Amid scattò
nei primi mesi dell’80,
quando il governo
di un Paese arabo

incaricò
alcuni suoi emissari
residenti in Europa
di acquistare,

attraverso
canali clandestini,

una grossa quantità
di uranio arricchito
e di plutonio,
gli elementi-base
per la costruzione
di ordigni atomici.

I due emissari
sono stati identificati
grazie
a molti documenti
sequestrati in Italia

su ordine del giudice
Carlo Palermo,
che per molti anni
si occupò
del traffico internazionale
di armi.

Si tratta di
Anthony Tannouri
(libanese con
passaporto panamense,
legatissimo
al leader libico Gheddafi)

e di Mazed Pharaon
(dell’Arabia Saudita).

I due
riuscirono ad infilarsi
nei canali giusti
ed a trovare,

nel giro
di pochi mesi,

persone disposte
a vendere
centinaia di chili
di materiale nucleare

proveniente,
chissà come,
dal Venezuela.

L’accordo stava
per essere raggiunto

quando i venditori
del materiale atomico
chiesero ai due emissari
di fornire delle garanzie
sulla loro
disponibilità finanziaria.

Cosi,
nel dicembre dell’80,
nello studio notarile
di Lugano,

Tannouri e Pharaon
siglarono un pre-accordo
con cui misero
a disposizione
un piccolo acconto
della cifra

che venne poi pagata
per l’acquisto
definitivo della merce.

L’acconto tuttavia
non era in contanti
bensì in azioni,
per un equivalente
di circa
42 miliardi di lire.

***

Mercatino bombe atomiche
Ed ecco
che entra in gioco l’Italia.

Le azioni in questione,
infatti, erano delle
Assicurazioni Generali
di Venezia,
per l’esattezza
434mi1a titoli,

corrispondenti all’1,6%
del capitale azionario
della più grande
compagnia
assicuratrice italiana.

Le azioni, all’epoca,
erano intestate
ad una società italiana,
la Claus Fin,
con sede a Milano
in corso Venezia 7.

Si trattava di una società
praticamente sconosciuta
nel mondo finanziario:

evidentemente
venne costituita
con lo scopo specifico
di fare da copertura
all’operazione Amid.

Titolari
della società fantasma
erano due italiani:
Achille Caproni
e Flavio Briatore.

Entrambi latitanti,
entrambi ricercati
per uno scandalo
di bische clandestine
scoperto
dai giudici di Bergamo

(lo stesso scandalo,
per intenderci,
nel quale è coinvolto
Emilio Fede).

Mercatino delle bombe atomiche

Le 434mila azioni
che funsero
da «garanzia»
vennero depositate
presso la Banca Lambert
di Bruxelles.

L’operazione Amid
poté dunque giungere
alla sigla definitiva
del contratto
che avvenne a Ginevra.

In cambio
del materiale atomico
furono versati
1.200 milioni di dollari,
oltre duemila
miliardi di lire.

Erano i primi mesi
del 1981.

L’esistenza di questo
mercato nero
(«mercatino
delle bombe atomiche»)

è stata documentata
anche da un
giornalista francese

che, dopo cinque mesi
di inchiesta,

è riuscito ad arrivare
a sottoscrivere
un accordo
per l’acquisto di 20 chili
di materiale nucleare.

Il resoconto
di quell’inchiesta
viene pubblicato
in esclusiva
da Il Sabato
in queste pagine.

Renato Pezzini,
«Al mercatino
delle bombe atomiche»,
in “Il Sabato”
9 – 15 novembre 1985,
p. 16.

Mercatino bombe atomiche
2 Cronaca di un affare da un milione di morti

Mercatino bombe atomiche
La bomba atomica
è lì, pronta per esplodere.

Alta come una palazzina
a tre piani,
imballata
nel calcestruzzo
di un edificio

che abbiamo acquistato
appositamente
nel centro di Parigi.

L’abbiamo fabbricata
con poco meno
di venti chili
di uranio arricchito,

ed ha la stessa potenza
di quella che distrusse
Hiroshima:
ma solo in teoria.

La nostra, infatti,
farà molto meno danno.

Prima di tutto
perché non esploderà
in altitudine,

poi perché
è stata costruita
artigianalmente
da un dilettante.

Comunque
ha poca importanza.

Adesso,
lasciando la casa,
metteremo in funzione
il detonatore,

il tempo
di metterci al sicuro
e boom!

Fra dodici ore
sarà tutto distrutto
nel raggio
di mezzo chilometro.

Da 50
a 100mila persone
moriranno all’istante,
più gli altri
che verranno irradiati:

alla fine
non saremo lontani
dal milione di vittime.

***

Mercatino bombe atomiche
Una bomba atomica
fabbricata da dilettanti
in piena Parigi?

Inimmaginabile.

Con che materiale
è stata costruita?
E chi è il fisico nucleare?

E soprattutto,
com’è possibile
trovare
l’uranio arricchito?

No, non è
il soggetto grottesco
di un film
di second’ordine.

Ci sono voluti
esattamente
centoquarantadue giorni
per dimostrare
che si tratta di un
soggetto possibile.

Centoquarantadue giorni,
cioè cinque mesi
di inchiesta,
al termine della quale
possiamo affermare

che qualunque
gruppo terroristico
potrebbe fabbricarsi
una bomba atomica
e farla esplodere
dove più gli piace.

A una sola condizione:
avere a disposizione
i fondi necessari.

***

Mercatino bombe atomiche
La prova?

Noi ci siamo riusciti.
O quasi.

Ci mancavano soltanto
73 milioni di dollari
(140 miliardi di lire)

per entrare
definitivamente
in possesso
di 18,7 chili
di uranio arricchito
e di un chilo di plutonio.

Una somma irrisoria
se si pensa che l’Olp,
per fare un esempio,

riceve dai governi
arabi del Golfo
qualcosa come
400 milioni di dollari
l’anno.

3 giugno 1965:
è l’inizio
della nostra avventura.

Primo,
tastare il terreno.

La lettura
della stampa anglosassone
conferma la nostra idea
secondo cui,
da molti anni,

con regolarità
cronometrica
scompaiono
misteriosamente
materiali strategici.

Maggio 1966:
cento chili
di uranio arricchito
spariscono
da una fabbrica
in Pennsylvania, Usa.

Settembre 1973:
un notevole quantitativo
di barre di plutonio
viene rubato
dal centro nucleare
di Doureay, Inghilterra.

Settembre 1977:
undici chili
di uranio arricchito
svaniscono ad Apollo,
Pennsylvania.

Settembre 1980:
lungo una strada
della Virginia
viene ritrovato
un camion carico
di uranio arricchito.

Nessuno
aveva denunciato
il furto.

1982: secondo
una stima degli esperti,
nel corso degli ultimi
trentasette anni

circa 800 chili
di uranio arricchito
sarebbero scomparsi
dalla fabbrica
di armamenti nucleari
di Oak Ridge, Tennesee.

Abbastanza
per costruire
circa
ottanta bombe.

***

Mercatino bombe atomiche
Se questi furti
sono realmente avvenuti,
significa che
da qualche parte nel mondo

ci sono chili e chili
di uranio arricchito
e di plutonio

che aspettano solo
di trovare un compratore
al mercato nero.

E, di fatto,
ci sono Paesi
come India,
Israele, Pakistan
e altri ancora

che dispongono
della bomba
nonostante
le restrizioni
severissime

del Trattato
sulla non
proliferazione
atomica.

Segno
che questo mercato
funziona
senza
eccessivi problemi
da parecchi anni.

Logico no?

Le voci «ufficiali»
da sempre
smentiscono
questi racconti

relativi
ai ripetuti furti
di plutonio e
di uranio arricchito.

Noi però
abbiamo sentito
diverse campane,
certo poco ufficiali

ma probabilmente
molto vicine
alla realtà.

Come la storia
di una fotografia
mostrataci da un
collega americano:

mostra 12 chili
di plutonio rubati
e messi in vendita
a Khartoum, Sudan,
nel novembre dell’ 82.

Il giornalista
non sapeva
chi si fosse
aggiudicato il lotto,

ma sapeva
per che cifra
era stato venduto:

un miliardo e
450 milioni di franchi
(trecento miliardi di lire).

***

Mercatino bombe atomiche
L’unico modo
per dimostrare l’esistenza
di questa realtà inquietante

era comprare noi stessi
i componenti essenziali
di un kit per costruirci
da soli la bomba:

l’uranio arricchito
e il plutonio.

E provare l’acquisto
con documenti
inoppugnabili.

Innanzitutto
occorreva trovare
una copertura adatta.

Sten Ericson
(il mio amico scienziato)
interpreterà se stesso:
un trafficante d’armi.

Io, Patrick Berthreu,
mi chiamerò
d’ora in poi
Patrick Bertin

e sarò l’emissario
di un governo
sudamericano.

Occhiali scuri,
vestito spezzato,
valigetta ventiquattrore:
questo
per il mio aspetto.

Infarinatura
tecnico-finanziaria
fornitami da Sten
e da un corso
di alta finanza:

questo
per sostenere la parte.

Ufficio sui Campi Elisi,
telex, telefono, segretaria,
biglietti da visita,

l’appoggio prudente
di un amico avvocato
che garantisce
l’esistenza
di una solida
copertura finanziaria

e della mia
attività governativa:
questo
per la credibilità.

La scommessa
è pazzesca,
la diffidenza
dei nostri interlocutori
sarà assoluta,

ed è una diffidenza
comprensibile
se si considera
che vorremmo
mettere le mani
su materiali

che valgono
almeno 100 milioni
di franchi al chilo
(mille volte
il prezzo dell’oro).

Mercatino bombe atomiche

Due mesi e mezzo dopo
il dubbio ci consuma.

Abbiamo speso
cinque milioni
in telefono,
un milione di telex,

abbiamo percorso
in treno, auto e aereo
l’equivalente
del giro del mondo.

Siamo andati in cerca
dei venditori
di Khartoum:
erano in prigione.

Abbiamo contattato
decine di finanzieri:
non volevano nemmeno
sentir nominare
la parola «atomo».

Abbiamo incontrato
trafficanti
d’anni specializzati
nel settore:

o si erano già ritirati
dagli affari
o non volevano
arrischiarsi
su un terreno

dove i loro
diretti concorrenti
erano iraniani
o iracheni.

Abbiamo dormito
in media
quattro ore
per notte,

pronti a scattare
al più flebile richiamo,
a precipitarci in strada
al più piccolo
segnale radioattivo.

E malgrado tutto
non è ancora
successo niente.

Mercatino bombe atomiche

Rileggiamo
attentamente
i rapporti
del Senato degli Usa
sui furti
di materiale radioattivo.

Un nome ricorre
con insistenza:
si tratta
di un uomo d’affari
pakistano

residente a New York,
sospettato
(ma senza alcuna prova)
di essere un cervello
dell’organizzazione.

Questo uomo d’affari
lo chiameremo Balamian

(i nomi dei personaggi
e dei luoghi citati
d’ora in poi
sono stati,
comprensibilmente,
cambiati).

Decidiamo
di andarlo a trovare
nel suo lussuoso ufficio
di Park Avenue.

La sua società
si occupa ufficialmente
di commercio
in materie prime.

Balamian,
un ometto grassoccio
dalla carnagione olivastra,
ascolta con gentilezza
la nostra litania
senza la minima sorpresa.

Conosce Sten di fama
ed ha quindi
tutte le ragioni
per crederci.

«Del plutonio?
Lo cercano tutti
in questo momento,
nemmeno io
riesco più ad averne».

La nostra aria afflitta
lo sollecita:

«Visto il Paese
per cui lavorate
potrebbe esserci
qualche possibilità
in Francia».

Straordinario:
«Ma signor Balamian,
è proprio dalla Francia
che arriviamo,
e sono tre mesi
che giriamo dappertutto».

Con un sorriso
ci spiega
qual è la fonte
cui fare riferimento:
si tratta
di una fonte politica.

***

Mercatino bombe atomiche
Stupefatti
per l’enormità della proposta
torniamo a Parigi

e il giorno dopo
siamo all’indirizzo
fornitoci da Balamian.

Uno stabile moderno
e triste
in una triste periferia.

«Quinto piano»
aveva detto Balamian,
ma nell’ascensore
il bottone
con il numero 5
non c’è.

Torniamo al portone
per guardare i campanelli:
tra quello del quarto
e quello del sesto piano
ce n’è uno senza nome.

Lo schiacciamo:
«Sì?».
«Balamian,
di New York».

«Va bene,
prenda l’ascensore
numero 3».

L’ascensore
è teleguidato,
comandato dal piano
per cui fa servizio,
comodo per evitare
gli importuni.

Ma noi non siamo
importuni,
il nome di Balamian
funge da
passepartout.

L’uomo che ci riceve
puzza di funzionario
lontano un miglio.

Sulla cinquantina,
quasi calvo,
occhiali senza montatura,

ufficio traboccante
di comfort destinato
ad impressionare
il visitatore.

Andiamo subito
al nocciolo
della questione.

Nessuna
fioritura oratoria,
nessuno
scrupolo morale.

Il nostro interlocutore
ci ascolta cortesemente,
poi alla fine butta lì:

«Prima che
ci spingiamo oltre,
vorrei una conferma

delle vostre credenziali
dalla vostra ambasciata
e della vostra
copertura finanziaria
dalla vostra banca».

Il colloquio è finito;
ci accompagna
alla porta
e ci stringe la mano:

«Sempre a vostra
disposizione».

***

Mercatino bombe atomiche
Ancora una volta
dobbiamo mollare la presa
e scomparire nell’oblio:

non c’è modo di far bere
a questa gente
una storia qualunque,
sono troppo malfidenti,
troppo organizzati.

Quarto mese di inchiesta,
e ancora niente.

Ma dopo
decine di telefonate
ai suoi amici
Sten sembra
aver trovato una pista.

Pare che
la vendita di plutonio
avvenuta
nel novembre ’82
a Khartoum

sia stata realizzata
grazie ad una società
fiduciaria svizzera
che ha curato
la parte finanziaria.

Subito dopo l’affare,
la banca venne
naturalmente liquidata,
come avviene di solito,
per lasciare il minor
numero possibile di tracce.

Il suo direttore,
però, c’è ancora,
si chiama Michel Aubert.

Una centralinista
gentilissima
ci procura
il suo indirizzo
di Ginevra.

Il primo
contatto telefonico
è laconico:

«Signor Aubert?»,
«Sì, sono io»,
«Lei è ancora
nel commercio
internazionale?».
«Sì».

«Le manderemo
un telex stasera».

Il testo sarà sibillino:
«Cerchiamo
del beaujolais,
densità superiore
a 23°».

Parlando di beaujolais
invece che di
mercurio rosso,
facciamo capire
a Aubert
che conosciamo il codice.

Inoltre tastiamo
il terreno
per sapere se è minato.

Il mercurio rosso,
a quella densità,
può servire
a pacifici
scopi industriali,

oltre che a fini bellici,
come per innescare
una bomba
termonucleare.

***

Mercatino bombe atomiche
Aubert risponde.
«Incontriamoci a Ginevra».

A questo punto Sten
mi spiega nei dettagli
la vicenda di Khartoum.

Più particolari conoscerò,
più avrò l’aria credibile.

Infatti,
se c’è una cosa
che ho imparato
in questi mesi

è che il probabile
acquirente
non viene giudicato
solo in base alle sue
possibilità finanziarie

ma anche
alle sue relazioni
e alle sue conoscenze.

Quarantott’ore più tardi,
con Aubert
(ha passato
la sessantina
ed è il prototipo
del banchiere svizzero),

siamo
all’albergo President,
in riva al lago
di Ginevra:

atmosfera vellutata,
una clientela
di finanzieri, di emiri,
di ricchi americani
e prostitute d’alto bordo.

La conversazione si svolge
attorno a una tazza di tè.

Diffidenza reciproca,
prudenza esacerbata.

Sappiamo tutti
che la posta in gioco
è grossa.

Se le nostre offerte
e la nostra copertura
lo soddisfano,

potrà farci
da intermediario
con i venditori di uranio,
intascando ovviamente
una commissione
sostanziosa.

Per quel prezzo, però,
sarà anche garante
dell’assoluta legalità
del contratto.

Garantirà la consegna
e il pagamento.

Bisogna giocare
con decisione.

«È possibile ottenere
del materiale 235
e del P
in quantità ragionevole
per uso militare?».

«Penso che sia fattibile.
Bisogna che ne parli
con i miei
corrispondenti».

È chiaro
che non si fida.

Una decina di telex
e parecchi colloqui
non saranno pochi
per ottenere
la sua fiducia.

La ricetta
per convincere
un finanziere?

Essere molto esigenti,
chiedere per primi
nuove garanzie.
Un vero
braccio di ferro.

Mercatino bombe atomiche

Fine settembre,
sembra che
abbiamo vinto la partita.

Aubert è convinto
che siamo davvero
dei compratori
e che disponiamo
della somma necessaria.

Ci mette in contatto
con un gruppo tedesco
a Londra,

che disporrebbe
di circa 18 chilogrammi
di uranio arricchito
e di un chilogrammo
di plutonio.

Costo presunto
della merce:
70 milioni di dollari,
e da quattro
a cinque milioni
per la commissione.

In questo periodo,
Aubert,
un po’ perché
abbiamo simpatizzato,

un po’ per farci capire
che non è
nel nostro interesse
cercare di imbrogliarlo,

ci riferisce
delle storie edificanti
che si sentono raccontare
nella confraternita
dell’atomo parallelo.

Del resto,
non è il primo.

Qualcuno
ci ha già raccontato
che proprio l’acquisto
da parte dell’Iraq
dei famosi dodici chili
di plutonio di Khartoum

abbia provocato
il raid israeliano
alla centrale atomica
di Tammouz.

Altri ci hanno detto
che un uomo politico
è stato assassinato

per aver cercato
di immischiarsi
in una transazione
di materiale atomico.

Non mancano,
naturalmente,
storie di truffe,

dove le somme in gioco
giustificano la creazione
di banche fantasma,
vendite
di uranio invisibile,

aerei da trasporto
che svaniscono
misteriosamente
nei pressi del triangolo
delle Bermude.

Qualcuno assicura
che una
delle vittime preferite
di queste truffe
è la Libia,

che ha speso
milioni di dollari
per avere una bomba
che non è mai arrivata.

***

Mercatino bombe atomiche
Ma torniamo
alla realtà del presente.

Un telex dalla Svizzera
ci spedisce a Londra.

Alla reception
dell’hotel Londonderry
ci aspetta un plico
con le istruzioni.

«Sono Patrick Bertin.
Ci sono messaggi per me?».
«Certo, signore».

Devo andare,
a piedi, all’hotel
Sheraton Park Tower
passando
per Hyde Park.

Un espediente classico
per accertarsi
che nessuno mi segua.

Là trovo
il secondo messaggio:
il signor Dieter
ci attende in una
saletta privata.

Capelli a spazzola,
naso rotto da boxeur,
vestito gessato,
accento tedesco,
Dieter si presenta
come un tecnico.

Affronta lui
per primo
il problema del trasporto,
ricordandoci
le restrizioni imposte
da questi materiali strategici.

In questo caso
i 18,7 chili
di uranio arricchito
saranno imballati
in un contenitore speciale.

Ogni barra,
da 800 grammi circa,
è incastrata
in un involucro isolante
al piombo

per impedire il rischio
di una fissione nucleare
spontanea.

Il contenitore
pesa 135 chili.

Il plutonio,
diviso in barre
da 250 grammi,
è in un contenitore

da 35 centimetri
di diametro,
90 di lunghezza
e del peso
di 35 chilogrammi.

«Come pensate
di provvedere
al trasporto?».

Rispondiamo
di aver previsto
l’impiego
di un sottomarino

perché sappiamo
che è il mezzo abituale
per assicurare
la segretezza
del trasporto
della materia.

I satelliti-spia
sono infatti
completamente impotenti
nel controllo
dei movimenti sottomarini.

Col pretesto
della nostra incompetenza
esigiamo di conoscere
le caratteristiche precise
e la provenienza
dell’uranio e del plutonio.

Dieter si schermisce,
ma ci fa capire
che il materiale
ha un forte accento
Est-europeo.

Una parte del lotto
dovrebbe infatti
venir prelevata
da un’ambasciata rossa,

se da parte nostra
siamo in grado
di farla viaggiare
con valigia diplomatica.

A sentir lui
è una pratica corrente…

Alla fine
ci fornisce
le caratteristiche
che pretendiamo
di conoscere.

***

Mercatino bombe atomiche
Un fisico nucleare,
da noi consultato,
ci conferma:

«È molto meglio
che avere una fotografia:

queste precisazioni
sono esattamente quelle
che corrispondono
all’uranio arricchito
e al plutonio».

Per la prima volta,
dall’inizio
della nostra inchiesta,
siamo in possesso
di un documento

che dimostri che gli uomini
con cui siamo in contatto
dispongono
di materiali atomici
e che li vendono
senza scrupoli.

Questa rivelazione
è già di per sé
sconvolgente,

ma riusciremo a firmare
un contratto d’acquisto
di 73 milioni di dollari,
prova irrefutabile
della realtà
di questo traffico?

Ricomincia per noi
la trafila dei telex,
delle telefonate, dei colloqui
che dovrebbero permetterci
di vincere la nostra scommessa.

Dopo una lunga sequenza
di alterne vicende,
che ci fa passare
dalla speranza più folle
alla disillusione più nera

di fronte alle richieste
apparentemente
inappagabili
dei venditori,

riusciamo finalmente
ad entrare in possesso

della copia
di un contratto di vendita
di plutonio
e uranio arricchito
«tipo militare»,

che comprende
delle clausole
sorprendenti.

Vi si scopre,
infatti,
che non soltanto
i venditori

si impegnano
a rilasciare
la mercanzia
in un porto
di nostra scelta,

ma che una grande
compagnia internazionale
di assicurazioni
garantisce
il trasporto e la qualità
dei prodotti in questione.

È dunque questo
il mercato parallelo?

In ogni caso,
la macchina ormai
è lanciata.

I telex che riceviamo
si fanno
sempre più pressanti:
ci avvertono
che altri acquirenti
sono in lista d’attesa

e che un governo
sarebbe pronto a firmare,
se noi rifiutiamo.

A questo punto
dichiariamo di accettare
in blocco
le clausole del contratto
e veniamo convocati
a Londra per la firma.

***

Mercatino bombe atomiche
L’appuntamento
è per il 6 di ottobre,
a Knightsbridge,
a due passi
dal Park Tower hotel.

Ufficio di un lusso discreto,
estrema tensione.

Presenti: Jack Lime,
procuratore dei proprietari,
e il suo assistente,
John Collins;
Aubert

e, naturalmente, io,
Patrick Berthreu
alias Patrick Bertin.

A questo stadio
della trattativa,
il più piccolo passo falso
avrebbe delle conseguenze
incontrollabili.

Gente capace
di vendere del plutonio
potrebbe rivelarsi
pericolosa
se scoprisse
che sono un giornalista.

Ricevo l’originale
del contratto.

Con i 18,7 chili
di uranio
e il chilo di plutonio

ho di che fabbricare
una bomba atomica
in grado,
in condizioni «ideali»,
di radere al suolo Parigi.

Con lo stomaco
attanagliato dalla paura,
rileggo attentamente
le clausole

imposte dalla Pacific
Chartered Bank,
venditore ufficiale
del materiale.

L’uranio
è stato ribattezzato
per l’occasione
«software»
e il plutonio
«hardware».

Finalmente sigliamo
le sei pagine fitte
di clausole severissime

e apponiamo le firme,
davanti a due testimoni,
in fondo all’ultima pagina
dei due esemplari
del contratto.

L’abbiamo in tasca
la nostra bomba atomica.

Insomma, quasi.

Appena avremo versato
73 milioni di dollari…

Patrick Berthreu, Sten Ericson
© 1985 V.S.D. e “Il Sabato”,
(traduzione di Anna Tagliavini)
in “Il Sabato”,
9 – 15 novembre 1985,
pp. 16-18.

Foto: Esplosione
di una bomba /
atlanteguerre.it

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