Marie Noël poetessa della serenità conquistata
Marie Noël. Esiste, nel cuore della Borgogna, a Sud-Est di Parigi,
sui fianchi di una storica collina sulla riva destra del fiume Yonne,
una piccola città generalmente dimenticata dal grande turismo organizzato: Auxerre.
Una cittadina austera e tranquilla: vie strette e tortuose,
angoli d’ombra pieni di mistero, giardini riservati dietro alte mura,
palazzotti rannicchiati freddolosamente attorno a una grande
e massiccia cattedrale gotica che domina tutto l’abitato.
È qui che in un giorno di neve di un secolo fa, nacque Marie Noël,
la poetessa forse più autentica e vera della Francia contemporanea.
Un nome certamente poco «chiacchierato»,
come orrendamente si dice, nel nostro Paese.
Ma per lunghi anni nome di conoscenza limitata anche in Francia.
Precisamente perché l’esistenza di questa grande donna
è trascorsa sempre nel piccolo mondo appartato delle sue origini,
nel ritmo lento e uniforme di una antica famiglia borghese,
all’ombra incombente della grande cattedrale,
conservando sempre un linguaggio poetico dolce e commovente,
lontano da ogni sofisticazione intellettualistica,
fino al suo spegnersi definitivo, in tardissima età.
Marie Noël. Noël è un nome d’arte, scelto molto presto dalla poetessa,
come sua più personale qualificazione.
Suo padre, Louis Rouget, era un letterato, un professore umanista,
colto ma non credente, uno spirito positivo, impregnato di Kant e di Spencer,
uno di quei «rispettabili messeri», come li chiamava Sartre,
per i quali il professorato era un sacerdozio,
attorno ai quali, in famiglia, si girava in punta di piedi.
Ma la madre era una donna pia e saggia, «una santa ragionevole» dirà Marie Noël,
la quale, per addormentare la sua bambina, sapeva improvvisare canzoni semplici
ma non banali, un po’ tristi, che rivelavano alla figlia l’animo
del buon popolo della Borgogna, facendo maturare in lei
quello stato permanente di sorpresa nella scoperta della vita,
quella sua attenzione alla melodia interiore,
che sono sempre all’origine di ogni più autentico e più puro lirismo.
Ma la vita di Marie Noël (Marie Rouget), trascorsa tutta
senza grandi avvenimenti esteriori che non fossero quelli che travolsero
e umiliarono tutta la Francia, portando due volte a Parigi le «Panzertruppen»
del primo e del terzo Reich, a sfilare lungo i Champs-Elysèes,
tardò lunghi anni ad avere qualche risonanza nel mondo delle Lettere.
Essa stessa sembrava fuggire la notorietà.
«Parlez de moi le moins possible» era solita dire agli intervistatori.
E aggiungeva sempre: «Citate solamente le mie poesie: esse dicono tutto di me».
Ma i suoi testi poetici cominceranno tardi a farla uscire dall’anonimato,
e tra l’uno e l’altro sarebbero trascorsi quasi sempre lunghi anni.
Il primo di essi, «Les Chansons et les Heures», apparve nel 1920,
e fu una grande sorpresa. Eminenti critici di quel tempo, cattolici e no,
salutarono con sincero entusiasmo questo avvenimento letterario.
Sommo tra tutti il celebre storico e pensatore Henri Bremond,
uomo di rara penetrazione estetica e psicologica.
Tutti non finivano di stupirsi della grande scoperta.
Così dunque, si dicevano, una giovane donna oscura
rinnovava i grandi temi della migliore lirica,
esauriti da un secolo di artificioso romanticismo!
Che avevano di particolare queste liriche? Donde veniva il loro fascino?
Semplice: Marie Noël riscopriva il mondo più quotidiano e comune,
il volto familiare delle cose, l’emozione vera;
essa sapeva ascoltare, nel silenzio, in se stessa,
il canto commovente di un’anima alle prese col suo destino.
La sua era una voce, ora triste ora lieta, ora ingenua ora un po’ maliziosa,
che usciva dal cuore di un mondo riscoperto, una specie di sinfonia
della semplice esistenza, dove tutti si incontravano con i loro amori e le loro pene,
le loro speranze e le loro delusioni, le loro gioie e le loro lacrime.
Era l’emozione di una giovane donna rimasta ancora sul limitare del mondo,
della vita, della sua vita.
Leggiamo, in questa sua prima raccolta di versi la canzone «Connais-moi»!
Fino dal momento in cui cominciò a scrivere i suoi pensieri, il suo moto interiore
più spontaneo fu di nascondere agli altri la sua verità più profonda:
«Conoscimi o passante, conoscimi se puoi! /
Io sono ciò che tu pensi, ma sono anche tutto il contrario. / Io sono
e non sono quella che ti sembro. / Conoscimi, conoscimi!
Ciò che t’ho detto lo sono davvero? /
Conoscimi: lo puoi tu? Lo posso io?» – «Le puis-je?».
Ma, chi potrebbe dire di conoscere davvero
i risvolti più profondi e significanti delle persone che avvicina, e di se stesso?…
Prosegue Marie Noël:
«Oh amico, quando tu vedessi / tutto il mio piangere, e tutto il mio ridere, /
quando osassi io stessa raccontarti tutto / quando tu spiassi da vicino /
tutto il mio gestire e il mio agitarmi / attraverso il buco della serratura /
tu ancora non mi conoscerai».
* * *
Passeranno dieci anni di silenzio, fino alla raccolta di canti seguente,
i «Chants de la Merci», per ricadere nel silenzio e nell’ombra per altri diciassette anni,
fino al 1947, quando apparvero i suoi «Chants et Psaumes d’Automne».
La grande poetessa era allora avviata davvero
sul viale del suo solitario autunno:
ma era una stagione della sua vita non meno ricca delle precedenti,
per sempre nuovi fermenti e per antica magia.
Disperando di essere conosciuta dagli uomini nella sua così fragile essenza,
e di conoscersi a fondo essa stessa,
oserà un giorno presentarsi trepida e umiliata davanti a Dio stesso, per chiedergli:
«Qui suis-je, donc?».
Ma la domanda equivaleva ad un’altra: Chi è il poeta? Cos’è la poesia?
Come definire la capacità di captare la magia delle cose? Come definire la grande poesia,
il suo mistero? Un mistero di grazia che lo spirito umano
non può fare altro che subire, perché lo si porta in sé nascendo?
«Poeta si nasce» disse Cicerone: era proprio di questo possedere
senza avere conquistato che egli ha voluto parlarci.
Voi un giorno contemplavate un paesaggio della terra,
e improvvisamente una luce indescrivibile
ha sfiorato il volto di tutte le cose sotto i vostri occhi,
ve ne ha rivelato il loro volto segreto; e nella vostra anima
spuntava l’alba di un mondo che non era di quaggiù!
La poesia è nelle cose:
se noi fossimo più attenti ai richiami che esse continuamente ci fanno,
forse ci rivelerebbero la loro anima segreta,
creando in noi una dolorosa nostalgia di nuove terre e nuovi mondi.
Anche Marie Noël aveva un giorno esclamato:
«Je veux m’en aller d’ici! Je veux, avant l’Hiver qui vient,
partir avec mon coeur sauvage». (Chants de la Merci, pag. 12)
Sono parole dolorose ma illuminate,
un «leitmotiv» che ritroviamo tante volte nelle sue liriche,
come in «Chants au bord de la rivière» e in (sentite!)
«Prières d’avant la vie, de pendant, et d’après».
Sono nostalgie dolorose, bisogni di evasione,
che anche il cristiano più autentico sente talvolta sorgere dal profondo,
voci di una comune antica angoscia.
* * *
Angoscia invincibile, congenita?
No. Si tratta sempre di saperla superare alla luce della ragione,
di un po’ di umorismo, di tanta Fede.
Come accadde a Marie Noël
Nell’anno 1959, dopo un altro lunghissimo silenzio,
dietro istanze del noto romanziere amico Raymond Escolier,
colui che per primo l’aveva scoperta e l’aveva raccontata al mondo,
Marie Noël acconsente finalmente di pubblicare le sue «Notes Intimes»
(Ediz. Stock), le quali erano state redatte, di giorno in giorno,
solo per se stessa e fecero subito rumore.
Per tutti coloro, quasi innumerevoli,
che si sentivano imbarazzati dal mistero Marie Noël,
quel libro fu una rivelazione: si comprese tutto di lei,
si vide da quale profondità interiore,
e alternative continue di sofferenza e di gioia,
era nata una poesia che rendeva un suono così grave,
così puro, così vero, così capace di parlare al cuore.
«A diciotto anni, – essa racconta -, ho venduto il mio spirito a Dio,
come altri vendono le loro anime al diavolo.
Allora io ero brutta, goffa, gracile, vergognosa, come l’anatroccolo brutto,
(Gauche, laide, chetive, honteuse comme “le vilain petit canard”)
ma avevo dello spirito… uno spirito chiaro, sereno, vivo, acuto,
che pungeva, mordeva senza misericordia.
Appena un tipo un po’ comico s’arrischiava di capitarmi sotto gli occhi,
io lo afferravo al volo, lo qualificavo con una parolina ironica.
Mio fratello mi chiamava “vipera”.
Sarebbe stato più esatto dirmi zanzara, o vespa.
Un bel giorno io gli credetti, e vidi me stessa così come ero,
con il mio cattivo pungiglione.
Poteva una ragazza cristiana, mi chiesi, continuare così?
Rinuncerò al mio spirito più vero?
Ma, senza di lui, che mi sarebbe rimasto?
Io non possedevo né bellezza, né fascino, niente di attraente
(ni beauté, ni charme, rien pour plaire).
Nella mia coscienza Dio mi rivolgeva sguardi di rimprovero…
È allora che mi venne un’idea: cedergli il mio temperamento,
ma… contro compenso!
E glielo ho venduto; senza porre un prezzo preciso, ma caro:
tanto, mi dissi, Dio è ricco. E sapevo che mi avrebbe pagata bene.
Così sono diventata un po’ per volta, la dolce piccola ragazzina
a cui nessuno faceva più attenzione, (la douce petite fille ni vue ni connue),
nemmeno in casa, come fossi un cerino spento.
Passarono così vent’anni, e venne il successo, singolare, inatteso…
Era questo il compenso offertomi da Dio? Era il dono della poesia?
Ma no: io lo possedevo fino dall’infanzia!
Era piuttosto il dono di una capacità di vedere, invece del lato ridicolo,
tutto ciò che vi è di meglio anche in quelli nei quali non v’è nulla.
Così che ora io li amo, anche se ridicoli, sciocchi, mediocri;
e posso giocare con la mia malizia solamente per divertirmi,
senza fare del male a nessuno».
Nessuna pagina di queste preziose «Notes Intimes»
mette maggiormente in piena luce questa intelligentissima donna,
che apparve spesso carica solo di sofferenza e di umani disagi.
* * *
Tuttavia, questa sua profonda capacità di soffrire,
questa sua quasi incapacità di fare pace con se stessa,
con il volto spesso repulsivo della specie umana,
e anche, si direbbe, con il Dio che amava, le rimarranno sempre;
sia pure con alternative di infinita generosità nel dono di sé,
nella convinzione sempre più ferma e pacificante della paternità di Dio,
continuamente riscoperto nel fascino delle sue opere e dei suoi doni.
Scoprire un volto più amabile e vero di Dio,
quale segreto di pace e di abbandono!
«Dio è la perfezione, – scrive nel suo diario intimo -, in Lui è la Legge,
ma in Lui vi è anche il Gioco.
Sua opera sono i Serafini, ma anche la farfalla;
sono i cieli, le stelle, le leggi che guidano gli astri,
ma anche il fuoco, il vento, i capricci delle nuvole.
Dio si diverte a creare dei fiori, ma ha inventato, per ridersela,
(e se non è per ridere, perché mai?)
anche le code degli scoiattoli, le penne dei pavoni, le zampe delle cicogne,
le proboscidi degli elefanti, le gobbe dei cammelli.
E ha un sorriso anche per il capriolo che danza,
per la gallina che spinge fuori il suo uovo,
e per il becco dalla lunga barba che assale la sua capretta.
Così io pure vorrei che anche la mia anima,
e tutto ciò che scrivo, fossero Ordine e Fantasia».
Di Marie Noël noi possediamo una vera galleria di ritratti,
in tutte le età della sua vita: non sorridono mai!
Più spesso sembrano dire solo frustrazione e sofferenza.
Ma, con la pubblicazione delle sue «Notes Intimes» noi siamo in grado
di vedere anche il sincero sorridere della sua anima.
Anche il suo ridere?
Forse no, ma in questa famiglia dei figli degli uomini la varietà è immensa,
e nessun volto ripete totalmente un altro.
Tutti però li uniscono le medesime radici,
che sono inequivocabilmente divine!
Marie Noël, un gran nodo di sofferenza,
ha sempre sentito che il sangue della sua anima
gridava una grande e dolce paternità, quella di Dio.
Nella celebre lirica «Vision», il capolavoro della sua prima raccolta di versi,
e forse di tutte quelle che seguirono,
Marie Noël benché fosse allora appena trentenne,
immagina i giorni del suo declino
e l’avvicinarsi del momento supremo e definitivo del suo incontro,
faccia a faccia, con Dio.
Allora, sopra la confusione grande che l’ha sempre posseduta
nel giudicare la sua realtà umana e l’onestà della propria vita,
apparirà, più fermo che mai l’abbandono totale al Padre di tutti.
A lui che non sbaglia, a lui che ci ama, essa griderà:
«Comme une femme emporte son enfant endormie, /
oh mon Dieu, Tu me prendras, Tu m’emporteras /
au milieu du ciel splendide en ta demeure, /
où peu à peu le matin éternel réveillera mon âme».
E qui sentiamo più che mai la facile assurdità di chi ha voluto definire «poète nocturne»
questa grande donna così profondamente illuminata dalla Fede,
così irrefrenabilmente presa da un grande canto interiore.
Ermanno Pascotto, «Marie Noël poetessa della serenità conquistata»,
in “L’Osservatore Romano”, sabato 22 ottobre 1983, p. 3.
Foto: Marie Noël / youtube.com