Mali di Roma /2

Mali di Roma /2
L’indifferenza è il grande tema di oggi

 

A colloquio con Giuseppe De Rita,
relatore alle assemblee pubbliche del 1974

Mali di Roma /2 – Tra il 13
e il 15 febbraio del 1974
si svolse a Roma
il convegno ecclesiale:

“La responsabilità dei cristiani
di fronte alle attese di carità
e giustizia nella città di Roma”,

poi denominato dai giornalisti
e passato alla storia
come il convegno
“sui mali di Roma”.

Uno dei protagonisti
di quell’evento fu il sociologo
Giuseppe De Rita

che incontriamo
nella sede del Censis,
il centro studi da lui fondato
circa dieci anni prima.

***

Mali di Roma /2 – Facciamo il punto
di esattamente 50 anni fa,
che lavoro faceva?

A febbraio del 1974
c’era già il Censis
e quindi vi lavoravo
nella vecchia sede
di Corso Vittorio,

fu subito dopo,
nel mese di marzo
che arrivammo qui
a piazza di Novella.

Come si è trovato ad essere
uno dei relatori
di questo convegno?
Fu per l’amicizia
con monsignor Riva?

Il convegno doveva essere
un appuntamento quasi di routine,
giacché era previsto
come l’incontro annuale indetto
dal Servizio degli assistenti sociali
del Pontefice,

dedicato questa volta
alle povertà relazionali
della città.

Ma Ugo Poletti,
il cardinale vicario,
nominò invece
un gruppo di lavoro
alquanto eterogeneo,
poco istituzionale:

con lui e il vescovo ausiliare,
monsignor Giulio Salimei,
c’erano don Luigi Di Liegro,
il prete rosminiano
Clemente Riva,

Luciano Tavazza,
grande animatore
degli ambienti del volontariato
sia romano sia nazionale

e il sottoscritto,
segretario del Censis
e imprenditore privato
nel campo della ricerca sociale.

Si capì subito
che la logica sottostante
a questa idea di convegno

non era quella
di un appuntamento di routine
ma di smuovere le acque
e far parlare la città.

Sorsero subito
sospetti e chiacchiere,
soprattutto contro Poletti,

accusato di uscire
dai binari tradizionali
e di affidarsi
a persone non note,
non “abituali”.

Mali di Roma /2

C’è da considerare che anche
la Democrazia cristiana romana
non si sentiva molto rassicurata
da questa impostazione..

insomma, le polemiche
arrivarono fino al Papa,
che convocò Poletti.

Il cardinale difese
con forza e abilità
l’impostazione data
dal gruppo di lavoro

e quando presentò
il programma a Paolo VI,
alla sua domanda:
«Riva so bene chi sia;
ma questo De Rita,
da dove viene?»

prontamente e con astuzia
rispose con un argomento
che non ebbe repliche:
«È padre di otto figli».

E così
organizzammo il convegno,
pieni di entusiasmo,
e ricordo che il cardinale,
per incitarmi a fare bene,
mi disse:

«Guardi che lei
è il primo laico
che parla in San Giovanni
dopo Federico Barbarossa».

Non so se era vero
ma lo cito
perché indica l’audacia
che ci fu nella preparazione
e nella realizzazione
di quell’evento.

***

Mali di Roma /2 – Che ricordo ha
di Poletti?

Un uomo di grande semplicità
e di grande furbizia,
quasi contadina.

Aveva fatto
il vescovo a Spoleto,
l’esperienza per lui
era un bagaglio prezioso.

Aveva una semplicità
quasi evangelica,
quando salutava i miei figli
sembrava fosse lo zio di casa,
e i miei figli lo chiamavano
per nome, “Ugo! Ugo!”;

era un uomo
che sapeva entrare in sintonia
con tutto quello che toccava.

Con questa semplicità
Poletti alla fine
fu quello che riuscì
ad indurre la Cei

a indire il convegno
sulla promozione umana del 1976,
figlio naturale di quello del 74.

E penso
che anche nel ‘76
fu lui a propormi
come primo relatore.

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E con Di Liegro
che rapporti c’erano?

Buoni,
anche perché Poletti
pensava come Di Liegro
che la fede non basta
se non ci sono le opere.

Su questa sintonia
Di Liegro “ricattava” Poletti.

Ricordo che una volta
Di Liegro gli propose
di organizzare,
per il Venerdì Santo,
una serie di processioni

da svolgersi davanti
a tutti gli ospedali di Roma,
luoghi della sofferenza.

Poletti era perplesso,
pensava ai grandi disagi
che avrebbe subito
il traffico della città

davanti a luoghi così affollati
come gli ospedali,
ma alla fine
Di Liegro la spuntò.

Così come quando poi
aprì la mensa al Colle Oppio,
io stesso avevo qualche dubbio,

pensavo che l’iniziativa
del febbraio del ‘74
doveva essere innanzitutto
di tipo intellettuale,
pensare la fede,

ma Poletti spingeva per l’azione
e in questo era spinto a sua volta
da Di Liegro.

Il convegno del 1974
era un detonatore
che avrebbe fatto esplodere
tutta una serie
di azioni concrete, di opere.

Tutta questa “energia”
messa in moto
in quel convegno
la potei constatare
ai funerali di Di Liegro,
nel 1997:

la forza vibrante
di quella folla
era il segno della storia
di oltre vent’anni prima.

Il senso collettivo della Chiesa
lo percepii quel giorno
quando salutammo don Luigi.

***

Mali di Roma /2 – Quale fu il segreto
del successo del convegno del ’74?
L’apertura alle voci dal basso?

Il segreto fu quello di sentire tutti.
In un contesto storico di crisi,
di forti tensioni,
dopo la contestazione del ‘68,
nel momento in cui lo Stato
si rinchiudeva

ecco che la Chiesa si apriva,
spalancava le porte
e invitava tutti a partecipare.

C’erano fisse 6000 persone
dentro la basilica di San Giovanni
e poi nei giorni successivi
le tante sale cinematografiche
vicine al Laterano

allestite per ospitare
migliaia di persone
che potevano intervenire
e prendere la parola.

Ciascuno era libero di parlare,
tutti si sentivano parte della Chiesa,
anche quello che era arrivato
dal Borghetto Latino,
con la sua esistenza disagiata,
poteva dire la sua.

Questo fu il segreto
di un evento irripetibile,
che così non si è più ripetuto.

Oggi
se volessimo rifare
un tentativo analogo,
altro che 6000 persone in basilica…
penso che occuperemmo
le prime 6 fila di sedie, non di più.

E invece 50 anni
fa quello fu il segreto:
la vicinanza della Chiesa
a ciò che cresceva nella società.

Era, per inciso,
la stessa logica
che muoveva il Censis:
fenomenologia,
non programmazione.

Fu questa un’intuizione
di Tommaso Morlino
(uomo vicinissimo a Moro)
che suggerì a me, programmatore,

di lasciare la dimensione
della programmazione
e di dedicarmi alla fenomenologia.

Così facemmo
e ancora facciamo,
descrivendo, raccontando l’Italia.

Mali di Roma /2

E così fu nel febbraio del ‘74:
una Chiesa vicina,
in ascolto,
attenta alle voci
che venivano dal basso.

Seguimmo la suggestione
di Walter Benjamin per cui
“la borghesia dovrebbe limitarsi
a raccontare le cose come sono”.

E così noi organizzatori
non ci proponemmo con un progetto,
un programma, un’idea,
ma cercammo di scoprire
e riconoscere i processi
che erano già in corso nella società.

Posso dire che in fondo
siamo stati banali,

nel senso che nessuno di noi
aveva un progetto chiaro
su quell’evento,
se non quello di farlo,
di farlo esistere.

Il divenire puro:
volevamo far “divenire ” la Chiesa.

Se vogliamo si può dire
che siamo stati anti-sessantottini,
rifiutandone l’approccio ideologico.

Per dirla
con le parole di Bergoglio,
penso al geniale
Bergoglio di Aparecida:

avviare i processi
e riconoscere che la realtà
non è sferica ma poliedrica,
sghemba,
una realtà alla quale però
è sempre superiore l’idea.

***

Mali di Roma /2 – E oggi
ha ancora dei progetti?

Quello che ho in mente oggi
è di organizzare un triennio
di ripensamento,
così come fu nel ‘74
(convegno sui mali di Roma),

nel ‘75 (Giubileo) e nel ‘76
(convegno sull’evangelizzazione
e la promozione umana).

Vorrei cioè fare
una serie di iniziative
nel corso dei prossimi due anni.

Nel ‘74 ci si occupò
dei mali di Roma
cioè della “zona rossa”,
cioè delle tensioni
presenti nella società.

All’epoca
c’era la contestazione,
che montava
anche all’interno della Chiesa,
e l’affrontammo;

oggi invece
il “male” è “la zona grigia”:
non il caldo delle tensioni
ma il freddo dell’indifferenza.

Cercheremo come Censis
di spiegare
alla Chiesa di Roma
il fenomeno
di questa “zona grigia”.

Nel ‘74
ci aprimmo alla fenomenologia
e così anche oggi.

Mali di Roma /2

Sto, come Censis,
preparando una ricerca
sul fenomeno dell’indifferenza
e la offriremo
all’attenzione della Chiesa.

Il punto è
che non mi interessa fare solo
il testimone superstite
di un evento del passato,
ma voglio vivere il presente
aprendomi al futuro.

E dopo il ‘24
sarà il turno del ‘25,
anche questo un anno giubilare.

Si tratterà di preparare
i cittadini romani
ad accogliere i pellegrini
raccontandosi,

riprendendo il discorso
di Paolo VI
per il Giubileo del 1975.

E infine il 2026,
che riprenda il tema del 1976,
quella promozione,
quel “progresso” dei popoli
che ancora oggi
può essere attualizzato.

Penso infatti
che quel convegno del ‘76
fu la cosa più importante,
dopo il Concilio,
organizzata dalla Chiesa italiana.

In conclusione
vorrei ricordare febbraio ‘74
con un nuovo triennio
di mio lavoro per la Chiesa.

Mali di Roma /2

Anche perché i problemi
della Chiesa di allora
sono ancora presenti.

Parlando con Bartoletti
lei nel ’76 elencava 9 “piaghe”,
per dirla con Rosmini,
che non sembrano scomparse

come ad esempio il pessimismo;
la testimonianza di pura «difesa»;
il pensare prevalentemente
a chi sta nel recinto, ai “nostri”;

il privilegiare alcuni tipi di laici
che apparivano “più preti dei preti”;
il non resistere
alla coazione a parlare
o a prendere posizione
su qualsiasi cosa;

il far cultura
di affermazione “docente”
invece che di ricerca;
il dimenticare l’importanza
della mediazione culturale.

Sì, alcune di queste
sono tuttora presenti.

Aggiungo
una tendenza al leaderismo,
alla guida dei processi sociali
che invece vanno accompagnati,
senza protagonismo.

Essere vicini, alleati
con la società,
altrimenti il popolo
alla lunga
smette di seguirti.

Infine, come dicemmo
in una nostra
precedente conversazione,
c’è bisogno di ascolto
dello Spirito.

Viviamo infatti il passaggio
dall’era del Figlio
a quella dello Spirito,
che è fatta da noi,

noi che camminiamo
accompagnati dallo Spirito
che ci ispira, ci stimola,
ma è fatta da noi.

Dopo l’era del Padre,
a cui ancora molti pensano,
il popolo eletto
dal Padre Onnipotente,

e dopo l’era del Figlio,
cioè dell’amore,
del rapporto con l’alterità,
con il fratello,

siamo giunti ora al passaggio
all’era dello Spirito.

Viviamola con gioia
e con quell’apertura fiduciosa
che avemmo 50 anni fa.

Vale ancora
la parola del Salmista:

«E vanno con vigore
sempre crescente
fino a comparire innanzi a Dio
in Sion».

Vale anche
per un novantaduenne
qual sono.

Andrea Monda, «L’indifferenza
è il grande tema di oggi», in
“L’Osservatore Romano”,
sabato 10 febbraio 2024, pp. 6-7.

Foto: L’indifferenza
è il grande tema di oggi/
osservatoreromano.va

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