Leopoldo da Alpandeire (1864-1956) – Religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini
9 febbraio
Leopoldo da Alpandeire nasce appunto ad Alpandeire, piccolo villaggio
situato nella comarca montana della Serranía de Ronda, nella provincia di Málaga,
il 24 giugno 1864, da una famiglia di modeste condizioni.
I suoi genitori, infatti, Diego Márquez Ayala e Jerónima Sánchez Jiménez,
sono contadini, semplici e laboriosi.
A questo loro primo figlio il 29 giugno al fonte battesimale
danno il nome di Francisco Tomás de San Juan Bautista.
Diego e Jerónima sono successivamente rallegrati dalla nascita di altri tre figli:
Diego, Juan Miguel e Maria Teresa.
Francisco Tomás cresce nel calore dell’amore familiare,
alimentato soprattutto dalla pratica delle virtù cristiane.
Da suo padre infatti apprende le buone maniere,
i principi cristiani e la pratica del bene.
Analogamente, dalle labbra della mamma, impara soprattutto la preghiera.
Fin dalla sua prima fanciullezza aiuta i genitori
nelle faccende agricole e nel pascolare il piccolo gregge,
Frequenta poi solo la scuola elementare senza dimostrare speciali capacità,
terminata la quale, va a lavorare la poca terra posseduta dalla famiglia.
Allegro, giudizioso, di buona compagnia, lavoratore instancabile,
incomincia la sua giornata assistendo alla Santa Messa
e visitando il Santissimo Sacramento.
Il suo condividere il poco che ha e la sua bontà naturale, mai forzata,
sono naturalmente espressione di una profonda vita spirituale
e di una forte esperienza di fede:
«Condivideva la sua merenda con altri pastorelli più poveri di lui,
dava le proprie scarpe a un povero che ne aveva bisogno
o consegnava il denaro guadagnato nella vendemmia di Jerez
ai poveri che incontrava sulla via del ritorno».
Trascorre così nel lavoro dei campi e nella vita familiare
i suoi primi 35 anni di vita “nascosta”,
eccetto il periodo del servizio militare (1887-1888)
che compie nel reggimento di fanteria “Pavía” a Malaga.
Francisco Tomás scopre la sua vocazione
dopo aver ascoltato la predicazione di due cappuccini a Ronda nel 1894,
in occasione della beatificazione del cappuccino fra Diego José de Cádiz (Cadice),
e decide di abbracciare la vita religiosa.
Dopo vari tentativi andati falliti, finalmente entra nei Cappuccini nel 1899
come postulante nel convento di Siviglia.
Un mese dopo inizia il noviziato
accompagnato dal parere più che favorevole dei membri della comunità
che ne lodano il silenzio, l’impegno, la preghiera, la sua bontà.
Il 16 novembre 1900 fa la professione semplice
e cambia il proprio nome da Francisco Tomás
a Leopoldo da Alpandeire, secondo gli usi dell’Ordine.
L’ingresso di Leopoldo da Alpandeire nella vita religiosa
non è tuttavia una conversione clamorosa,
non rappresenta un cambiamento radicale della sua vita.
È solo un sublimare impegni e atteggiamenti coltivati fino a quel momento.
Il suo amore per Dio, la preghiera, il lavoro, il silenzio,
la devozione per la Vergine e la penitenza caratterizzano già la sua vita.
Dapprima trascorre brevi periodi nei conventi di Siviglia, Antequera
e Granada con l’ufficio di ortolano.
A Granada, poi, il 23 novembre 1903,
fra Leopoldo da Alpandeire professa i voti perpetui
nelle mani di fra Francisco de Mendieta,
Superiore della casa e Maestro dei novizi.
Ritornato per un breve periodo a Siviglia e poi a Anteguera,
il 21 febbraio 1914, è trasferito di nuovo a Granada,
dove rimane per 42 anni, ossia per sempre.
Ortolano, sacrista e questuante, sempre unito a Dio
e allo stesso tempo sempre vicino alla gente.
L’ufficio di questuante è quello che soprattutto lo definirà e lo caratterizzerà.
Da quel momento, infatti, le montagne, le valli, i cammini polverosi,
le vie della città, saranno il suo chiostro e la sua chiesa.
Nonostante la sua grande sensibilità per la vita contemplativa,
il contatto con gli uomini diviene il suo nuovo mezzo per raggiungere la santità.
Lungi dal distrarlo, ciò lo aiuta a uscire da se stesso.
È un’occasione per caricare su di sé il peso degli altri,
per comprendere, aiutare, servire, amare.
È, come dice un suo devoto, «distinto ma non distante».
Per quarant’anni, giorno dopo giorno,
fra Leopoldo da Alpandeire percorre Granada e il suo territorio,
distribuendo l’elemosina dell’amore,
dando colore ai giorni tristi di molti,
creando unità ed armonia,
portando tutti ad incontrare Dio,
dando dignità al fare di tutti i giorni.
Nel suo interminabile cammino si adopera
inoltre ad insegnare il catechismo,
a chiamare i peccatori alla conversione,
a riprendere energicamente i bestemmiatori.
La sua figura si fa poco a poco popolare,
numerose persone richiedono il suo consiglio o intermediazione
e lo si inizia a conoscere come
«l’umile elemosinante delle tre Ave Maria»,
perché queste sono le preghiere che dedica a chi gli chiede una benedizione.
Non tutto è però facile, né senza difficoltà.
Fra Leopoldo da Alpandeire, infatti,
esercita il suo ufficio di questuante in un’epoca
nella quale in Spagna soffiano venti anticlericali
e quanto sa di religioso è mal visto se non perseguitato.
È il tempo delle “Due Spagne”,
della Seconda Repubblica prima e della guerra civile poi.
Durante la persecuzione religiosa spagnola del 1936,
settemila sono i religiosi e i sacerdoti uccisi
per il semplice motivo di essere tali.
Nel suo andare giornaliero alla questua
fra Leopoldo da Alpandeire ha di fatto molto a soffrire
e non poche volte è insultato malamente:
«Fannullone, presto ti metteremo quel cordone al collo!».
«Vagabondo – gli gridano -, lavora invece di andare cercando l’elemosina!»…
Un giorno, ormai 89enne, mentre, come al solito, è alla questua,
cade a terra fratturandosi il femore. Ricoverato in un ospedale,
fortunatamente senza operazione chirurgica, guarisce.
Dimesso ritorna al convento a piedi aiutato dal solo bastone,
ma non è più in grado di girare per le strade.
Può così dedicarsi totalmente a Dio,
il grande amore della sua vita.
Trascorre gli ultimi tre anni di vita,
consumandosi a poco a poco “quale fiamma di amore”.
La fiammella si spegne nel convento di Granada
il 9 febbraio 1956. Ha 92 anni.
L’umile questuante delle Tre Ave Maria, si riunisce al Signore.
La sua salma riposa attualmente nella cripta del convento di Granata,
meta di ininterrotti pellegrinaggi, specialmente il 9 di ogni mese.
Benedetto XVI il 15 marzo 2008 dapprima dichiara l’eroicità delle sue virtù
ed poi il 12 settembre 2010 a Granada è dichiarato Beato.
Fra Pasquale Riwalski, già Ministro generale
dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini,
parlando del beato Leopoldo si esprime così:
«È indubitabile che fra Leopoldo incontrandolo
affascina da subito per il suo essere semplice,
naturale, senza artifizi, sincero e retto, evangelicamente povero.
Un povero credente e candido, semplice e discreto,
che ha saputo sempre mettersi in secondo piano,
servendo nell’anonimato e nell’umiltà.
Un uomo con un cuore da bambino,
nobile e franco, cortese e sobrio, di contadino onesto…
Un uomo estremamente riservato e modesto
rispetto a tutto quello che di buono il Signore operava per suo mezzo,
che si turbava davanti alle lodi degli uomini, che gioiva
per le umiliazioni e che manteneva una coscienza viva
dei suoi limiti e dei suoi peccati.
Spesso ripeteva: “Sono un grande peccatore”».
Leopoldo infatti non apparteneva a dinastie nobili,
né parlava da cattedre o pulpiti,
perché non brillava per il suo sapere.
Non aveva neanche lasciato il suo convento
al fine di diventare missionario in terre lontane.
Ha raggiunto invece la santità nelle piccole cose:
«Faceva ogni cosa come se fosse la prima volta.
Era quella freschezza di ogni suo atto,
ripetuto in modo monotono,
che dava un senso soprannaturale e riempiva tutta la sua vita».
Foto: Beato fra Leopoldo da Alpandeire / youtube.com