Lc 2,16

Lc 2,16-21 – Solennità di Maria Santissima Madre di Dio – Anno A

 

Premessa

Lc 2,16-21 – Il Vangelo della notte di Natale
presentava due momenti su tre
del racconto della nascita di Gesù.
Comprendeva, infatti, i vv. 1-7,
relativi alla nascita di Gesù nel suo contesto storico,
mettendo in scena Giuseppe, Maria e il bambino,
e i vv. 8-14 con l’apparizione angelica ai pastori.

Il terzo momento (vv. 15-20)
che si leggeva nella Messa dell’aurora,
era la conclusione del racconto,
e relazionava sull’incontro dei pastori con il bambino.

Il Vangelo di oggi riprende
quello letto nella Messa dell’aurora a Natale,
con l’omissione dell’ultimo versetto (Lc 2,15)
e con l’aggiunta di un versetto finale (Lc 2,21).

Nella Messa dell’aurora,
invece di commentare il Vangelo,
sono andato a ruota libera,
centrando la riflessione
soprattutto sul significato del Natale.
In questa solennità mi concentro,
invece, sul testo del Vangelo.

Lc 2,16-21 – Versetto omesso

Il versetto omesso rispetto al Vangelo
della Messa dell’aurora a Natale diceva:
«Appena gli angeli si furono allontanati
verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro:
“Andiamo dunque fino a Betlemme,
vediamo questo avvenimento
che il Signore ci ha fatto conoscere”» (Lc 2,15).

A Natale il testo del Vangelo secondo Luca
narrava come avvenne la nascita di Gesù a Betlemme
e come questo evento così umano e poco appariscente
fu rivelato anzitutto a poveri pastori
che quella notte vegliavano sulle loro greggi
(cf. Lc 2,8).

Lc 2,16 – «Andarono dunque senz’indugio…»

Ebbene, quei pastori,
che non ascoltano passivamente l’annuncio angelico
ma lo accolgono in «un cuore capace di ascolto»
(1 Re 3,9), si mettono in cammino
al fine di verificare ciò che hanno udito.

Senza indugio, vanno e trovano,
contemplano quell’umile «segno» (Lc 2,12)
comunicato loro dall’angelo.
Ma quale segno?

Lc 2,16 – «…trovarono Maria, Giuseppe
e il bambino, adagiato nella mangiatoia».

Anzitutto trovano la credente che,
con il proprio abbandono fiducioso in Dio,
ha permesso la venuta di Gesù sulla terra:
ossia Maria, che viene elencata per prima.

È davvero sorprendente questa presentazione,
inconsueta per la mentalità ebraica.

Luca, con questo accorgimento narrativo,
fa risaltare il ruolo determinante di Maria
all’interno della sequela cristiana.
Incontrare Maria significa, dunque,
già essere in cammino verso Cristo.

Si noti inoltre: non trovano nulla di straordinario.
Vedono solo un bambino con sua madre e suo padre.
Eppure in quell’essere debole,
bisognoso di aiuto e di protezione,
essi riconoscono il Salvatore.

Nelle raffigurazioni, i pastori, in genere,
compaiono in ginocchio davanti a Gesù.
Ma il Vangelo non dice
che essi si sono prostrati in adorazione,
come faranno i Magi (Mt 2,11).

Sono rimasti semplicemente a osservare
– stupiti, estasiati – l’opera meravigliosa
che Dio aveva operato in loro favore.

La prima preoccupazione dei pastori,
infatti, non è di tipo etico:
non si chiedono cioè che cosa dovranno fare,
quali correzioni dovranno apportare
alla loro vita morale non sempre esemplare,
quali peccati dovranno impegnarsi a evitare.

Si fermano soprattutto a contemplare
e a gioire a causa di ciò che Dio ha fatto.

Lc 2,16-21 – «E dopo averlo visto, riferirono
ciò che del bambino era stato detto loro» (v. 17).

Avendo successivamente constatato
la veridicità dell’annuncio,
diventano essi stessi annunciatori
perché ridicono, proclamano
che quel neonato è il Salvatore, il Messia, il Signore.

Si profila così la dinamica missionaria della Chiesa:
l’annuncio porta all’ascolto, l’ascolto alla visione.
A sua volta chi ha visto porta ad altri l’annunzio
perché attraverso l’ascolto giungano alla visione.

È impossibile per noi
seguire il processo della fede dei pastori,
ma è certo che essi hanno compreso
che l’annuncio dell’angelo andava letto “al contrario”,
non seguendo cioè l’immaginazione
sollecitata dalle sue parole.

Lc 2,16-21 – «Tutti quelli che udivano
si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (v. 18).

La trasmissione delle parole ascoltate dall’angelo,
ridette dai pastori a quanti incontravano,
compresi Maria e Giuseppe, desta grande stupore.

Tuttavia il testo sottolinea
come l’atteggiamento interiore di Maria
si distingua da quello degli altri.

Lc 2,16-21 – «Maria, da parte sua, serbava queste cose,
meditandole nel suo cuore» (v. 19).

Maria, che aveva ricevuto la stessa buona notizia
dall’angelo (cf. Lc 1,26-38), ora se la sente ripetere
a voce alta dai pastori.

D’altra parte una congiunzione greca (de),
che significa «poi, però, invece»,
che non viene colta dalla traduzione CEI 2008,
stacca Maria da tutti gli altri.

Luca dice così: «Maria, invece, da parte sua…».
Se tutti avendo udito, si stupiscono,
Maria «custodiva queste cose meditandole in cuor suo».

Il plurale «queste cose» rimanda
non solo alle parole e vicende di Betlemme,
ma anche a Nazaret, all’annuncio dell’angelo,
al viaggio da Elisabetta, l’incontro, la lode,
insomma alla sua storia toccata da Dio.

Luca, poi, non intende dire
che Maria «teneva a mente» tutto ciò che accadeva,
senza dimenticare alcun particolare.
Egli dice che Maria metteva insieme i fatti,
li collegava tra loro e ne sapeva cogliere il senso,
ne scopriva il filo conduttore, in altre parole,
contemplava il realizzarsi del progetto di Dio.

La maternità di Maria spesso evoca in noi
la convinzione che si tratti di un privilegio
che ha permesso alla Madre di Dio
di vivere una vita priva di dubbi e di paure.
Il Vangelo di oggi presenta invece Maria
come colei che ha compiuto un cammino di fede
non diverso dal nostro.

Lc 2,16-21 – «I pastori se ne tornarono, glorificando
e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto,
com’era stato detto loro» (v. 20).

I pastori glorificano e lodano Dio
per quello che hanno udito e visto.
Prima, pertanto, c’è l’udire, poi il vedere
e, infine, il parlare.
Gli evangelizzati diventano evangelizzatori.

Lc 2,16-21 – «Quando furono compiuti gli otto giorni
prescritti per la circoncisione…» (v. 21).

Il Vangelo di oggi si avvia alla conclusione
con il ricordo della circoncisione.
Con questo rito Gesù, ebreo nato da ebrei,
entra ufficialmente a far parte del popolo di Israele.

Gesù non è stato un uomo qualsiasi o ideale,
ma è stato sárx, carne, in un corpo
discendente della stirpe di Abramo:
Gesù era un ben Jisra’el, un figlio di Israele!

Nel libro dell’Esodo sta scritto
che nessun incirconciso può partecipare alla Pasqua,
in quanto è fuori dall’alleanza (cf. Es 12,48):
per questo motivo Gesù, mediante la circoncisione,
è inserito nell’alleanza,
al fine di poter portare a compimento la Pasqua.

Noi cristiani, venuti dalle genti,
proprio «in lui», in Cristo, «siamo stati circoncisi,
di una circoncisione però non fatta da mano d’uomo,
mediante la spogliazione del nostro corpo di carne,
ma della vera circoncisione di Cristo» (Col 2,11).

Dunque Gesù fu circonciso
e noi lo ricordiamo innanzitutto a noi stessi,
ma anche agli ebrei, perché Gesù appartiene a loro
e perché «la salvezza viene dai giudei» (Gv 4,22).

Gesù unisce per sempre la Chiesa e Israele
e, nello stesso tempo,
su di lui la Chiesa e Israele si separano!

Questa ferita non dovrà mai essere taciuta,
e chi è sentinella sulle mura della Chiesa
dovrà sempre gridarla,
in obbedienza alle Scritture e al loro compimento.

Lc 2,16-21 – «… gli fu messo nome Gesù
come era stato chiamato dall’angelo…» (v. 21).

Oltre alla maternità di Maria il Vangelo odierno,
nell’indicare l’origine celeste del nome del bambino,
mostra la paternità di Dio.

Dare il nome è prerogativa del padre in Israele
e qui si specifica che quel nome viene da Dio,
da quel Padre per cui saranno le prime
e le ultime parole di Gesù nel Vangelo secondo Luca:
«Non sapevate che io devo occuparmi
delle cose del Padre mio?» (Lc 2,29) e:
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).

Il bambino, nato dallo Spirito Santo, è chiamato Gesù,
in ebraico Yehošûa, nome teoforico
che, oltre al nome di Dio,
contiene la radice yaša, «salvare».
Gesù significa: «Dio salva».

Compito di Gesù sarà vivere la sua unicità,
la sua vocazione particolarissima:
una vocazione che nasce dall’amore,
si manifesta nell’amore
e sfocia nell’amore fino alla fine.

Foto: Bartolomé Esteban Murillo,
«Adoración de los pastores», 1667,
olio su tela (187 x 228 cm), Museo del Prado,
Madrid / museodelprado.es

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