Inciviltà

Inciviltà che deforma la giustizia

 

Inciviltà – Teoria virtuosa della pena,
certezza della pena,
tragedia della pena concreta,
certezza della tragedia.

Rileggete adagio questa sequenza,
respirando dopo ogni virgola:
è il percorso sapienziale-demenziale
del nostro sistema punitivo.

Tra le più ricorrenti professioni
di fede civica,
tra le più condivise espressioni
di etica retributiva,
campeggia da qualche tempo
la «certezza della pena».

E non si fatica
a capire il perché,
per chi pensa
che la devianza dipende
dalla «sterilizzazione
degli elementi infetti».

Ma non ci si dà più cura
di capire
da dove è entrato il virus,
e quant’è pandemico,
come si guarisce,
e se quanto si fa
lo sconfigge o lo rafforza.

***

Inciviltà – Certezza della pena,
ma sì,
è diventato ormai un motto
da convocazione di massa in piazza,
alla bisogna.

Da bravi,
servono catene,
pietre aguzze, staffili?
O basterà plaudire, da cittadini
che tengon nette le mani,
al lavoro degli addetti?

Sta di fatto
che serpeggia un umore
che pare un volontariato
da ausiliari della pena,
se si potesse.

Certezza si vuole,
ma certezza di che cosa,
infine?

Che cos’è la pena,
verbalizzata nei codici
e nelle sentenze;
e che cos’è la pena scodellata
sulla pelle dei reclusi
delle carceri italiane?

Inciviltà

Anche i giudici non lo sanno.
Non glielo fanno sapere,
ritengono inutile
che lo sappiano.

I giudici quando
devono condannare alla galera
dicono
«visti gli articoli»

e certamente gli articoli
li hanno visti
e li sanno a memoria,
sanno che dicono proprio così,
e quando dicono
«reclusione» è reclusione.

Ma i giudici
che cos’è la reclusione
non l’hanno mai vista.

E invece
quelli che l’hanno vista,
nell’Italia civilissima
di Verri e Beccaria,
non possono
tenerla oggi più civile

delle scudisciate
sulla pubblica piazza,
ma peggior barbarie prolungata
se è divenuta tortura quotidiana
di ammasso di corpi
in scatole blindate.

***

Inciviltà – Alla breve: leggiamo
dalle statistiche aggiornate
che oggi ci sono 63mila detenuti,
e che si trovano rinchiusi
nello spazio di 43mila posti.

Dunque sono spinti a forza,
in spazi inesistenti,
compressi, condivisi.

Spazi godibili “a turno”, secondo
quanto ci vanno informando
le cronache dei turni
di passaggio a terra
e dei turni di riposo in branda,
fra loro non compatibili.

Spazi coatti
esposti alla coazione aggressiva,
spazi rinchiusi alla condivisione
di una promiscuità assurda,

spazi di bestie
nei quali il profilo umano
finisce in fioca invocazione,
compatibile a stento
con la voglia di vita.

Inciviltà

Io non cerco neppure più
di leggere “vita” (gioia di vita,
o persino patimento
che tende alla vita
come doloroso traguardo
di una gioia da raggiungere)

di fronte alla obliqua imprecazione
della morte che
nei primi mesi di quest’anno
ha eguagliato
tutti i suicidi in carcere
dell’anno scorso.

Torna dunque
il soprassalto della concretezza,
insieme con il fremito
della coscienza scossa.

E chiede di rimeditare anzitutto
la proporzione fra condanna
(o solo accusa, per metà gente)
e prigione così, proprio
per la sua tragica serietà.

Metà dei carcerati
è affetta da epatite,
il 30% è tossicodipendente,
il 10% malata di mente
e il 5% ha l’Hiv.

***

Inciviltà – Il rapporto
fra la pena torturante
per questi infelici,
e la loro infelicità
raddoppiata nella crudeltà
dell’attuale caienna

dice che questa
non è giustizia.

Per un canile,
gli animalisti
chiederebbero riforme.

Non è
un sistema penitenziario questo,
è una inciviltà.

Giuseppe Anzani, «Inciviltà
che deforma la giustizia», in
“Avvenire”, lunedì 27 luglio 2009.

Foto: Iconografia della Giustizia
nelle arti figurative – Palazzo Madama,
Torino – palazzomadamatorino.it

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