Gv 6-51-58 – Corpus Domini – Anno A
Premessa
Gv 6-51-58 – L’evangelista Giovanni
non racconta l’istituzione dell’Eucaristia
nell’Ultima Cena; racconta, invece,
la lavanda dei piedi:
non racconta cioè il fatto,
ma ciò che il fatto produce.
Tutti i temi eucaristici sono raccolti,
invece, nel capitolo VI del Vangelo
che porta il suo nome.
Il Vangelo di oggi costituisce
la parte conclusiva di questo capitolo,
ossia del cosiddetto «Discorso
sul pane della vita», tenuto da Gesù
nella sinagoga di Cafarnao,
dopo la moltiplicazione
dei pani e dei pesci.
«Io sono il pane vivo,
disceso dal cielo» (v. 51)
Gv 6-51-58 – Inizia così il Vangelo di oggi.
Questa espressione deve essere suonata
abbastanza incomprensibile per i discepoli,
come, soprattutto, per i Giudei a cui Gesù
si stava direttamente rivolgendo.
Infatti, si tratta di una presentazione
che dice subito molte cose.
***
Gv 6-51-58 – Anzitutto: «Io sono».
Gesù usa quest’espressione varie volte
nel Vangelo secondo Giovanni:
talvolta per dire semplicemente
«sono io» (come in Gv 4,26; 6,20);
altrove per riferirsi metaforicamente
alla sua stessa realtà (come in Gv 8,12; 10,7);
o, ancora, per manifestare la sua divinità
attribuendo a se stesso il nome di Dio
(«se infatti non credete che Io sono» Gv 8,24.28).
«Io sono il pane» (v. 51)
Gv 6-51-58 – Il termine «pane» ricorre
ben 21 volte nel cap. VI.
A queste si aggiungono
solo altre tre ricorrenze, che sono però
poco rilevanti ai fini della comprensione
del nostro brano.
Risulta quindi estremamente evidente
come Giovanni abbia riservato tale termine
al nostro capitolo (così come ha usato
il termine «vino», al di fuori del nostro brano,
solo in riferimento alle nozze di Cana:
Gv 2,3.9.10; 4,46).
L’espressione «Io sono il pane», invece,
compare quattro volte
nel nostro capitolo (vv. 35.41.48.51)
di cui tre sulla bocca di Gesù.
La prima ricorrenza (v. 35) nasce
dalla mancata comprensione
da parte della folla
del gesto compiuto da Gesù
nell’averla sfamata:
questa folla cerca dapprima di garantirsi
questo dono tentando di fare re Gesù,
poi chiede di ricevere il pane
che discende dal cielo,
richiesta alla quale Gesù non si sottrae,
affermando, tuttavia, di essere egli stesso
il pane della vita
e di essere disceso dal cielo.
***
Gv 6-51-58 – Questo richiamo
al «pane disceso dal cielo»
risulta incomprensibile per i Giudei,
a cui Gesù risponde ripetendo
di essere il «pane della vita»
e affermando di essere di gran lunga
superiore alla manna del deserto,
in quanto gli ebrei che mangiarono
la manna sono poi morti,
mentre il vero pane che discende dal cielo
è dato perché «chi ne mangia non muoia».
***
Gv 6-51-58 – Nell’ultima ricorrenza,
che costituisce l’inizio del nostro brano,
Gesù cambia l’espressione,
non parlando più di «pane della vita»,
ma di «pane vivo» e sposta l’attenzione
sulla necessità di
«mangiare la sua carne».
Il v. 51, oltre alle tre ricorrenze
del termine pane, ne contiene anche tre
del campo semantico della vita
(«vivo, vivrà, vita»):
segno evidente
come nel discorso di Gesù si parli
di una comunicazione della vita:
il pane è vivo,
quindi contiene in sé la vita,
e la comunica a chi se ne nutre.
Di che vita si tratta?
Gv 6-51-58 – Per rispondere
dobbiamo fare un passo indietro
fino al Prologo, dove si legge:
«In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio»;
«in lui era la vita e la vita
era la luce per gli uomini».
Ancora: «E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi».
Questa vita è la vita di Dio,
la vita del Verbo che,
facendosi carne, è venuto
«ad abitare in mezzo a noi»
(discese dal cielo).
«Come può costui
darci la sua carne da mangiare» (v. 52)
Gv 6-51-58 – La difficoltà dei Giudei
sembra quella di capire come si possa
mangiare il corpo di Cristo.
In realtà, la questione è molto più profonda:
i Giudei non credono che Dio si sia fatto carne.
È la difficoltà di credere che «il Verbo
si fece carne e venne ad abitare
in mezzo a noi» (Gv 1,14).
La trasformazione del pane e del vino
nel corpo e nel sangue di Cristo
è realtà misteriosa,
che supera ogni comprensione umana.
Un Dio che si fa carne e sacrifica se stesso
per la vita del mondo, pone in crisi
la sapienza degli uomini.
«In verità, in verità io vi dico:
se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo
e non bevete il suo sangue, non avete in voi
la vita. Chi mangia la mia carne e beve
il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne
è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (vv. 53-55)
Gv 6-51-58 – Gesù non si preoccupa dell’imbarazzo
dei suoi ascoltatori. Non attenua la sua affermazione,
non fa nulla per smorzare la loro reazione.
Ci sono varie cose che colpiscono nelle sue parole,
che raggiungono il culmine del disvelamento
del mistero e impietriscono ancora di stupore.
Anzitutto l’espressione «In verità,
in verità io vi dico», che serve a sottolineare
l’importanza dell’insegnamento che segue.
In secondo luogo il “realismo” con cui Gesù
si esprime, quasi preoccupato che gli uomini
siano tentati di attenuare la portata
di quello che sta dicendo.
Colpisce poi l’insistenza sul termine «carne»,
ben sei volte, anziché «corpo» come nei sinottici.
Inoltre il verbo «mangiare», che ricorre 8 volte,
è espresso in greco con un verbo (tròghein),
che propriamente significa “divorare”, “triturare”:
qualcosa, perciò, che richiama
non un gesto simbolico, ma crudamente realistico.
Ancora: il termine «sangue»,
che non era comparso nel resto del cap. 6,
compare 4 volte nel nostro brano,
per sottolineare la necessità di bere
anche il sangue di Cristo.
Si tenga presente che agli Ebrei
non era consentito di bere in nessuna maniera
il sangue, perché nel sangue c’è la vita,
che appartiene solo a Dio (cfr Lv 17,11).
***
Gv 6-51-58 – Ancora:
l’insistenza con cui Gesù parla
della «vita», sei volte nel nostro brano.
Esiste un solo modo per avere la vita
ed è quello di mangiare la carne e bere
il sangue del Figlio dell’uomo
e questo perché solo partecipando
della vita di Dio si può accedere
alla vita eterna.
NB! In realtà, nel Vangelo secondo Giovanni,
questa non è l’unica condizione per accedere
alla vita eterna, in quanto ve ne sono altre due:
la fede (Gv 3,15-16.36) e l’ascolto della Parola
di Dio (Gv 5,24).
Queste due, assieme al «mangiare la sua carne»
sono ovviamente complementari (non sostitutive),
anche se presentate in sezioni diverse
del testo.
Infine, non va dimenticata la doppia escatologia
presente alla fine del v. 54: l’escatologia
già realizzata espressa dal presente
(«ha la vita eterna» e quella futura
(«io lo risusciterò nell’ultimo giorno»).
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui» (vv. 56-58)
Gv 6-51-58 – I vv. finali del nostro brano
rivelano due aspetti inediti del mistero eucaristico:
esso opera l’unione durevole dei discepoli
con Gesù Cristo e fa’ sì che essi siano inseriti
nel dinamismo d’amore
che unisce il Figlio con il Padre.
Per la prima volta, nel Vangelo secondo Giovanni,
si parla di un “dimorare” reciproco fra il discepolo
e Cristo, verbo caratteristico per indicare
l’intimità divina (cfr. Gv 15,5.10).
Foto: Santissimo Corpo e Sangue di Gesù /
lalucedimaria.it