Gv 20-19-23 – Domenica di Pentecoste – Anno A
Gesù appare ai discepoli riuniti
Gv 20-19-23 – L’incontro di Gesù Risorto
con i suoi si apre con un’indicazione temporale:
«La sera di quello stesso giorno,
il primo della settimana» (v. 19).
«Quel giorno» va messo in stretta relazione
con la novità dell’evento pasquale, ossia
con il giorno della risurrezione dai morti di Gesù.
Dopo gli eventi ambientati al mattino
del primo giorno della settimana
(apparizione del Risorto a Maria di Magdala
e “sopralluogo” di Pietro e Giovanni
al sepolcro: Gv 20,1-18),
si passa alla sera di quello stesso giorno.
«Mentre erano chiuse le porte
del luogo dove si trovavano» (v. 19)
Gv 20-19-23 – Il luogo
dove erano radunati i discepoli
rimane imprecisato.
Si dice solo che le porte erano chiuse.
Sembra comunque che Giovanni dia sfogo
qui alla sua vena ironica:
qual è la reazione dei discepoli
alla testimonianza di Maria di Magdala
di «aver visto» il Signore (Gv 20,18) ?
Chiudono bene le porte del luogo
dove erano rifugiati!
Ciò che colpisce è che tra costoro
ci sono anche Pietro e il «discepolo amato»,
i quali avevano potuto appurare che al sepolcro
era veramente successo qualcosa (cfr. Gv 2.3-10)
che avrebbe dovuto far ricordare loro
la promessa di Gesù (Gv 14,3).
Ecco il motivo del loro nascondersi:
i discepoli riconoscono ai Giudei
un potere superiore a quello di Dio.
Con questo gesto è come se dicessero:
«Che cosa può fare Dio per noi ora?
Sembra proprio che non possa fare nulla.
Sappiamo, invece, cosa possono farci i Giudei
se andiamo in giro a dire
che Gesù è risorto dai morti,
per cui: chiudiamo in fretta tutte le porte!».
***
Gv 20-19-23 – È un momento tragico
per la vita di questa comunità di discepoli.
Tragico,
ma non privo di nuove possibilità di vita.
Infatti, nonostante questa drammatica somma
di defezioni, i discepoli sono ancora insieme.
Questa piccola comunità continua a rimanere unita,
nonostante l’umiliante constatazione
delle proprie debolezze.
Ma chi sono questi discepoli?
Gv 20-19-23 – L’identificazione
di questi discepoli è discussa:
si tratta soltanto degli Undici (cfr. 1 Cor 15,5),
o di un gruppo comprendente anche
altri discepoli: tra cui delle donne (cfr. Lc 24.33)?
È una questione controversa
tra le confessioni cristiane,
per le implicazioni che ne derivano
soprattutto in materia sacramentaria
(a chi è affidato il mandato e la potestà
di rimettere i peccati?).
È certo, però, che l’evangelista Giovanni
conosce la differenza tra il gruppo dei Dodici
e i discepoli in genere (cfr. Gv 6,66-67) e,
se avesse avuto intenzione di limitare
l’apparizione ai soli Undici,
lo avrebbe espresso esplicitamente.
«Venne Gesù, stette in mezzo a loro» (v. 19)
Gv 20-19-23 – Lo stare all’improvviso nel mezzo
dei discepoli, anche con le porte chiuse,
potrebbe alludere a particolari caratteristiche
del corpo risorto di Cristo.
Sembra, cioè, che Giovanni voglia far capire
che il Risorto è lo stesso Gesù che i discepoli
hanno visto, conosciuto, ascoltato
ma si trova in una condizione diversa
Non è tornato alla vita di prima
(come ha fatto Lazzaro), è entrato
in un’esistenza completamente nuova.
In altre parole, la risurrezione della carne
non equivale alla rianimazione di un cadavere.
È il misterioso sbocciare di una vita nuova
da un essere che è finito.
Paolo spiega questo fatto
mediante l’«immagine del seme».
Dice che da un
«corpo corruttibile risorge uno incorruttibile»,
da «un corpo ignobile risorge un corpo glorioso»
da «un corpo debole risorge uno potente» e da
«un corpo animale risorge uno spirituale»
(1 Cor 15,42-44).
***
Gv 20-19-23 – Un’altra interpretazione,
forse più vera, del
«venire di Gesù in mezzo ai discepoli»,
nonostante le porte chiuse,
per Giovanni, potrebbe essere il segno
che Gesù può rendersi presente in mezzo ai suoi,
nonostante chiusure e impedimenti
di ogni genere.
In altre parole, la presenza del Risorto tra i suoi
è percepita dal fatto che Gesù,
il quale si era definito «la porta» (cfr. Gv 10,7)
riesce a passare attraverso le «porte»
chiuse del loro cuore.
E anche questo è veramente un Vangelo,
vale a dire una Buona Notizia.
«e disse loro: “Pace a voi”» (v. 19)
Gv 20-19-23 – La formula «pace a voi»
è identica al saluto ebraico shalôm ‘alékem;
qui, però, non si tratta di un semplice saluto,
tanto meno di un augurio, ma di un dono,
frutto della vittoria della vita sulla morte.
Quando nell’AT il saluto della pace
è rivolto da un essere celeste,
esso si rivela efficace e salutare
(cfr. Gdc 6,23; Dn 10,19);
il dono della pace portato da Gesù
farà sì che i discepoli trovino il coraggio
di uscire da quelle porta sbarrate
e di affrontare il mondo.
«Detto questo,
mostrò loro le mani e il costato» (v. 20)
Gv 20-19-23 – L’ostensione delle ferite
delle mani e del costato identifica il Risorto
con il Crocifisso (cfr. Lc 24,39).
Per i discepoli riconoscere che si tratta
dello stesso Gesù con il quale avevano trascorso
un tempo della loro esistenza,
equivale a divenire consapevoli che la risurrezione
è qualcosa di veramente reale e che la comunione
che avevano con lui può continuare oltre la morte,
anche se in una maniera nuova.
«Allora i discepoli si rallegrarono
al vedere il Signore» (v.20)
Gv 20-19-23 – La gioia dei discepoli
nel vedere il Signore segnala che è giunto
il tempo del ribaltamento della situazione
preannunciata in Gv 16,16.17.19.22:
al tempo di non vedere più Gesù
subentra il tempo del vederlo di nuovo
(«Ancora un poco e non mi vedrete;
un poco ancora e mi vedrete»),
e della tristezza che si tramuta in gioia
(Gv 16,20.21.22.24).
Questo, però, sarà anche il tempo
in cui i discepoli saranno visti da Gesù
(cfr. Gv 16,22: «Ma io vi vedrò di muovo»)
e il reciproco rivedersi e ritrovarsi
darà principio a una gioia senza fine,
che nessuno potrà più togliere (cfr. Gv 16,22).
«Disse loro di nuovo: “Pace a voi.
Come il Padre ha mandato me,
così anch’io mando voi» (v. 21)
Gv 20-19-23 – La pace del Risorto costituisce
una dotazione personale dei discepoli
in vista della missione .
I pochi riferimenti all’invio dei discepoli
(cfr. Gv 4,38; 13,16.20) erano solo delle anticipazioni,
perché adesso è il momento in cui Gesù,
in forza della sua passione e risurrezione,
ha potestà di inviare i suoi discepoli nel mondo
(cfr. Gv 17,18).
I discepoli dovranno prolungare nel tempo
la missione di Gesù ed essere per il mondo
ciò che è stato Gesù: il segno e la rivelazione
dell’amore con cui Dio ha amato l’umanità
(cfr. Gv 3,16).
Il tempo perfetto apéstalken («ha mandato», v. 20)
sottolinea che la missione di Gesù è stata portata
a compimento e che i suoi effetti permangono
si prolungano proprio nella missione dei discepoli.
Non avendo in alcun modo precisato
di quali discepoli si tratta, il presente «mando»
(greco, pémpo) non può e non deve essere limitato
ai soli Undici, ma va esteso a tutti coloro che
si faranno discepoli di Gesù, credendo alla parola
da lui pronunciata e scritta nel Vangelo.
«Detto questo, soffiò su di loro e disse:
“Ricevete lo Spirito Santo”» (v. 22)
Gv 20-19-23 – All’invio in missione segue un’azione
che richiama il soffio di Dio creatore
nelle narici di Adamo (cfr. Gn 2,7; Sap 15,11).
Il soffio di Gesù,
in analogia con i brani veterotestamentari,
indica la comunicazione della vita,
di una vita non più semplicemente naturale,
ma da risorti, segno della nuova creazione.
La vita nuova donata dal Risorto coincide
con il dono dello Spirito che santifica i discepoli
e li abilita alla missione.
È questa, verosimilmente, la ragione per cui Gv,
in questa occasione, preferisce la tradizionale
denominazione biblica di «Spirito Santo»,
a quella di Paraclito o di Spirito della verità.
Con essa si ribadisce il potere santificante
dello Spirito, oltre a quello di consentire
la rinascita per entrare nel regno (Gv 3,5-6),
di poter compiere l’autentica adorazione del Padre
(Gv 4,23) e di vivificare (Gv 6.63).
Adesso si compie la promessa di Gv Battista
di uno che avrebbe battezzato in Spirito Santo
(Gv 1,33); ora è il tempo del battesimo
in Spirito dei discepoli.
Questa è la Pentecoste, da intendersi, però,
non come un dono speciale dello Spirito
riservato ai soli apostoli in funzione
della primitiva missione, ma come dono
dello Spirito a tutti i credenti.
«A coloro a cui perdonerete i peccati,
saranno perdonati; a coloro a cui
non perdonerete, non saranno perdonati» (v. 23)
Gv 20-19-23 – La missione che il Risorto affida
ai suoi discepoli è di «rimettere i peccati».
Cosa significa «rimettere i peccati»?
Queste parole sono state interpretate
– in modo giusto, ma riduttivo –
con il conferimento agli Apostoli
del potere di assolvere dai peccati.
Non è questo, però, l’unico modo per “rimettere”,
cioè per neutralizzare, per sconfiggere il peccato.
La potestà, conferita da Gesù, è molto più ampia
e riguarda tutti i discepoli
che sono animati dal suo Spirito:
purificare il mondo da ogni forma di male.
I poteri non sono due – rimettere o ritenere –
a discrezione del discepolo
che valuta caso per caso.
Il potere è uno solo, quello di annientare,
in tutti i modi, il peccato.
Ma questo può anche essere «non rimesso»,
se il discepolo non s’impegna
a creare le condizioni, affinché il discepolo
che ha sbagliato apra il cuore all’azione
dello Spirito.
Come? Attraverso, ad esempio,
la «correzione fraterna»
(cfr. Mt 18,15-18; Lc 17,3-4).
Foto: Duccio di Buoninsegna,
Cristo appare glorioso
davanti alle porte chiuse del cenacolo,
pannello della Maestà, 1309-1311,
Museo dell’opera del Duomo, Siena /
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