Giovanni Paolo I visto da Fiocco*

Giovanni Paolo I visto da Fiocco*
Il cammino di una vita intessuta nell’umiltà

 

Il battesimo in casa,
l’infanzia nell’Agordino,
il ministero sacerdotale ed episcopale
E da papa la scelta del doppio nome

Giovanni Paolo I visto da Fiocco* – I primi anni
della vita di Albino Luciani
si collocano a Canale d’Agordo,
un piccolo borgo alpino
a 976 metri sul livello del mare,
a 45 chilometri da Belluno,

incastonato alla confluenza
di due vallate dolomitiche,
contornate da incombenti massicci,
che nei mesi invernali
tolgono ai tetti delle case i raggi del sole.

Allora si chiamava Forno di Canale,
perché nei secoli precedenti
nella valle si era sviluppata
una qualche attività mineraria;
tuttavia la parrocchia
aveva sempre conservato
il più antico nome, quello attuale.

Esaurita l’attività estrattiva,
l’economia della valle
era rimasta esclusivamente agricola,
limitata alla coltivazione dei campi,
all’allevamento di alcuni capi di bestiame,
e allo sfruttamento delle risorse boschive.

Per questo, all’inizio del Novecento,
a molti non restava altra scelta
che l’emigrazione stagionale o definitiva.

Anche Giovanni Battista Luciani (1872-1952),
padre del futuro papa,
aveva assaporato – per dirla con il Poeta –
«com’è duro calle /
lo scendere e ’l salir per l’altrui scale»,
mettendosi presto sulla strada dell’emigrazione,
fin da quando aveva soltanto undici anni.

Impiegato nei cantieri in Germania,
si era avvicinato ai sindacati
e aveva simpatizzato per i socialisti,
che a quel tempo
erano tra i pochi a occuparsi
delle condizioni degli operai.

Giovanni Paolo I visto da Fiocco*

Nel 1900 Giovanni sposò in prime nozze
la cugina Rosa Angela Fiocco (1877-1906),
dalla quale ebbe due femmine,
entrambe sorde, e tre maschi,
che morirono dopo pochi mesi di vita:
li aveva chiamati tutti Albino,
per ricordare un amico morto sul lavoro.

La sordità delle figlie e la moria dei maschi
dipendevano verosimilmente
dalla consanguineità dei genitori.

Nel 1906 morì anche la moglie Rosa,
lasciando un vedovo con due figlie disabili.

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Da sinistra, Bortola Tancon, madre di Albino Luciani, con un fratello e una cognata; seduti, i nonni materni di Albino (Gbb/Mondadori Portfolio)

Dopo aver peregrinato nei cantieri d’Oltralpe,
Giovanni si rese conto che le due figlie
chiedevano la presenza di una donna:
qualcuno gli suggerì il nome
di Bortola Tancon (1879-1948),
una trentenne disposta a sposare un vedovo.

Poiché Bortola lavorava a Venezia,
anche Giovanni trovò lavoro in laguna.

Albino, il loro primogenito,
ricorderà il 3 settembre 1978:
«Il papà aveva lavorato a Murano,
nelle vetrerie,
e là aveva incontrato la mamma,
si erano fidanzati e io son qua perché…
è dovuto al caso di Venezia».

Bortola e Giovanni si piacquero
e si avviarono al matrimonio,
che celebrarono nella chiesa del paese
il 2 dicembre 1911.
Nella nuova famiglia trovarono posto
le due figlie del primo letto.

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Il 17 ottobre 1912 nacque Albino.
Le difficoltà del parto fecero temere ancora
per la sua sopravvivenza,
tanto che venne battezzato in articulo mortis
dalla levatrice Maria Fiocco,
sorella della prima moglie del padre.

Singolare caso che un futuro papa
sia stato battezzato da una donna;
quasi il “la” per un cammino di santità
segnato dalla discrezione
e dall’umiltà fin dal suo incipit.

All’inizio del 1918 Albino venne colpito
da una forma di polmonite bilaterale
e riuscì a sopravvivere
grazie a un medico militare,
che visitò e curò efficacemente
il piccolo paziente.

Sopravvisse anche ai rigori
degli inverni in montagna
e alle privazioni
che la Prima guerra mondiale
portò nella valle:
dopo la ritirata di Caporetto,
quei paesi divennero zone di occupazione

e conobbero ristrettezze tali che,
dall’inverno del 1917 fino a tutto il 1918,
schiacciarono la popolazione
nel più terribile anno della guerra,
proverbialmente ricordato
come “l’anno della fame”.

Stretta dalla disperazione,
Bortola mandò a chiedere l’elemosina
la figliastra Pia e il piccolo Albino
che, quando diverrà pontefice, dirà:

«È stato ricordato dai giornali
– anche troppo forse! –
che la mia famiglia era povera.
Io posso confermare che,
durante l’anno dell’invasione,
ho patito veramente la fame,
e anche dopo;

almeno sarò capace
di capire i problemi di chi ha fame!
Questo posso dirlo».

In casa Luciani nacquero poi altri tre figli,
uno dei quali morì di polmonite in tenera età.

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Dal seminario a prete novello

Dopo la guerra,
Albino iniziò il suo percorso
di formazione scolastica e cristiana:
il 26 settembre 1919
ricevette la cresima dal vescovo di Belluno,
lo stesso monsignor Cattarossi
che lo consacrerà sacerdote,

e l’8 dicembre la prima comunione
dal parroco don Filippo Carli,
destinato a diventare
il suo “maestro spirituale”:

da lui apprese molte indicazioni
di vita cristiana e di stile pastorale,
che lasciarono un segno indelebile,
come l’attenzione alla catechesi
e ai mezzi di comunicazione.

Nella primavera del 1923,
fu a Canale per la predicazione quaresimale
un cappuccino di Trieste,
tal fra Remigio da Guardia Veneta.

In una fresca mattina di aprile
– le fonti ci fanno presumere il 4 aprile –
il frate raccolse alcuni chierichetti,
perché lo accompagnassero
nel villaggio di Garés.

Durante il cammino li catechizzava,
e nelle soste li incantava
colpendo con la fionda i bersagli concordati,
un tronco di abete, un palo, un masso.

Prima di tornare al convento,
il religioso chiese ai ragazzini
se qualcuno volesse seguirlo
e diventare cappuccino.
Il giovanissimo Albino, dieci anni,
alzò la mano e con entusiasmo gridò:
«Vengo io!».

Tuttavia don Filippo
prese per mano il piccolo
e lo orientò verso il seminario diocesano.

Il padre,
ancora all’estero per lavoro,
gli diede il consenso tramite una lettera,
che per Albino fu quasi un testamento:
«Spero che quando tu sarai prete
starai dalla parte dei poveri,
perché Cristo era dalla loro parte».

Giovanni Paolo I visto da Fiocco*

Così il 17 ottobre 1923
iniziava il percorso nel seminario di Feltre,
con gli anni del ginnasio,
che comprendevano allora le nostre scuole medie.

Cinque anni dopo,
per i corsi liceali, filosofici e teologici,
passò nel seminario di Belluno,
che è chiamato “Gregoriano”
in onore del primo papa bellunese,
Gregorio XVI (1831-1846).

Nel percorso di formazione
il seminarista si distinse
per notevoli capacità intellettuali
e per i lusinghieri risultati scolastici.

Finché il 7 luglio 1935
fu ordinato sacerdote
nella chiesa di San Pietro in Belluno,
con dispensa pontificia super aetatem
perché non aveva ancora ventitré anni,
l’età canonica per diventare prete.

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Prima Messa di don Albino Luciani / facebook.com/PapaLucianiIlSorrisoDiDio

L’indomani celebrò la prima Messa
nel paese natale:
alla festa mancava soltanto don Filippo,
che era morto l’autunno precedente.

Il primo incarico pastorale
fu quello di cooperatore a Canale d’Agordo,
per divenire a dicembre
cappellano nella vicina cittadina di Agordo.
Il periodo di servizio in parrocchia
si concluse molto presto.

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Giovane sacerdote a Belluno

Alla fine dell’estate del 1937,
il venticinquenne don Albino
fu richiamato a Belluno
come vicerettore del seminario,

al fianco del nuovo rettore
monsignor Angelo Santin,
che aveva accettato l’incarico
a una sola condizione:
avere l’aiuto di Luciani.

Gli vennero via via affidati
vari insegnamenti
tra i corsi liceali e teologici:
si impegnò soprattutto nella docenza
della teologia dogmatica
ma, secondo le necessità,
anche di altre discipline.

Eccezionalmente dispensato
dall’obbligo di frequenza,
si iscrisse all’Università Gregoriana di Roma,
dove il 17 ottobre 1942
ottenne la licentia docendi in teologia.

Ma erano gli anni
della Seconda guerra mondiale:
dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943
la provincia di Belluno era stata inglobata
da Hitler, insieme a Trento e Bolzano,
in un unico Land, annesso al Terzo Reich
come Operationszone Alpenvorland.

Alle truppe tedesche
si contrapponevano i partigiani,
alle cui azioni
i nazisti risposero con feroci rappresaglie:
in Agordino, nell’agosto 1944,
si contarono nella parrocchia natìa
trentotto vittime civili e sei villaggi incendiati.

Albino Luciani tornò in paese
all’indomani della strage
e si adoperò per ottenere la liberazione
di tre compaesani che,
catturati dai partigiani,
erano stati condannati alla fucilazione
come ritorsione contro i fascisti;
uno dei tre era il suo maestro delle elementari.

Luciani affrontò uno dei capi partigiani,
di cui era parente, dichiarandosi pronto
a denunciare in pubblico il sopruso;
così lo costrinse a liberare i tre.

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Nel febbraio 1947,
conseguì il dottorato in teologia
con una tesi su L’origine dell’anima umana
secondo Antonio Rosmini.

Ma tornò da Roma stremato
e affetto da polmonite:
poiché all’inizio si sospettava la tubercolosi,
fu ricoverato in sanatorio;
ma alla fine dell’estate
era completamente ristabilito.

Terminò così
il servizio di vicerettore in seminario
e cominciarono gli anni
delle sue responsabilità in diocesi.

Durante l’estate del 1947
il vescovo Girolamo Bortignon
lo nominò procancelliere vescovile,
perché curasse il Sinodo interdiocesano
di Belluno e Feltre.

Poi lo fece monsignore e in febbraio
lo nominò pro-vicario generale
e direttore dell’Ufficio catechistico.

Luciani si impegnò particolarmente
nell’organizzazione
del Congresso catechistico diocesano.

Frutto del suo lavoro fu il volume
Catechetica in briciole,
sussidio di metodologia per i catechisti,
dato alle stampe nel 1949 e dedicato
«alla soave memoria della mamma,
mia prima maestra di catechismo»,
che era deceduta il 2 marzo 1948.

Il successore di Bortignon,
monsignor Gioacchino Muccin,
confermò Luciani in tutti gli incarichi
e l’8 febbraio 1954
lo nominò vicario generale.

Intanto, fino all’ultimo giorno
di permanenza in diocesi,
don Albino continuò
a insegnare in seminario,
aggiungendo un nuovo filone di interesse
per l’arte sacra locale.

L’altra sua grande passione
era quella della stampa:
con sempre maggior assiduità
Luciani scriveva articoli
per il settimanale diocesano.

Inoltre si fece animatore
di un gruppo giovanile,
con il quale tentò l’esperienza del cineforum,
come moderno mezzo di catechesi e formazione:
nella memoria restavano gli insegnamenti
dell’indimenticato don Filippo.

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Vescovo di Vittorio Veneto

I vescovi Bortignon e Muccin,
che lo avevano voluto come stretto collaboratore
nel governo della diocesi bellunese,
ne sostennero la candidatura all’episcopato.

Ma, fatte le prescritte indagini,
dalla Congregazione romana
vennero inizialmente alcune obiezioni
perché la salute del candidato sembrava precaria
e perché la voce era flebile.

Il vescovo di Belluno controbatté,
rassicurando con un certificato medico
che attestava la buona salute del candidato
e facendo notare che dal 1947
non aveva mai saltato
un solo giorno di insegnamento.

Constatava inoltre che,
se anche la voce pareva flebile,
ormai erano diventati di uso comune
gli impianti di amplificazione.

Del resto,
a segnalare la debolezza della voce
sembra esser stato proprio
il successore di don Carli,
monsignor Augusto Bramezza,
la cui «sordità proverbiale» era nota nel 1958,

come è nota allo scrivente,
che da monsignor Bramezza fu battezzato
e che gli prestò servizio da chierichetto.

Così il 15 novembre 1958
Albino Luciani fu nominato vescovo,
e il 15 dicembre, nel primo concistoro
indetto da Giovanni XXIII,
fu preconizzato alla sede di Vittorio Veneto.

Il successivo 27 dicembre
ricevette la consacrazione episcopale
dalle mani del papa
nella basilica di San Pietro
e l’11 gennaio 1959
fece il suo ingresso in diocesi.

Il motto episcopale Humilitas,
che volle impresso sullo stemma
insieme alle tre stelle
– simbolo di fede, speranza e carità –
segnò l’orientamento costante
del suo ministero di vescovo.

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Il periodo vittoriese (1959-1969)
costituì una tappa radiosa
nell’esistenza di Luciani.

All’inizio del suo episcopato,
il territorio diocesano era suddiviso
in 175 parrocchie,
raggruppate in 19 vicariati;

nel 1960 gli abitanti erano oltre 278mila,
i sacerdoti in servizio 386,
di cui 92 appartenenti al clero regolare,
una trentina erano i religiosi non chierici.

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Albino Luciani vescovo di Vittorio Veneto / osservatoreromano.va

L’attività pastorale in diocesi era intensa:
la missione di Luciani si svolse
sul piano spirituale, caritativo e culturale.

Diede da subito priorità alle visite pastorali
e al contatto diretto con i fedeli:
si distinse soprattutto nella predicazione,
confermando la sua indole di comunicatore.

Dimostrò sensibilità
verso i problemi sociali
del territorio veneto,
che viveva il passaggio epocale
dal piccolo mondo antico della campagna
a quello industriale moderno:

fu un pastore attento alle lotte
per il lavoro degli anni Sessanta,
mostrando solidarietà verso gli operai
impegnati in un’estenuante vertenza sindacale.

Per primo in Italia
volle un contratto sindacale
per i sacrestani,
forse perché ricordava ancora
i principi indicati dal padre.

Non dimenticava i suoi oneri di vescovo:
si dedicò anche alla cura delle vocazioni
e alla formazione dei giovani sacerdoti.

Affrontò le difficoltà di governo
con fortezza e serenità.

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La prima seria complicazione
si ebbe nel 1962,
quando il tesoriere della curia
e il parroco di una facoltosa parrocchia
si trovarono coinvolti in trame finanziarie,

tessute da un faccendiere
che aveva creato una sorta di “banca segreta”,
raccoglieva soldi
e li impiegava in azzardate speculazioni.

Avviluppati dai suoi intrighi,
i due preti chiesero prestiti a parroci,
a fedeli, a enti ecclesiastici.

Quando poi il faccendiere si suicidò,
la verità venne rapidamente alla luce
e la stampa avversa alla Chiesa
si attivò con la “macchina del fango”:
la curia e il vescovo venivano accusati
di connivenza e corresponsabilità.

Ottenuto il “via libera” dalla Santa Sede,
monsignor Luciani
decise di risarcire i fedeli truffati,
accollando alla diocesi i debiti contratti,
perché nessuno dovesse averne un danno;

mise mano ai bilanci parrocchiali,
impose quote di partecipazione,
in base alle possibilità degli enti diocesani,
chiese un contributo a tutti i suoi preti.

I provvedimenti sollevarono qualche critica;
ma soprattutto suscitarono ammirazione.

Tra il 1962 e il 1965 il vescovo Luciani
partecipò alle sessioni del Concilio,
dove fece un solo intervento, per iscritto,
sulla collegialità episcopale.

Tornando in diocesi,
trasmetteva con chiarezza di catechista
gli insegnamenti conciliari.

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L’esperienza conciliare
ebbe un altro non secondario effetto:
gli incontri con i vescovi del Terzo Mondo
stimolarono il suo interesse per le missioni.

La diocesi si lasciò coinvolgere
e Luciani inviò missionari in Brasile
e in Burundi, dove egli stesso
si recò in visita pastorale
nell’autunno del 1966.

Nel frattempo, in seno
alla Conferenza Episcopale Triveneto
si metteva in luce per la redazione
di documenti collegiali, tra i quali
un importante e delicato
documento “aperturista” sulla contraccezione,
richiesto all’assemblea da papa Paolo VI.

Nel suo intimo Luciani si augurava
«che le gravissime difficoltà esistenti
potessero venire superate»,
alludendo ai crucci di coscienza
di quanti faticavano a osservare
il dettato tradizionale
sulla regolazione delle nascite.

Poi, pur consapevole delle amarezze
che il dettato papale di Humanae vitae
poteva suscitare, fu leale al papa.

Tra il 1967 e il 1969
ci fu l’altro momento critico
degli anni vittoriesi:
lo scisma di Montaner.

Alla morte dell’amato parroco,
gli abitanti del paese pretesero di nominare
come successore il cappellano.
Ma il vescovo rivendicò le sue prerogative
e resistette con tenacia:

la maggioranza del paese gli si oppose,
impedì la nomina del nuovo parroco
e alla fine decise di lasciare la Chiesa cattolica,
fondando una parrocchia ortodossa.

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Patriarca di Venezia

Il 15 dicembre 1969 segnò l’inizio
di un nuovo periodo nella vita di Luciani:
Paolo VI annunciò il suo trasferimento
alla sede metropolitana di Venezia.
Domenica 8 febbraio 1970
egli fece il suo ingresso nella diocesi lagunare.

Di lì a breve Paolo VI manifestò nuovamente
la sua stima verso di lui, annoverandolo
fra i membri di nomina pontificia
del Sinodo dei Vescovi del 1971,
convocato per discutere i temi
del sacerdozio ministeriale
e della giustizia nel mondo.

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Paolo VI e il Patriarca di Venezia Albino Luciani / Foto Musal – Museo Albino Luciani di Canale d’Agordo

Il 16 settembre 1972, in viaggio verso
il Congresso Eucaristico Nazionale di Udine,
Paolo VI fece visita a Venezia
e impose pubblicamente la stola al patriarca,
davanti alla folla in piazza San Marco:

forse era il segno con cui il papa
rispondeva alla fronda di oppositori
che nella diocesi lagunare
tramavano per la sua rimozione.

Il 5 marzo 1973 infine
Albino Luciani divenne cardinale.

Anche nella Conferenza Episcopale Italiana
la figura di Luciani andava acquisendo rilievo.

In quanto presidente
della Conferenza Episcopale Triveneto,
faceva parte di diritto
del Consiglio permanente della Cei,
di cui nel giugno 1972
fu eletto vicepresidente.

Ricoprì l’incarico fino al giugno 1975,
quando chiese di non essere confermato
per potersi dedicare con più impegno
alla sua diocesi.

Dopo aver partecipato al Sinodo del 1974
sull’evangelizzazione nel mondo moderno,
fu ancora eletto tra i rappresentanti
dell’episcopato italiano
per il quarto Sinodo del 1977,

dedicato ai problemi della catechesi,
che gli offrì l’occasione
per un ampio intervento
su uno dei temi da lui più frequentati,
come espressione del suo slancio
per l’annuncio delle verità cristiane.

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Anche a Venezia
Luciani restò fedele al suo stile pastorale,
con un contegno di vita sobrio,
attento ai poveri,
ai drammi sociali, agli ammalati.

Si mostrava aperto al dialogo
con la gente comune,
e questo gli fece guadagnare
le simpatie del popolo:

Luciani – ha assicurato
il patriarca Francesco Moraglia,
suo attuale successore a Venezia –
resta «il patriarca che la gente umile
ricorda di più. Ne sono testimone».

Non fece mancare il suo appoggio
agli operai di Marghera,
coinvolti in agitazioni sindacali.

Compì alcuni viaggi all’estero
durante i quali incontrò
le comunità di emigrati italiani:

in Svizzera (giugno 1971),
Germania (giugno 1975) e in Brasile,
a Santa Maria di Rio Grande do Sul
(novembre 1975), dove gli fu conferita
la laurea honoris causa in pedagogia.

Rilevante durante gli anni veneziani
è anche la sua produzione scritta,
caratterizzata dalla scelta
di una forma espositiva piana e colloquiale,
intenzionalmente voluta
per arrivare a essere compreso da tutti.

Pubblicò articoli su temi ecclesiali
e di attualità sulle colonne
de Il Gazzettino e de L’Osservatore Romano
e nel 1976 diede alle stampe
un’opera letteraria, Illustrissimi,
silloge di epistole fittizie
indirizzate a grandi personaggi del passato.

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Gli anni Settanta
furono gli anni della contestazione
e di varie derive post-conciliari:
il cardinal Luciani avvertì l’urgenza
di intervenire per correggere errori dottrinali
e prese posizione in modo chiaro
su vari aspetti della vita diocesana.

Tenne ferma la mano
sul timone della sua diocesi,
attirandosi qualche inimicizia
da parte di una frangia del clero veneziano:

citando Bernanos,
riconosceva di dover essere non miele,
ma sale della terra,
che può anche bruciare,
ma per questo risana;

citando Gregorio Magno,
egli sapeva di dover evitare la tentazione
di piacere agli uomini.

Soprattutto nella primavera del 1974,
durante l’aspra campagna
per il referendum sul divorzio,

intervenne con fermezza
contro la posizione che la Fuci veneziana,
in totale dissenso
con la Conferenza episcopale italiana,
aveva assunto.

Questa lealtà verso la comunione
con le scelte collegiali dell’episcopato
e altri interventi più discreti
mettevano in luce a livello nazionale
il patriarca di Venezia,

che era vescovo nella sua Chiesa locale,
ma con sensus Ecclesiae
si sapeva aprire alla cattolicità.

Sono gli aspetti
che non sfuggirono ai suoi futuri elettori.

Giovanni Paolo I visto da Fiocco*
Un breve e intenso pontificato

Pochi giorni dopo la morte di Paolo VI,
occorsa nella serata del 6 agosto 1978,
il cardinale Luciani lasciò Venezia
e partì per Roma.

Terminati i novendiali per il defunto papa
e ultimate le congregazioni generali,
il 25 agosto iniziò il Conclave.
L’indomani, al quarto scrutinio,
Luciani fu eletto papa
con un ampio consenso.

Scelse il doppio nome di Giovanni Paolo:
un gesto di affetto verso i due pontefici
che lo avevano preceduto,
come precisò l’indomani all’Angelus;

ma anche una dichiarazione d’intenti
che indicava la possibile sintesi
tra i due pontificati, che avevano aperto,
guidato e concluso il Concilio.

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Primo saluto di Albino Luciani appena eletto Papa / chiesabellunofeltre.it

Il 27 agosto
rivolse il primo radiomessaggio Urbi et Orbi,
nel quale dichiarò in sei “volumus”
le linee programmatiche del suo pontificato:

continuità del Concilio;
grande disciplina della Chiesa;
priorità dell’evangelizzazione;
l’impegno ecumenico;
il dialogo con il mondo;
e le iniziative per la pace nel mondo.

A mezzogiorno recitò il primo Angelus
in piazza San Pietro,
rivolgendosi familiarmente ai fedeli
senza usare il plurale maiestatis:

«Ieri mattina io sono andato alla Sistina
a votare tranquillamente.
Mai avrei immaginato
quello che stava per succedere».

E concluse: «Io non ho né
la sapientia cordis di papa Giovanni,
e neanche la preparazione e la cultura
di papa Paolo, però sono al loro posto,
devo cercare di servire la Chiesa.
Spero che mi aiuterete
con le vostre preghiere».

Giovanni Paolo I visto da Fiocco*

I primi gesti del suo pontificato
fecero subito cogliere il tratto originale
di uno stile di vita improntato
a spirito di servizio e semplicità evangelica.

Domenica 3 settembre
inaugurò il suo ministero
di Pastore della Chiesa universale
sempre all’insegna dell’umiltà,
rinunciando all’incoronazione.

All’Angelus del 3 settembre
dichiarò di voler seguire
come modello nel ministero petrino
san Gregorio Magno:

«Si dà il caso che oggi, 3 settembre,
lui sia stato eletto papa
e io comincio ufficialmente
il mio servizio alla Chiesa universale».

Lo imitò particolarmente
nello stile delle catechesi
delle quattro udienze generali
del suo pontificato.

Citando il cardinale Ildefonso Schuster,
Giovanni Paolo I guardava
all’antico predecessore come a «un padre,
che istruisce pianamente i propri figlioli
e li mette a parte delle sue sollecitudini
per la loro eterna salvezza».

E così lasciò un segno indelebile
per le sue catechesi,
in cui ripropose la bellezza
della vita cristiana
fondata sulle tre virtù teologali:
fede, speranza e carità.

Alle tre udienze sulle virtù teologali,
il 6 settembre aveva fatto precedere
l’udienza sulla virtù dell’umiltà.

Giovanni Paolo I visto da Fiocco*

Il suo magistero si concluse il 27 settembre
con l’udienza sulla carità:
iniziò la catechesi richiamando l’atto di carità,
imparato dalla mamma.

Come «un catechista di parrocchia»
illustrò l’amore che è dovuto a Dio.
Poi ricordò
che l’amore dovuto al prossimo
è fratello gemello dell’amore di Dio

e, mentre faceva queste considerazioni,
uno dei presenti gli gridò:
«Le auguro una lunga vita»…

Un augurio che sembra quasi un presagio,
a circa trenta ore dalla morte.

Esequie di Giovanni Paolo I, 4 ottobre 1978 (Sergio Del Grande Mondadori Portfolio)

Giovanni Paolo I visto da Fiocco*

Nella tarda serata del 28 settembre 1978,
Giovanni Paolo I morì improvvisamente,
dopo appena 34 giorni di pontificato.

Uno in più dei 33 recitati dalla tradizione,
perché così esige il conteggio canonico:
28 giorni in settembre e i 6 giorni di agosto,
nei quali va contato anche il 26 agosto,
che fu il primo giorno di pontificato.

Si chiudeva il suo «breve,
intenso, splendido pontificato»,
come è stato scolpito a Canale d’Agordo
presso il fonte battesimale,
dove… non venne battezzato.

Il cammino verso la santità
di questo futuro beato,
che era iniziato dal fugace battesimo
amministrato in casa dalla levatrice,
si concludeva con discrezione:

Albino Luciani
chiudeva gli occhi al mondo da solo,
intento alla lettura,
nel silenzio del Palazzo Apostolico.

L’indomani le suore
che erano al suo servizio
ritrovarono il corpo esanime.

La salma di Giovanni Paolo I
fu tumulata nelle Grotte Vaticane
il 4 ottobre 1978.

Diversi medici, uno in servizio in Vaticano
e tre professori dell’Istituto di Medicina Legale
dell’Università La Sapienza di Roma,
certificarono che si trattò di infarto:
il loro giudizio è stato acquisito
agli atti della Causa di canonizzazione,
con documenti inequivocabili.

Davide Fiocco (teologo,
incaricato della diocesi Belluno-Feltre
per la Causa di canonizzazione
di Giovanni Paolo I),
«Il cammino di una vita intessuta nell’umiltà»,
in “Luoghi dell’Infinito”, Mensile di Itinerari
Arte e Cultura di “Avvenire”, settembre 2022,
n. 275, pp. 8-17.

Foto di apertura: Giovanni Paolo I, in
“S.S. Giovanni Paolo I – Albino Luciani” /
facebook.com

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