Giovanni Paolo I visto da Falasca*
Il buon pastore e la speranza dell’Annuncio
L’elezione di Luciani sorprende tutti,
ma in Conclave la convergenza rapida,
vasta e spontanea dei cardinali
verso un chiaro profilo di papa è significativa.
Le priorità e le linee maestre del pontificato
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Si era definito
«povero papa nuovo» parlando vis-a-vis
ai fratelli cardinali che lo avevano eletto pontefice,
e a loro aveva chiesto di
«dare al mondo spettacolo di unità,
anche sacrificando qualche cosa alle volte»,
perché – aveva spiegato
in un discorso completamente diverso
dal testo ufficiale preparato per l’occasione –
«noi avremmo tutto da perdere
se il mondo non ci vede saldamente uniti».
Albino Luciani
era stato eletto papa il 26 agosto 1978,
con il nome di Giovanni Paolo.
Un dispaccio riservato
del Dipartimento di Stato americano
aveva subito rilevato
la nota caratterizzante di quella elezione:
la rapidità.
E, in quella rapidità, l’addetto
dell’ambasciata statunitense a Roma
vi leggeva «la convergente volontà
del Collegio dei cardinali
di dimostrare unità»,
un’unità che veniva «ribadita
anche dallo stesso neoeletto»
nell’inedita scelta di unire i nomi
dei due predecessori: Giovanni Paolo.
Unità che certamente intendeva coniugare,
nella volontà di slancio,
il «balzo innanzi» di un’eredità comune:
quella del Concilio.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Con un consenso
«quasi plebiscitario», «che aveva il sapore
dell’acclamazione», «un regale tre quarti»
– secondo l’espressione attribuita
al cardinale belga Léon-Joseph Suenens –
dopo un Conclave rapidissimo,
durato soltanto ventisei ore,
Albino Luciani saliva al soglio di Pietro.
O meglio vi discendeva,
come Servus servorum Dei,
abbassandosi al vertice dell’autorità
che è quella del servizio voluto da Cristo,
se nell’agenda personale del pontificato
siglava in calce, con queste parole,
l’essere ministri nella Chiesa:
«Servi, non padroni della Verità».
Il cardinale argentino
Eduardo Francisco Pironio,
in una omelia inedita,
ricordava così l’esatto momento
della elezione di Luciani
a Vescovo di Roma:
«Ero proprio di fronte a lui,
e lo guardavo.
Ed eravamo tutti i cardinali
in attesa del suo sì.
Il suo sì a Cristo,
un sì alla Chiesa come servitore,
un sì all’umanità come pastore buono.
Io l’ho visto con una serenità profonda,
che proveniva da una interiorità
che non si improvvisa».
Ne restituiva in un lampo il profilo.
Mentre la rapidità di quel Conclave,
che scompaginava i pronostici
elaborati dalla stampa
nei giorni precedenti,
colse di sorpresa e stupì molti.
***
Giovanni Paolo I Visto da Falasca* – Chi era
Albino Luciani?
Nella sua semplicità
la domanda dell’opinione pubblica
in quell’agosto del 1978
è anche quella
su cui non può non applicarsi
un lavoro storico.
Perché è rispondendo a questa domanda
che i cardinali
di quel torrido conclave d’agosto
elessero Giovanni Paolo I.
In un Nord-Est provato
da un’emigrazione endemica,
tra le ferite di due guerre mondiali
che in modo particolare
avevano fatto provare stenti
e lacerazioni sociali,
in una zona periferica di confine,
ma non marginale,
che proprio in quanto confine aperto
è stata foriera
di arricchimento umano e culturale,
in un ambiente in cui la religione
non era mai stata una sovrastruttura,
ma un tessuto connettivo e d’integrazione,
Albino Luciani aveva vissuto l’infanzia,
maturato la formazione,
svolto il suo servizio presbiterale
e di vicario generale della diocesi di Belluno
fino all’età di quarantasei anni.
E neppure i suoi successivi impegni
da vescovo di Vittorio Veneto
e da patriarca di Venezia
lo avevano mai allontanato,
fino all’elezione,
dalla natìa terra veneta.
Ai porporati
del primo Conclave del 1978
questo confine non parve un limite,
ma una chance importante.
Ed era stata una chance importante
per Luciani stesso:
l’amore per lo studio,
la ricerca e la vasta frequentazione
anche della letteratura universale
gli permisero presto di formare
un bagaglio umano e culturale
che va ben oltre
la preparazione ecclesiastica
di un seminario tridentino,
del quale appena venticinquenne
divenne vicerettore
e docente di dogmatica
e di altre discipline
per più di un ventennio,
unendo la cura pastorale
agli incarichi di governo.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – L’esito
di questa cura
fu un’attenzione sempre più forte
alle dimensioni dell’umano,
al servire l’uomo in quanto tale.
E gli uomini,
con le concrete vicende della loro vita,
non diventarono per Luciani
solamente destinatari del suo magistero,
ma fratelli di una comune vocazione,
nell’affidamento alla misericordia,
che tutti unisce.
Il motto episcopale Humilitas,
preso in prestito da san Carlo Borromeo
e da sant’Agostino
e che volle impresso sullo stemma,
segnò l’orientamento costante nell’esercizio
del suo ministero episcopale e petrino,
e rappresentava per Luciani
l’essenza del cristianesimo,
la virtù portata nel mondo da Cristo
e l’unica che a Lui porta:
«La prima virtù?
È l’umiltà», dice sant’Agostino.
«La seconda? Ancora l’umiltà.
La terza? Sempre l’umiltà…».
San Francesco di Sales completa:
«le altre virtù, senza umiltà
sono come un po’ di polvere
nel cavo della mano;
il primo soffio di vento le spazza via».
E sarà dedicata all’umiltà la prima
delle quattro udienze del pontificato,
la chiave per aprire a quelle successive
sulla fede, sulla speranza e sulla carità,
in un magistero che, radicato nel tempo,
ha precorso i tempi.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Il Conclave
radunato per eleggere il successore di Paolo VI
era il primo dopo la conclusione
del Concilio Ecumenico Vaticano II;
il primo da cui vennero esclusi
i cardinali ultraottantenni;
il primo nel quale si applicò la normativa
promulgata da Paolo VI nel 1975,
che con la sede vacante
azzerava il governo curiale,
lasciando al successore la piena libertà
nella scelta dei collaboratori;
il primo che si svolse
in un’accentuata esposizione mediatica
dei conclavisti.
E mentre i media non lesinavano
nel pubblicare profili di candidati,
per la prima volta venne concesso
ai capi delegazione
del Corpo diplomatico accreditato
e a una rappresentanza dei giornalisti
di visitare il recinto del Conclave.
Per la prima volta
i servizi segreti militari italiani collaborarono
all’isolamento elettromagnetico degli spazi.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Al mattino presto
del 10 agosto, trascorsi alcuni giorni
all’Istituto elioterapico Stella Maris al Lido,
il patriarca Albino Luciani aveva lasciato Venezia.
Un fotografo, d’intesa con il direttore
dell’Archivio patriarcale,
lo aveva ritratto a sorpresa
mentre saliva in sordina sul motoscafo.
Aveva raggiunto Roma in automobile
insieme al segretario e alloggiato
presso il collegio degli agostiniani,
a pochi passi dalla basilica di San Pietro.
Aveva subito reso omaggio
alla salma di Paolo VI
e in quei giorni si era astenuto
dagli incontri informali dei cardinali,
preferendo passare le giornate
impegnato nella redazione di lettere
e delle ultime risultanze della visita pastorale,
come attestano le minute
dell’agenda personale del 1978,
conservata presso
l’Archivio Privato Albino Luciani,
oggi patrimonio
della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I.
E aveva già ricordato
– citando le parole del cardinale Franz König –
che «al prossimo Conclave,
sarebbe stato necessario usare il bastone,
perché qualcuno dei cardinali
accettasse di guidare la Chiesa».
Di fatto,
scriveva confidenzialmente da Roma,
si riteneva «fuori pericolo».
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Nella rassegna stampa
dei candidati al pontificato
il suo nome era rimasto in penombra.
Sui giornali
«il nome di Luciani trovava qua e là
un cenno molto marginale».
Il suo nome non figurava nemmeno
nelle quotazioni dei bookmaker di Londra.
In un’intervista rilasciata nell’agosto 1978,
il cardinale brasiliano Aloísio Lorscheider,
presidente della Conferenza episcopale
latinoamericana, aveva tracciato tuttavia
un ritratto del possibile candidato
prossimo al profilo del patriarca di Venezia:
«Il nuovo papa dovrebbe essere
prima di tutto un buon padre,
un buon pastore come lo era stato Gesù,
che svolge il proprio ministero
con pazienza e disponibilità al dialogo […]
dovrebbe essere sensibile
ai problemi sociali […]
deve rispettare e incoraggiare
la collegialità dei vescovi […]
non dovrebbe tentare
di imporre ai non cristiani
soluzioni cristiane».
Quelle caratteristiche
– precisò in seguito in un’intervista
che mi rilasciò nel 1998 –
esprimevano gli orientamenti
di quel collegio cardinalizio,
alla ricerca di «un papa
che fosse innanzitutto
un buon pastore»
e «ritenevano ancora giusto
scegliere un italiano».
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Negli incontri
informali dei porporati,
soprattutto tra quelli extraeuropei,
si era così creato progressivamente consenso
attorno al patriarca di Venezia,
come lasciava intendere il cardinale
Hyacinthe Thiandoum, arcivescovo di Dakar,
legato a Luciani da stima e amicizia,
che affermava:
«Da parte mia non avevo dubbi
che il cardinale Luciani avrebbe ben presto
occupato il trono di Pietro.
A Roma,
prima dell’apertura del Conclave,
rispondevo invariabilmente
[a chi mi chiedeva chi sarebbe stato
il futuro pontefice, ndr]:
“il cardinale Luciani”».
Osservava lo storico Gabriele De Rosa,
che quella di Luciani
non era stata «una scelta improvvisa,
scelta nata nelle poche ore del Conclave
o nel giro di rapide intese
e di incontri romani:
essa è arrivata come frutto
di più lontana e attenta riflessione,
forse già prima della scomparsa di Paolo VI;
quanto a dire che i canali
dell’informazione giornalistica,
e non solo giornalistica,
erano già fuori strada».
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Non fu dunque
senza significato quella convergenza
massiccia e spontanea dei centoundici elettori,
per la maggior parte dei quali
si trattava della prima esperienza di Conclave,
e che non parevano disposti
a sbrigare solo un “cambio della guardia”.
Quanto basta per dire
che quella scelta unanime
era stata espressione
di una «comune mentalità ecclesiale».
E se il Conclave
che elesse il successore di Paolo VI
è stato il primo dopo la conclusione
del Concilio Ecumenico Vaticano II,
quell’elezione voleva significare
la volontà di progredire
nell’attuazione dei suoi orientamenti.
I cardinali avevano mirato pertanto
alla virtù dirimente della pastoralità.
Albino Luciani non venne scelto
per essere un pastore,
ma perché lo era.
Avevano scelto il pastore.
Non ci fu bisogno di particolari valutazioni
o compromessi sul suo nome.
Il valore di Luciani,
riconosciuto da tempo,
era tutto nella sua fisionomia
incentrata sull’essenziale.
Era il pastore
nutrito di umana e serena saggezza
e di forti virtù evangeliche,
che precede e vive nel gregge con l’esempio,
senza alcuna separazione
tra la vita personale e la vita pastorale,
tra la vita spirituale e l’esercizio di governo,
nell’assoluta coincidenza
tra quanto insegnava e quanto viveva.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Esperto
di umanità e delle ferite del mondo,
delle esigenze dell’immensa moltitudine
dei derelitti che vivono fuori dall’opulenza,
un sacerdote di vasta e profonda sapienza
che sapeva coniugare in felice
e geniale sintesi nova et vetera.
Albino Luciani aveva infatti assimilato
già nella sua formazione sacerdotale
quella visione,
cara ai Padri del primo millennio,
della Chiesa come mysterium lunae:
una Chiesa cioè
che non brilla di luce propria,
ma di luce riflessa;
una Chiesa che non è proprietà
degli uomini di Chiesa,
ma Christi lumen.
Immagine della natura ecclesiale,
e dell’agire che le conviene,
che aveva irrigato diffusamente
i documenti del Concilio
e che divenne decisiva e feconda
nell’iter pastorale di Luciani.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – E se il Concilio
voleva essere «un segno della misericordia
del Signore sopra la sua Chiesa»,
come prospettato nella giovannea
Gaudet Mater Ecclesia
– ed effettivamente l’assemblea dei vescovi
è stata la sede in cui la Chiesa ha scelto
la «medicina della misericordia» –
era stato eletto un apostolo del Concilio,
che aveva fatto del Concilio
il suo noviziato episcopale,
di cui spiegò con cristallina lucidità
gli insegnamenti
e tradusse rettamente in pratica
con coraggio perseverante, le direttive.
Anzi le incarnava.
Naturaliter et simpliciter.
In primis nella povertà,
che per Luciani costituiva
la fibra del suo essere sacerdote,
e nell’essere propter homines,
nella ferialità evangelica.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* Con l’inedita
scelta del binomio “Giovanni Paolo”,
aveva eretto l’arco di congiunzione
di coloro che erano stati
le colonne portanti di tale opera.
Colonne che furono da taluni
giudicate staccate.
Luciani conosceva questo dissidio
serpeggiante in seno alla Chiesa
e lo considerava offensivo della verità
e nemico dell’unità e della pace.
La scelta del binomio è stata pertanto
una delle espressioni non rare
dell’intuito geniale
con cui il papa di origini bellunesi
sapeva con prontezza afferrare le questioni,
vedendone con sicurezza il fondo,
e sciogliere il nodo delle situazioni
e dei problemi difficili nella Chiesa.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Nei giorni successivi
anche i cardinali elettori – salva sempre
la rigorosa disciplina del segreto –
diedero rilievo alla convergenza raggiunta
e alla prospettiva eminentemente
ecclesiale e non politica
che aveva animato la loro azione
fino a guidarli a un consenso rapido
e, come qualcuno disse,
quasi moralmente plebiscitario.
Tra i messaggi di congratulazioni
da parte di autorità civili
che immediatamente pervennero in Vaticano,
ci fu quello del presidente americano
Jimmy Carter.
Diversi esponenti della politica italiana
espressero il loro favore per l’elezione.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – La stampa sovietica
attese invece il 1° settembre
per rendere pubblico il messaggio
del presidente dell’Urss Leonid Brežnev,
che augurava al nuovo papa
un buon esito dei suoi sforzi per
«consolidare la pace
e la distensione internazionale,
rafforzare l’amicizia
e la cooperazione fra i popoli»;
si accodarono poi i presidenti
delle nazioni aderenti
al Patto di Varsavia.
Un dispaccio riservatissimo
di canali diplomatici italiani
dà atto anche delle reazioni
del Comitato centrale del Partito comunista
dell’Unione Sovietica (Pcus):
«A riprova interesse sovietico
ad intrattenere normali rapporti
con Santa Sede, è stato citato che,
dopo quello di cordoglio,
Mosca ha mandato telegramma felicitazioni,
ricevuto il quale Santa Sede
avrebbe fatto comprendere
ad ambasciatore Urss in Roma
gradire rappresentante
a cerimonia solenne in San Pietro.
Ambasciatore ha chiesto, ed ottenuto,
autorizzazione da Comitato centrale».
Nella quasi unanime soddisfazione,
voci discordanti si registrarono a Venezia,
nella ristretta cerchia di sacerdoti e laici
che già avevano avversato Luciani
negli anni del ministero in laguna
a motivo del contesto ideologizzato dell’epoca.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Nell’incarico
unico e singolare della Cattedra romana
«che presiede alla carità universale»,
il suo pontificato era iniziato con gesti
che testimoniavano la decisa volontà
di riscoprire la dimensione
essenzialmente pastorale dell’ufficio papale.
È noto come la prima decisione presa
appena eletto sia stata quella
di non aprire immediatamente il conclave
invitando i cardinali anziani rimasti fuori
ad ascoltare con il resto del collegio
il primo messaggio.
La rotta del pontificato
si era subito delineata con chiarezza
nei sei programmatici “vogliamo”
del discorso Urbi et Orbi
l’indomani della sua elezione
e nei suoi primi interventi,
nei quali a più riprese
dichiarava in ogni modo
di continuare l’attuazione
del Concilio Vaticano II,
preservandone l’eredità
e impedendo derive interpretative:
«Vogliamo continuare nella prosecuzione
dell’eredità del Concilio Vaticano II,
le cui norme sapienti devono tuttora
essere guidate a compimento,
vegliando a che una spinta,
generosa forse, ma improvvida,
non ne travisi i contenuti e il senso,
e che forze,
altrettanto frenanti e pavide,
non ne rallentino l’impulso
di rinnovamento e di vita».
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Gli altri
cinque “vogliamo” ne delineano così le priorità:
«Vogliamo custodire intatta
la grande disciplina della Chiesa […]
sia nell’esercizio delle virtù evangeliche
sia nel servizio dei poveri,
agli umili, agli indifesi […].
Vogliamo ricordare alla Chiesa intera
che il suo primo dovere è l’evangelizzazione […].
Vogliamo continuare l’impegno ecumenico
con attenzione a tutto ciò
che può favorire l’unione […].
Vogliamo proseguire
con pazienza e fermezza
in quel dialogo sereno e costruttivo
che Paolo VI ha posto a fondamento
e programma della sua azione pastorale […].
Vogliamo infine favorire
tutte le iniziative
che possano tutelare e incrementare
la pace nel mondo turbato».
Sono dunque questi sei “vogliamo”,
declinati come programma di pontificato
nei suoi trentaquattro giorni
al Soglio di Pietro,
che possono far riflettere
sulla stringente attualità
del suo messaggio.
Come ha spinto a fare il Convegno
sul Magistero di Giovanni Paolo I
– alla luce delle carte dell’Archivio Privato
e dei testi e degli interventi del pontificato
per la prima volta presentati
nella loro versione integrale –
che si è tenuto lo scorso 13 maggio
presso l’Aula Magna
della Pontificia Università Gregoriana.
Convegno, promosso
dalla Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I
in collaborazione con il dipartimento
di Teologia dogmatica dell’Ateneo pontificio,
che ha aperto in questa prospettiva,
sulla base fondamentale delle fonti
– conditio sine qua non
per una ricerca scientifica –
una pagina sostanzialmente nuova
ai fini della narrazione del magistero
e del pontificato di Giovanni Paolo I,
che ha concorso a rafforzare
il disegno di una Chiesa conciliare
vicina alle genti e alla loro sete di carità.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – «Mi spiego.
Al Concilio io c’ero e ho firmato nel ’62
il messaggio dei Padri al mondo […]
Ho firmato anche la Gaudium et spes »,
dice papa Luciani nel corso
dell’udienza generale
sulla speranza il 20 settembre.
«Quando Paolo VI ha fatto uscire
la Populorum progressio
mi sono commosso, entusiasmato,
ho parlato, ho scritto.
Anche oggi sono davvero persuaso
che non si farà mai abbastanza
dalla gerarchia, dal Magistero,
per insistere, per raccomandare
il dialogo sereno e costruttivo,
i grandi problemi della libertà,
della promozione dello sviluppo,
del progresso sociale, della giustizia
e della pace;
e i laici mai abbastanza si impegneranno
a risolvere questi problemi».
Un’affermazione che richiama
ancora una volta gli impegni
che segnano il suo breve pontificato,
in particolare sul fronte
della ricerca della pace,
insieme al dialogo ecumenico
e interreligioso.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – A questo riguardo,
nell’intento di favorire la fratellanza
e la riconciliazione tra i popoli,
è singolare l’Angelus del 10 settembre,
nel quale si riferisce ai negoziati
che si stavano tenendo a Camp David
(Stati Uniti), dal 5 al 17 settembre,
per una soluzione del conflitto arabo-israeliano.
In quell’Angelus – famoso per l’affermazione che
«Dio è papà; più ancora è madre» –
invita il presidente egiziano Anwar al-Sadat,
il primo ministro israeliano Menachem Begin
e il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter
a pregare ognuno secondo la propria fede
per la pace.
Albino Luciani è il primo papa
a citare in un Angelus un versetto del Corano:
«I fratelli di religione del presidente Sadat
sono soliti dire così:
“C’è una notte nera, una pietra nera
e sulla pietra una piccola formica;
ma Dio la vede, non la dimentica”».
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – La volontà
di favorire il dialogo tra i popoli
si accompagna a un vivo impegno ecumenico,
documentato dalla fitta agenda di udienze
con i rappresentanti delle Chiese non cattoliche.
È significativo della volontà di favorire l’unità
con le Chiese sorelle d’Oriente
il fatto che già nell’omelia del 3 settembre
egli nomini nei saluti a tutto il popolo,
dopo i cardinali,
i patriarchi delle Chiese orientali.
Il 2 settembre aveva incontrato
in udienze successive
nella biblioteca privata i delegati
di numerose confessioni non cattoliche
poi presenti alla celebrazione del 3 settembre.
Il papa aveva auspicato la necessità
di proseguire il dialogo
tra le comunità cristiane avviato dal Concilio
e di cercare nella preghiera
l’unità voluta da Cristo.
Anche la mattina del 5 settembre
fu dedicata alle udienze
con le delegazioni delle Chiese
e comunità non cattoliche,
convenute a Roma.
Sono tutte prospettive
che ritornano con chiarezza
anche nell’allocuzione al Corpo diplomatico
tenuta il 31 agosto,
nella quale Luciani,
affrancandosi da presunzioni
di protagonismo geopolitico,
definisce la natura e la peculiarità
dell’azione diplomatica della Santa Sede,
che sgorga da uno sguardo di fede
e si indirizza – sulla scia
«della Costituzione conciliare Gaudium et spes
come in tanti messaggi del compianto Paolo VI» –
nel solco della grande diplomazia
che molti frutti ha dato alla Chiesa
alimentandosi con la carità.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Così,
il 4 settembre,
ricevendo gli oltre cento rappresentanti
delle missioni internazionali,
riprende i medesimi motivi
sottolineando come
«il nostro cuore è aperto a tutti i popoli,
a tutte le culture e a tutte le razze»
e afferma:
«Non abbiamo, certo,
soluzioni miracolistiche
per i grandi problemi mondiali,
possiamo tuttavia
dare qualcosa di molto prezioso:
uno spirito che aiuti
a sciogliere questi problemi
e li collochi
nella dimensione essenziale,
quella dell’apertura ai valori
della carità universale […]
perché la Chiesa,
umile messaggera del Vangelo
a tutti i popoli della terra,
possa contribuire a creare
un clima di giustizia, fratellanza,
solidarietà e di speranza senza la quale
il mondo non può vivere».
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – La sua disponibilità
si era sostanziata nell’annuncio evangelico.
Fin dal programma
aveva messo l’accento su tale annuncio,
«primo dovere della Chiesa intera»,
offrendosi come impronta
perché il Vescovo di Roma
potesse essere di tutti
e particolarmente dei poveri,
«veri tesori della Chiesa»,
come aveva ripetuto il 23 settembre
in occasione della presa di possesso
della Cattedra romana
nella basilica lateranense.
A questo richiama
nell’ultima udienza generale
del 27 settembre,
riprendendo con forza «le gravi parole»
di Montini riguardo al «grido d’angoscia»
dei «popoli della fame»,
che «interpellano oggi in maniera drammatica
i popoli dell’opulenza»,
grido per il quale «la Chiesa trasale».
Parole gravi alla luce delle quali
«non solo le nazioni,
ma anche noi privati,
specialmente noi di Chiesa
dobbiamo chiederci:
abbiamo veramente compiuto
il precetto di Gesù che ha detto
“Ama il prossimo tuo come te stesso”?».
Parole che il successore di Paolo VI
riprende e pronuncia
non prima di aver ricordato
la pratica cristiana delle sette opere
di misericordia corporali e spirituali,
che pure «non sono complete
e bisognerebbe aggiornare»
perché «oggi non si tratta più
solo di questo o quell’individuo
ma sono interi popoli che hanno fame».
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Lì dove
giustizia e carità s’intrecciano non esita
a pronunciare perentoriamente con Paolo VI,
secondo quanto trasmesso
dalla dottrina sociale della Chiesa, che
«la proprietà privata non costituisce per alcuno
un diritto incondizionato e assoluto»,
perché «nessuno ha la prerogativa
di poter usare esclusivamente
dei beni in suo vantaggio oltre il bisogno
quando ci sono quelli che muoiono
per non aver niente».
È la piena adesione
sia sul piano teologico che pastorale
alle linee del magistero montiniano
in materia sociale – espresse in particolare
nella enciclica Populorum Progressio –
a indirizzare per Giovanni Paolo I
l’orientamento della Chiesa
nello sguardo sul mondo.
E del motivo della Chiesa povera
al servizio dei poveri
è intessuto l’intero suo magistero.
***
Giovanni Paolo I visto da Falasca* – Il breve pontificato
di Giovanni Paolo I
non è stato il passaggio di una meteora,
egli è tuttora segno
di quella continuità di speranze
che vengono da lontano
e che affondano le radici
nel mai dimenticato tesoro
di una Chiesa antichissima,
senza trionfi mondani,
che vive della luce riflessa di Cristo,
vicina all’insegnamento dei grandi Padri
e alla quale era risalito il Concilio.
E dalla quale provengono le priorità
di un pontefice che ha fatto progredire,
in un tempo molto breve,
la Chiesa lungo la dorsale
di quelle che sono le strade maestre
indicate dal Concilio:
la risalita alle sorgenti del Vangelo
e una rinnovata missionarietà,
la collegialità episcopale,
il servizio nella povertà ecclesiale,
il dialogo con la contemporaneità,
la ricerca dell’unità con le Chiese cristiane,
il dialogo interreligioso,
la ricerca della pace.
Ognuna di queste priorità ha così scandito
i gesti e le parole dei trentaquattro giorni
di pontificato.
Ed è sul filo diretto di queste priorità,
che la genialità e l’attualità di Luciani
si ricongiungono al nostro presente.
Stefania Falasca (vicepresidente
della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I),
«Il buon pastore e la speranza dell’Annuncio»,
in “Luoghi dell’Infinito”, Mensile di Itinerari
Arte e Cultura di “Avvenire”, settembre 2022,
n. 275, pp. 18-24.
Foto di apertura: Giovanni Paolo I, in
“S.S. Giovanni Paolo I – Albino Luciani” /
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