Germoglio di giustizia – Ger 33,14-16 – Domenica I di Avvento C
Germoglio di giustizia. Ricostruire una casa quando si hanno ancora sotto gli occhi i tizzoni fumiganti delle precedente richiede una forza d’animo non comune, soprattutto se si è avanti negli anni e non si è sorretti da prospettive future stimolanti. La delusione e lo sconforto fanno perdere l’entusiasmo e fanno apparire insormontabili le difficoltà.
La situazione degli israeliti, ai quali il profeta rivolge le parole contenute nella Prima Lettura, può essere paragonata a quella di chi, sconsolato, fissa le macerie della propria casa.
Un gruppo di esuli tornato da Babilonia trova la città di Gerusalemme in rovina. La terra devastata è divenuta un rifugio di sciacalli (Ger 10,22). Volgono attorno lo sguardo e non scorgono che segni di morte e distruzione.
Inizia la ricostruzione, ma i lavori procedono a rilento. Un cupo presentimento grava sull’animo di tutti: noi chiuderemo gli occhi e saremo riuniti ai nostri padri prima di vedere la nuova Gerusalemme. Si chiedono: come mai siamo stati colpiti da così gravi sciagure? Dio ci ha abbandonato per sempre? Si è forse dimenticato delle promesse fatte ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe, a Davide?
A questa gente sfiduciata il profeta indirizza un ispirato oracolo del Signore, oracolo di cui ci fa edotti la Prima Lettura di oggi.
Si tratta di un oracolo criticamente un po’ incerto: infatti esso manca nella versione greca, così detta dei Settanta. Tuttavia, poiché è sostanzialmente identico a un altro passo riferitoci al capitolo 23,5-6 del libro di Geremia, se ne attribuisce la paternità a un profeta anonimo delle scuola geremiana.
Nella collocazione attuale esso è inserito in un più ampio oracolo pronunciato dal profeta Geremia (33,14-26), in cui si annuncia a Gerusalemme la futura restaurazione delle principali istituzioni della città santa: la monarchia e il sacerdozio.
L’oracolo del nostro brano contiene un messaggio di speranza: le infedeltà d’Israele, quelle che hanno portato alla rovina, non impediranno al Signore di realizzare le sue promesse, perché Egli è comunque fedele (v. 14). «In quei giorni e in quel tempo», non in quelli che gli Israeliti pensano, ma in quelli presenti nei disegni di Dio, Yahveh susciterà, nella famiglia di Davide, «un germoglio di giustizia: egli eserciterà il giudizio e la giustizia» (v. 15).
Prendendo lo spunto dalla rappresentazione tradizionale di un albero genealogico, il profeta annunzia – sulla scia anche di una celebre profezia isaiana («un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici») – lo sbocciare di un germoglio straordinario sull’albero di Davide.
Il germoglio è segno di vita, di futuro, di movimento, di speranza. Quel discendente di Davide aprirà, quindi, un orizzonte nuovo verso cui si sta già protendendo l’attenzione di tutto il popolo.
Il germoglio porta la qualifica di «germoglio di giustizia», una specificazione che dà l’intonazione a tutto il brano. Infatti ‘giustizia’ ritorna ben tre volte e diventa un termine chiave. Isaia aveva dato a un bambino che doveva nascere il nome profetico di Emmanuele (Dio con noi), Geremia quello di «Signore nostra giustizia». In entrambi i casi si tratta di uno che avrà uno speciale rapporto con Dio, in quanto effettivamente realizzerà la volontà divina: fare questa volontà e fino in fondo è un modo corretto per intendere la giustizia.
Se il giudizio e la giustizia di Dio fossero di tipo forense, gli israeliti non dovrebbero aspettarsi che un verdetto di condanna. Ma il «germoglio di giustizia» non viene per pronunciare una sentenza, egli viene per creare la giustizia, la sua giustizia che consiste nel coinvolgimento dell’uomo nel suo progetto di salvezza.
La presenza di un «germoglio di giustizia» sarà fonte di salvezza per l’intera casa di Giuda e per la città di Gerusalemme in particolare, che sarà chiamata «Signore-nostra-giustizia». (v. 6). A differenza dei sovrani malvagi, che erano stati causa dell’ingiustizia di Gerusalemme (cf. Ger 22,20-23) conducendola alla catastrofe, il «germoglio di giustizia» della casa di Davide avrebbe ristabilito l’alleanza del popolo con il Signore, al punto che la giustizia divina sarebbe divenuta il nome stesso della città santa.
Chi è questo «germoglio di giustizia»?
Si è detto che il nostro brano è sostanzialmente identico a un altro passo riferitoci al capitolo 23,5-6 del libro di Geremia. Tra i due brani c’è tuttavia una piccola, grande differenza: nel nostro brano, l’appellativo «Signore-nostra-giustizia» è attribuito a Gerusalemme, mentre in Ger 23,6 è attribuito direttamente al Messia. E questo in antitesi ironica col nome di Sedecia, l’imbelle re del tempo (597-586 a.C.), che in ebraico vuol dire appunto «Signore-mia-giustizia»: la «giustizia» che Sedecia non è riuscito a realizzare, la realizzerà il Messia!
Quando si realizzò l’oracolo del nostro brano?
Le promesse del profeta suscitarono in molti la speranza di un intervento prodigioso di Dio per rimettere in piedi la città distrutta. Rimasero delusi. La ricostruzione del paese fu lenta e richiese molti sacrifici e tanta fatica.
Le promesse hanno tardato a realizzarsi, ma Dio le ha mantenute.
Il «germoglio di giustizia» atteso dagli Israeliti – oggi lo sappiamo – è stato inviato: Gesù di Nazaret. Con Lui ha avuto inizio il regno di pace e di giustizia. È ancora un piccolo albero che si sviluppa lentamente e ha bisogno del nostro impegno e della nostra collaborazione.
Chi si scoraggia, chi si arrende di fronte alle difficoltà, chi diviene intollerante con se stesso e con gli altri, chi pretende di ottenere trasformazioni radicali e immediate non ha capito i ritmi di crescita del regno di Dio.
Vero profeta è chi aiuta a cogliere i segni del mondo nuovo che sorge, chi infonde fiducia e speranza, chi fa comprendere che per il regno del male non c’è futuro, chi, anche nelle situazioni disperate, sa indicare un cammino per recuperare, per ricostruire una vita che agli occhi degli uomini può sembrare irrimediabilmente distrutta.
Foto: Dal cellulare