Ger 38,4-6.8-10 – XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Premessa
Ger 38,4-6.8-10 – Geremia
(nome dal significato incerto)
è il secondo dei profeti maggiori.
Di famiglia sacerdotale,
nasce verso il 650 a.C., in Anatot,
a circa 4-5 chilometri a nord di Gerusalemme.
Esercita il suo ministero di profeta
dal 626 al 587 a.C.,
in uno dei periodi più oscuri
e tribolati della storia d’Israele.
Erano passati già cent’anni dalla caduta
del regno del Nord, e quello del Sud,
piccolo, privo di mezzi
e minacciato dalle grandi potenze,
sta per diventare ben presto preda
di Nabucodonosor, re di Babilonia,
Questi, infatti, prenderà Gerusalemme
dapprima nel 598
e ne deporterà parte della popolazione
a Babilonia.
Successivamente ritornerà nel 587,
distruggerà Gerusalemme e il Tempio
ed effettuerà una seconda deportazione.
Ger – Contesto storico
La prima lettura di oggi
è costituita da un duplice blocco
di tre versetti l’uno
che si presentano come
due tessere di un puzzle
che, sia pure sommariamente,
va ricomposto.
A questo punto Gerusalemme
si sta avviando verso la catastrofe.
Siamo verosimilmente
negli anni 588-587 a.C., alle soglie cioè
dell’assedio della città santa.
Geremia rivolge un oracolo a Sedecia,
re di Giuda, mentre Nabucodonosor
sta attaccando le piazzeforti ebraiche
di Lachis e Azeka,
rispettivamente a 46 e 30 chilometri
a sud-ovest di Gerusalemme.
L’esercito straniero sta, dunque,
piegando le ultime resistenze
e Geremia ricorda a Sedecia
che non ci sono più speranze:
egli sarà consegnato a Nabucodonosor
e sarà esiliato (Ger 34).
La situazione si fa sempre più disperata
e Sedecia ricorre nuovamente a Geremia
al fine di ottenere un estremo soccorso
da parte di Dio.
Frattanto, però, si ha notizia
dell’avanzata del Faraone,
che punta su Giuda
al fine di contrastare Nabucodonosor.
Questi decide per il momento di ripiegare.
Geremia raccomanda allora
ai suoi connazionali
di non coltivare illusioni
sul ritiro provvisorio dei Caldei
(ossia i Babilonesi):
«Ecco, l’esercito del Faraone sta uscendo
in vostro favore per aiutarvi,
ma ritornerà al suo paese, l’Egitto.
I Caldei ritorneranno
e combatteranno contro questa città,
la prenderanno e la bruceranno col fuoco…
Non ingannate voi stessi dicendo:
i Caldei si sono allontanati definitivamente
da noi! No, non si sono allontanati» (Ger 37,7-9).
Il benessere del popolo
Ger 38,4-6 – Al popolo Geremia
ha proclamato la Parola
rivelatagli dal Signore:
il soccorso invocato dall’Egitto
non durerà a lungo
né l’esercito babilonese retrocederà;
anzi darà alle fiamme la città.
I suoi discorsi tendono a convincere
gli abitanti di Gerusalemme
a consegnarsi ai Caldei senza colpo ferire,
perché solo così sarà risparmiata la loro vita.
I dignitari di corte, invece,
si oppongono frontalmente
alla predicazione di Geremia,
perché destabilizza il popolo
e, soprattutto, scoraggia i soldati
rimasti in città.
Essi sono convinti, infatti,
di poter evitare la disfatta;
per questa ragione chiedono
di mettere a morte Geremia,
poiché «non cerca il benessere del popolo,
ma il male» (Ger 38,4).
L’assurdità della proposta
dei ministri del re è palese:
Geremia ha parlato per ispirazione
e per conto di Dio,
l’unico che può garantire pace
e prosperità al suo popolo;
essi, invece, pretendono di affermare
la loro linea soltanto
sulla base di calcoli politici e umani,
disconoscendo di fatto l’autorità divina.
Geremia nella cisterna
Ger 38,6 – Il re Sedecia
cede alle pressioni dei suoi consiglieri,
denotando debolezza
sul piano caratteriale e politico;
acconsente alla richiesta
di sopprimere la voce profetica,
che egli stesso aveva consultato
precedentemente, al fine di conoscere
la volontà del Signore.
È del tutto succube del partito anti babilonese,
che prende il sopravvento
e decide pertanto il destino di Geremia,
che è calato con le corde
nella cisterna di Malchìa, uno dei figli del re.
Il pozzo si trova nell’atrio della prigione;
al suo interno, invece dell’acqua,
c’è melma limacciosa.
Geremia, a questo punto,
sembra non avere più scampo;
tuttavia, da parte sua
non giunge alcuna parola di protesta
o richiesta d’aiuto.
Egli, invece, confida totalmente nel Signore,
che libera dal fango paludoso (Sal 40,3)
e ascolta il grido di chi si rivolge a lui
perché non affondi nella melma (Sal 69,15).
Il salvataggio di Geremia
Ger 38,8-10 – L’assistenza divina si palesa,
per la verità, attraverso l’intervento
di Ebed-Mèlec, (che significa “schiavo del re”)
uno straniero di origine etiope; un eunuco,
che a causa della sua condizione
era ritenuto un albero del tutto secco (Is 56,3),
perché incapace di generare vita.
Egli, anzitutto, fa vibrare le corde
del cuore del re, indicando
la misera condizione di Geremia:
«Egli morirà di fame sul posto».
La sua, però, è molto più di una richiesta
di osservanza dei diritti umani,
perché inizia la sua perorazione
con una motivazione morale:
«Re, mio Signore, quegli uomini
hanno agito male
facendo quanto hanno fatto al profeta».
Il servo si oppone pertanto
a una decisione errata,
e conseguentemente propone
alla suprema autorità di correggere
o raddrizzare la situazione
con una giusta decisione.
Di fatto, la vicenda
non si conclude secondo i progetti iniqui
e Geremia, alla fine, è salvato.
Ger – Conclusione
Geremia, con le infinite sofferenze
che hanno accompagnato la sua vita
e l’indomito coraggio con cui si è opposto
«come un muro di bronzo contro
tutto il paese» (Ger 1,18),
è diventato, prima nella tradizione biblico-
esegetica e poi in quella liturgica,
una «figura» profetica di Cristo,
delle sue sofferenze,
della sua forza di «segno di contraddizione».
Credo sia precisamente per questo motivo
che la liturgia odierna
ci fa leggere questo brano
alquanto drammatico della vita del profeta,
«contraddetto» dalla sua gente.
Foto: Michelangelo Buonarroti,
Il profeta Geremia, 1512 circa,
affresco (390×380 cm),
Cappella Sistina, Musei Vaticani,
Città del Vaticano / it.wikipedia.org