Donna vestita di sole – Assunzione della Beata Vergine Maria
La I Lettura, tratta dall’Apocalisse, l’ultimo libro del Nuovo Testamento, spalanca davanti ai nostri occhi una scena grandiosa che siamo invitati a contemplare e a interpretare.
Nel cielo, cioè, nel mondo di Dio compaiono due segni.
Il primo, qualificato «grandioso» è «una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle». È incinta, grida per le doglie del parto e dà alla luce un figlio.
Il secondo segno è «un enorme drago rosso», un serpente gigantesco, dotato di forza spaventosa, simboleggiata da sette teste, dieci corna e sette diademi.
Con la coda trascina giù dal cielo un terzo delle stelle e le precipita sulla terra. Poi si pone davanti alla donna che sta partorendo e tenta di divorargli il figlio appena nato.
Dio interviene, prende il figlio e lo porta verso il cielo, mentre la donna cerca rifugio nel deserto ove rimane per tre anni e mezzo, alimentata dal Signore.
Scoppia allora una battaglia titanica. In cielo si affrontano da una parte Michele con i suoi angeli, dall’altra il grande drago, colui che è chiamato diavolo, satana, seduttore di tutta la terra, con i suoi angeli (vv. 7-9).
La scena di questo combattimento non è riportata dalla nostra lettura che conclude con il canto di vittoria, al termine del terrificante scontro: «Ora si è compiuta la salvezza e il regno del nostro Dio».
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Questa pagina è stata composta verso la fine del I secolo, in un momento difficile per le comunità cristiane tentate di apostasia a causa dei soprusi, delle angherie e della persecuzione cui erano sottoposte. L’autore si rivolge a loro in modo volutamente criptato per non incorrere nelle rappresaglie del potere. Ricorre a immagini e simboli che i suoi lettori – che conoscono l’Antico Testamento – sanno immediatamente decodificare.
Ci chiediamo anzitutto chi è il figlio maschio che è dato alla luce. Il destino che lo attende e che è riferito con la citazione del Salmo 2,9 non lascia dubbi sulla sua identità. In tutto il Nuovo Testamento colui che è chiamato a «pascere tutte le genti con verga di ferro» è sempre Cristo.
Se è lui il bambino che sta per nascere, allora la donna non può che essere Maria.
È questa l’interpretazione più semplice e immediata e difatti la Madonna è spesso raffigurata luminosa come il sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo.
In realtà le comunità cristiane – che decifravano il simbolismo del testo alla luce dell’Antico Testamento – non pensavano a Maria, ma al popolo di Dio che nella Bibbia è personificato dalla donna, sposa feconda del Signore, madre del Messia.
Qui la donna raffigura la comunità cristiana, incarna il resto fedele di Israele.
È rivestita di sole, astro che, per il suo fulgore e la sua magnificenza, era ritenuto il simbolo di tutto ciò che è bello (Ct 6,10) e dello stesso Dio (Sal 84,12).
La comunità cristiana, amata dal Signore e colmata dei suoi doni più preziosi, è splendida perché in lei brilla una luce divina.
La luna era, presso i popoli dell’antico Medio Oriente, il dio che, per le sue fasi di crescita e calo, era in rapporto con il mutare del tempo.
Nel nostro testo questo dio-luna è schiacciato dalla comunità dei credenti. Questa comunità non è soggetta ai condizionamenti del tempo, non è in balia delle vicissitudini di questo mondo transitorio perché è già nel mondo dell’Eterno.
La corona sul capo indica il trionfo. Nella prospettiva di Dio, la Chiesa ha già ottenuto la vittoria definitiva sul male.
Le dodici stelle mettono in risalto la sua identità: è il vero Israele che porta a compimento le promesse fatte ad Abramo.
Anche il secondo segno compare in cielo, cioè, nel mondo di Dio.
È un enorme drago rosso che si oppone alla nascita del bimbo. È il simbolo di tutte le forze ostili a Dio che si incarnano nei centri di potere.
Hanno tre caratteristiche: sono perfetti nel progettare il male (hanno sette teste), sono mostruosi quanto a forza, ma non invincibili (hanno dieci corna), trionfano, ricevono onori e riconoscimenti (hanno sette diademi).
Queste strutture diaboliche si oppongono al bimbo fin dal giorno della sua nascita.
Va chiarito però che la nascita di Cristo cui fa riferimento il veggente dell’Apocalisse non è il parto di Maria a Betlemme, ma la Pasqua. È quello il momento in cui Cristo, nascendo dal sepolcro, è apparso al mondo come il Messia di Dio. Da subito le potenze del male si sono scagliate contro di lui, ma egli è irraggiungibile: il Padre lo ha accolto nella sua gloria.
Il drago ha la testa schiacciata, è definitivamente sconfitto, ma ancora si dibatte e con la coda riesce a trascinare sulla terra un terzo delle stelle del cielo.
Queste non rappresentano gli angeli, ma i cristiani dell’Asia minore i quali, sconvolti e disorientati, non resistono alle seduzioni del maligno, rinnegano la loro fede e abbandonano in gran numero le loro comunità.
La donna che fugge e cerca rifugio nel deserto è il popolo di Dio che non ha ceduto alle lusinghe e alla forza del drago.
Il Signore la mette alla prova, come ha fatto con Israele, la colloca nella condizione in cui può mostrare a Dio l’autenticità del suo amore e non l’abbandona, la assiste con la sua manna: il pane della Parola e dell’Eucaristia.
Milleduecentosessanta giorni corrispondono a tre anni e mezzo, il tempo che – secondo il profeta Daniele (Dn 7,25) – indica la durata di una persecuzione molto dolorosa, ma breve.
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A questo punto una conclusione si impone: se il bambino è Cristo e la donna non è Maria, ma la comunità dei credenti, allora il figlio-Cristo nasce dalla chiesa.
È proprio così, ed è questo il messaggio commovente che l’autore vuole far giungere ai cristiani scoraggiati delle sue comunità. Li invita a prendere coscienza della loro sublime identità. Giorno dopo giorno, con fatica, dolore e in mezzo a prove di ogni genere, stanno dando alla luce l’uomo nuovo, Cristo, nella storia del mondo.
Paolo era consapevole di questa missione materna quando scriveva ai Galati: «Figlioli miei per voi io soffro ripetutamente le doglie del parto, finché Cristo prenda consistenza in voi» (Gal 4,19).
Le violenze, le menzogne, le crudeltà fanno soffrire, ma non possono spaventare il credente perché non sono presagi di morte, ma ineluttabili doglie di un difficile parto.
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Se la donna non è Maria, ma la comunità, come mai la liturgia ci propone questo brano nella festa dell’Assunta?
Tutti i testi – sia dell’Antico che del Nuovo Testamento – in cui si parla del popolo fedele a Dio possono essere giustamente riferiti a Maria perché è da lei che è nato il Messia, è lei la donna-Israele.
L’invito che oggi ci e rivolto è di guardare a lei, al modo come ha portato a compimento la sua missione di madre. Rispecchiandosi in lei la Chiesa scopre la propria identità di generatrice del Cristo totale, di Colui che ricapitolerà in sé tutto il creato.
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Il canto finale «Ora si è compiuta la salvezza» è un invito alla speranza. Malgrado lo strapotere che ancora ostentano le forze del male, il credente sa che il drago è già stato sconfitto dalla «potenza di Cristo»; i suoi colpi di coda saranno ancora terrificanti, ma la testa è stata schiacciata – come Dio aveva predetto, fin dalle origini del mondo (Gn 3,15).
Fernando Armellini, «Ascoltarti è una festa. Solennità, Feste e Triduo pasquale», Edizioni Messaggero Padova, Padova 2007, pp. 106-109, con miei piccoli adattamenti.
Foto: Filippo Lippi, Madonna col Bambino e due angeli, tempera su tavola (1460-1465 ca.), Gli Uffizi, Firenze / uffizi.it