Don Orione. Silone in preghiera tra gli orfanelli
Ricordo di una visita di Silone al «Don Orione» di Roma
Era rimasto a lungo assorto – in quel pomeriggio di fine maggio del 1972 -, al centro romano «Don Orione» di via della Camilluccia vicino alla salma del nostro don Piccinini. (Di fronte a lui, immobile e pensoso, un altro grande amico di don Orione, Umberto Albini, sottosegretario agli interni dell’ultimo governo Mussolini, condannato a morte in contumacia a Verona e salvo per l’ospitalità offertagli all’istituto San Filippo, sulla via Appia Nuova, come lo scultore ebreo Arrigo Minerbi e tanti altri per i quali don Piccinini, nel solco di don Orione, non aveva esitato a rischiare la vita).
In quel suo indugiare accanto al fraterno amico che la morte gli aveva portato via così presto, Ignazio Silone forse andava rievocando gli anni della fanciullezza vissuta insieme in Abruzzo, la tragedia del terremoto, gli incontri con don Orione (fissati in quello stupendo terzo capitolo di «Uscita di sicurezza» con le più belle pagine che mai siano state scritte sul nostro Fondatore), l’aiuto determinante di don Orione a difesa del fratello Romolo, e chissà quanti altri segni di affetto anche da parte di don Piccinini che – orfano come lui del terremoto e quasi coetaneo – lo aveva sempre seguito con tanta benevolenza.
Quando si formò il corteo per portare la bara dalla cappella dei mutilatini nella più capace chiesa della «Mater Dei» a pianterreno, pensavo che Silone si ritirasse e gli ero vicino per salutarlo e ringraziarlo.
Desiderò invece fermarsi ancora: seguì la bara, prese posto in chiesa nel primo banco, in mezzo agli orfani e partecipò alla Messa. Al termine del rito funebre era visibilmente commosso, forse anche toccato dai canti delle centinaia di ragazzi: strinse la mano a quelli che gli erano vicini e ripeté la sua riconoscenza per il sacerdote in cui aveva avuto un amico davvero buono e fedele.
Era stato proprio don Piccinini, qualche mese innanzi, ad invitarlo al Centro di Monte Mario, sul finire del 1971. Avevamo in vista l’anno centenario della nascita di don Orione e si desiderava sentire il pensiero di Silone sulla opportunità o meno di celebrazioni commemorative. Era venuto volentieri e ci aveva ascoltato pazientemente, parlando pochissimo. Alla fine ci aveva incoraggiati: «Sì – aveva concluso – bisogna ricordarlo, questo prete, questa grande anima… ». E si era interessato personalmente presso l’allora amministratore delegato della Rai-Tv, il socialista Paolicchi, per un documentario che apparve poi sugli schermi nel marzo 1972, con una sua preziosa testimonianza.
Di quel periodo, se ben ricordo, o appena dopo, è anche la intervista rilasciata a «Famiglia Cristiana». A chi gli chiedeva quali persone lo avessero impressionato di più nella sua vita, aveva subito risposto: «Don Orione e Trotzky». Rendendosi conto della meraviglia del suo intervistatore per avere egli messo insieme due persone così diverse, aveva spiegato: «Don Orione, perché non era il cristiano della domenica mattina, e Trotzky perché non era il rivoluzionario del sabato sera. Don Orione cristiano sempre, Trotzky rivoluzionario sempre ». Aveva soprattutto ammirato don Orione per la sua coerenza definitiva e spietata.
Quella coerenza che al grande pensatore e scrittore abruzzese è stata, e a buon diritto, universalmente riconosciuta, con la sua ansia per la redenzione degli umili, degli oppressi, e quel sincero amore al Vangelo che scopriamo – soprattutto tradotto nella vita – anche in «Cristiani senza chiesa». Erano i cristiani che don Orione ricercava con particolare sollecitudine, contento com’era di essere chiamato il prete di quelli che non andavano in chiesa. Nella sua prima Messa aveva chiesto la grazia della salvezza per tutti quelli che avrebbe incontrato sul suo cammino. Silone lo sapeva, e ne aveva motivo di conforto, come amava particolarmente, di don Orione, una pagina famosa, scritta qualche mese prima di cadere sulla breccia, dopo aver consumato tutta la sua vita per i poveri, i sofferenti, i lontani. La pagina, che è stata riportata anche all’inizio del Decreto per le virtù eroiche di don Orione, firmato da Paolo VI nel febbraio scorso, dice fra l’altro: «Anime e anime… Tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto, tutte Cristo vuole salve tra le sue braccia e sul suo Cuore trafitto. La nostra vita dev’essere un cantico insieme e un olocausto di fraternità universale in Cristo.
La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente, moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più poveri. Ponimi, o Signore, sulla bocca dell’inferno, perché io, per la misericordia tua, lo chiuda…».
Sono brani di uno degli ultimi scritti di don Orione. Quando, poco dopo la morte del servo di Dio, don Giuseppe De Luca lo pubblicò su «Nuova Antologia» definendolo «pagina rivelatrice», mi confidava che si era sentito ringraziare anche da Ernesto Bonaiuti.
(2. Continua)
Giuseppe Zambarbieri, «In preghiera tra gli orfanelli. Ricordo di una visita dello scrittore al “Don Orione” di Roma», in “Avvenire”, domenica 27 agosto 1978, p. 9.
Foto: Ignazio Silone / biografieonline.it