Deutero-Isaia – Is 43,16-21 – V Domenica di Quaresima – C
Deutero-Isaia. Israele ha sempre costruito il proprio futuro guardando al passato
e nella sua storia ha sempre trovato nuovi spunti,
nuovo slancio per andare avanti.
Qualcuno ha paragonato questo popolo ai rematori
che avanzano volgendo le spalle alla meta,
si orientano puntando gli occhi sul punto di partenza
e sul percorso già fatto.
Israele ha superato momenti drammatici,
è rimasto sempre popolo anche quando era deportato,
ed era disperso fra le genti.
Ha mantenuto la sua identità grazie alla sua capacità di ricordare,
di fare riferimento al suo passato.
Meditare e tramandare ai figli ciò che è accaduto
è il primo impegno dei genitori:
«Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato,
non lo terremo nascosto ai nostri figli.
Narreremo alla generazione futura
le meraviglie che il Signore ha compiuto» (Sal 78,3-4)
Nella prima parte della prima Lettura di oggi (vv. 16-17)
è ripreso l’avvenimento più importante del passato,
quello che nessuno può dimenticare: l’esodo.
Deutero-Isaia Due parole di presentazione
La prima lettura è tratta dal libro del profeta Isaia,
e, in particolare, dall’opera dell’anonimo profeta
del tempo dell’esilio, conosciuto come Deutero-Isaia o Secondo Isaia.
Sebbene le nostre informazioni sull’autore siano pressoché nulle,
egli si presenta come un “profeta sognatore”,
che più di tutti i profeti lascia spazio alla fantasia e all’immaginazione.
Il Deutero-Isaia si presenta, all’inizio del suo scritto,
come un messaggero di buone notizie,
un evangelizzatore più che un profeta:
«Sali su un alto monte,
tu che annunci liete notizie a Sion!
Alza la tua voce con forza,
tu che annunci liete notizie a Gerusalemme» (Is 40,9).
La sua opera è indirizzata agli esiliati,
li incoraggia e li invita ad aprire gli occhi
sull’opera che Dio compie ai loro giorni.
Qual è la buona notizia
che il profeta-evangelizzatore intende comunicare?
Deutero-Isaia Il nostro testo
Il nostro testo può essere suddiviso in tre parti:
all’inizio, un incipit – «Così dice il Signore» –
che contiene in realtà una presentazione del Signore
in riferimento al primo esodo, quello dall’Egitto.
Poi un invito, all’imperativo – «Non ricordate […] non pensate» –
seguito da un annuncio espresso al presente: «Ecco, io faccio».
Infine, una promessa, con verbi al futuro – «aprirò […] celebrerà» –
in riferimento al secondo esodo, quello dall’esilio di Babilonia.
Dunque: passato, presente e futuro, in uno sguardo
che abbraccia tutto il destino di Israele.
Primo esodo
Il primo esodo, per il Deutero-Isaia,
è il paradigma dell’agire di Dio nella storia,
continuamente richiamato lungo il suo scritto
come luogo della manifestazione della potenza salvatrice del Signore.
In questo il Deutero-Isaia segue la tradizione primitiva dell’Esodo
– il credo storico di Israele – ma soprattutto quella dei salmi di lode
che cantano la vittoria del Signore presso il mare dei Giunchi.
Il Dio dell’esodo qui è descritto come colui che agisce sulla natura,
come il creatore di una «strada nel mare / sentiero in mezzo alle acque».
La sua potenza ha superato di gran lunga l’impeto del mare,
mentre la forza dei carri, dei cavalli e degli eroi egiziani
è apparsa di fronte a lui come uno stoppino già spento.
È il primo esodo, paradigma di tutte le liberazioni,
di ogni vittoria del piccolo contro l’oppressione.
Richiama un passato glorioso e la rivelazione del Dio
che salva dalla morte, affinché Israele viva.
Questo il dato incontrovertibile,
facendo memoria del quale il popolo in esilio
ricorda chi è e da dove viene.
Secondo esodo
Il secondo esodo, l’uscita da Babilonia,
è prefigurata con una serie di immagini espresse al futuro.
«Aprirò anche nel deserto una strada»
riprende «aprì una strada nel mare»,
cosicché è fissato il parallelismo tra il primo e il secondo esodo di Israele:
da qui in avanti l’immaginazione del poeta può correre liberamente.
Per prima cosa, questo parallelismo contiene un guadagno:
ora è Dio stesso che parla in prima persona,
egli viene con la sua Parola a garantire il futuro d’Israele.
Le immagini che seguono ripresentano il tema della creazione:
nel nulla del deserto apparirà una strada,
e nell’aridità della steppa scorreranno i fiumi;
l’antitesi centrale aridità/fecondità ovvero morte/vita è ripetuta,
così da amplificare l’effetto fino alla conclusione:
«per dissetare il mio popolo, il mio eletto».
Sciacalli e struzzi, come sudditi esotici,
magnificano per primi l’operato del grande sovrano
che costruisce canali nella steppa
e si compiace di dissetare il suo eletto nel viaggio verso casa;
dalla sua magnanimità tutto traggono beneficio.
La categoria del Dio artefice è ripresa nell’ultimo versetto,
con l’uso del verbo ebraico che indica il lavoro del vasaio:
«Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi».
Qui si uniscono passato e futuro:
l’enumerazione delle sue lodi avverrà da parte di quel popolo
che il Signore si è scelto e plasmato,
attraverso le vicende della storia, come popolo credente.
Da notare la sottile ironia nei confronti degli idoli,
che non possono salvare né dare la vita:
per poter essere lodati devono venire prima fabbricati dagli uomini,
mentre qui è il Signore, il Dio vivente,
che si è formato un popolo capace di lodarlo.
Il Signore non è creato, è Creatore!
«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche!» (v. 18)
L’imperativo «Non ricordate… non pensate»
è il motivo centrale, che tiene uniti i due membri del parallelismo tematico,
ma al tempo stesso crea un punto di rottura e di svolta.
Per la prima e unica volta in tutto il libro,
il Deutero-Isaia chiede di non ricordare,
di non fare memoria.
Perché?
Se il fare memoria è fondamentale per ritrovare la strada verso casa,
e lo stesso Deutero-Isaia ha appena richiamato alla mente il primo esodo,
esso può tuttavia trasformarsi nel nemico più subdolo
quando porta con sé la nostalgia, il rimpianto
per un passato che appare irraggiungibile e ineguagliabile.
«Nulla potrà mai più essere come prima»,
«il meglio lo abbiamo già vissuto»,
«non ci resta altro da godere che i nostri ricordi»:
pensieri simili a questi dovevano albergare nel cuore degli esiliati,
e il Deutero.Isaia, che vive in mezzo a loro e con loro,
sembra conoscere e comprendere troppo bene questo stato d’animo
per non averlo provato egli stesso.
Ma una Parola lo raggiunge, lo scuote, lo manda ad annunciare,
facendo nascere interrogativi: «Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?».
È questa la buona notizia:
il Signore non è un Dio del passato,
di eventi già compiuti e conclusi,
ma è il Dio della vita,
che sa disegnare il futuro dell’uomo.
Egli può essere conosciuto ancora in ciò che sta per accadere,
anzi sta già accadendo.
Il Signore si rivela nel “nuovo” che nessun altro è in grado di realizzare,
poiché egli solo è il Dio che sempre e continuamente crea.
Il compito del Deutero-Isaia allora
è di farsi un tutt’uno con questa Parola,
con la notizia bella che riporta la speranza,
che allontana la paura, che vince la sfiducia:
«Alza la tua voce con forza,
tu che annunci liete notizie a Gerusalemme.
Alza la voce, non temere:
annuncia alle città di Giuda: “Ecco il vostro Dio”» (Is 40,9).
Foto: Esodo-deserto / casadellabibbia.it