Condannato (Un) innocente
Condannato – Senofonte,
nell’ultimo libro sui Detti memorabili di Socrate,
dichiara di voler rendere testimonianza al filosofo,
per la maniera con la quale egli accolse
la condanna a morte, pronunziata contro di lui.
E veramente, al di sopra di qualsiasi giudizio
su quella che fu l’opera dell’acuto indagatore
e del perspicace ragionatore,
esercitata ad Atene, nel V secolo,
il contegno tenuto
negli ultimi giorni della sua vita
e le parole dette con estrema serenità,
furono di un uomo veramente fuor del comune.
***
Condannato – Cominciò col dire che,
se fosse stato condannato a morte,
lo avrebbe dovuto alla benignità degli dei,
i quali gli avrebbero così concesso di morire,
non solo in età opportuna, ma nel modo migliore.
Infatti, la morte per cicuta
era la più mite e indolore.
Inoltre, aggiungeva Socrate,
«meno d’ogni altra morte dà preoccupazione
agli amici e a colui che la riceve.
Non è morte indecente,
non ha nulla d’odioso,
e giunge quando l’uomo,
sano di corpo e d’anima,
è capace d’usare la sua ragione».
Perciò, condannato,
non si rattristò né si angustiò,
ma, al contrario,
si mantenne calmo e sereno,
se addirittura non si rallegrò
d’esser giunto felicemente
al termine della vita,
votata fatalmente alla morte.
***
Condannato – A chi si addolorava
del suo destino,
diceva, nel confortarli:
«Che è questo?
Perché piangete?
E non sapevate, già da un pezzo,
che dal momento che nacqui,
fui dalla natura condannato a morte?».
Gli amici e i familiari complottarono
per farlo evadere dal carcere
e porlo in salvo.
Socrate sorrise, e quasi burlandosi
della loro generosa intenzione,
chiese, se per caso,
conoscessero un luogo,
lontano di lì,
che fosse inaccessibile alla morte
Ovunque egli andasse,
o prima o poi,
la morte l’avrebbe raggiunto.
Tanto dunque valeva morire
in quell’occasione,
ch’egli stimava propizia.
***
Condannato – La coscienza gli diceva
di non aver recato danno
od offesa a nessuno.
«Non ho fatto diventare peggiori
e ho cercato di migliorare tutti
quelli che hanno conversato con me
– diceva –
insegnando gratuitamente
ciò che sapevo».
Era stato condannato ingiustamente,
ma ciò non lo riguardava.
«Il fatto – diceva -, di morire ingiustamente
non deve turbarmi lo spirito,
perché questo non è per me
cosa vergognosa.
Se mai lo è per coloro
che mi hanno condannato».
***
Condannato – Invece
era proprio questo motivo
a tormentare gli amici,
i quali non si rassegnavano all’idea
ch’egli avesse subito una ingiusta condanna.
Specialmente Apollodoro,
che Senofonte dice «uomo semplice,
ma fortemente affezionato al maestro»,
con animo angosciato gli diceva:
«Io non sopporto, o Socrate,
di vederti ingiustamente morire».
Il filosofo gli prese la testa con le due mani,
come si fa con i bambini,
e piegandola dolcemente,
con affettuoso e quasi ironico sorriso,
gli disse:
«Deh, carissimo Apollodoro,
vorresti tu forse
che io morissi giustamente condannato?».
***
Condannato – La risposta di Socrate,
di così elementare buon senso,
è forse quella che più colpisce
e stupisce il nostro modo di pensare.
Quanto volte ci lagnamo
di offese immeritate,
d’ingiusti rimproveri,
di critiche sbagliate,
di accuse false.
A questo ci ribelliamo,
gridando all’ingiustizia
e protestando per la subìta angheria.
Ma se Socrate ci fosse vicino,
potrebbe, come fece con Apollodoro,
prenderci la testa tra le sue mani
di vecchio saggio,
ripetendoci con affettuoso compatimento:
***
Condannato – «Carissimo amico mio,
preferiresti forse meritare quelle offese,
essere responsabile di quelle accuse,
degno di quelle condanne?
Se falsamente sei accusato,
o se ingiustamente sei giudicato,
se iniquamente sei condannato,
è minor male di quel che non pensi.
Peggio ma molto peggio, sarebbe invece
se il rimprovero fosse giustificato,
o se l’accusa fosse fondata,
se la condanna fosse meritata.
E solo allora, facendone ammenda,
pentito, ne dovresti provare dolore».
Piero Bargellini, «Il libro degli esempi».
Vallecchi Editore, Firenze 1963, pp. 2-4.
Foto: Veratrum fimbriatum
(falso elleboro sfrangiato
o giglio di mais sfrangiato / dal Web