Come gli uccelli

Come gli uccelli
Né prima né dopo quel neonato nella scatola di scarpe

 

Come gli uccelli
Per chi vive nella
contrapposizione netta
tra sé e l’altro,
tra il mio popolo
e il tuo popolo,

tra il (mio) giusto
e (l’altrui) ingiusto,
quale può essere
il peggior incubo
immaginabile?

È andato in scena
per la prima volta
al Théâtre
de La Colline
di Parigi
il 17 novembre 2017

con la regia
dell’autore stesso,
Wajdi Mouawad

(nato in Libano,
cittadino canadese,
residente a Tolosa),

Come gli uccelli.

Pubblicato in Francia
nel 2018
e ora proposto
al pubblico italiano

(Torino, Einaudi, 2024,
traduzione
di Monica Capuani;

lo scorso anno, la pièce
è stata rappresentata
il 10 ottobre al
Teatro Astra di Torino,
per la regia
di Marco Lorenzi),

è un testo che grida
al nostro presente.

Come gli uccelli

In una biblioteca
di New York
si conoscono
e si innamorano
Eitan e Wahida.

Lui è un giovane
genetista tedesco
di origine israeliana,

lei una giovane americana
di origine palestinese
che sta scrivendo una tesi
su al-Hasan ibn
Muhammad al-Wazzān,

colto diplomatico marocchino
del XVI secolo
rapito da pirati cristiani
e donato a Leone X;

la sta scrivendo
perché le domande
sono tante,
e sono attuali

(«È così importante
aggrapparci alle
nostre identità perdute?

Che cos’è una vita
tra due mondi?

Che cos’è
un migrante?

Che cos’è
un rifugiato?

Che cos’è
un mutante?»).

***

Come gli uccelli
Ovviamente
le famiglie
non sprizzano gioia
davanti a questo amore

che affonda
in un conflitto
mai sopito;

il più fiero oppositore
della relazione
è David,
il padre di lui,
ebreo ortodosso.

Come gli uccelli

Sono tanti i piani
che si intersecano
in questo testo.

Amore e colpa;
trasmissione familiare
e significato della famiglia;

attaccamento emotivo
e coma celebrale;
responsabilità e collocazione;
sorellanza e nonnitudine.

Tutto nell’eterna
contrapposizione
tra legge
e imperativo morale,

in una fotografia dell’oggi
scattata ieri.

Perché ieri,
tantissimo,
era già pensabile

(«Diciamo ai bambini
“trasmissione”,
perché “assassinio”
non si dice,

gli diciamo “memoria”,
bagaglio degli antenati,
responsabilità del passato”
e li uccidiamo! […]

Se i traumi segnassero
qualcosa nei geni
che trasmettiamo
ai nostri figli,

credi
che il nostro popolo
oggi farebbe subire
a un altro popolo
l’oppressione
che ha subito lui»).

***

Come gli uccelli
Soprattutto, però,
Come gli uccelli
racconta
la condizione umana.

Sollevandosi
dai conflitti contingenti
di ogni grado e latitudine,
rivela la spirale
senza uscita

a cui porta
dividere il mondo
in bianco e nero,
in vittime e carnefici.

«Sei tu quel bambino.
Sei tu. (…)

Tu non sei nato
né prima né dopo.
Sei tu.

Sei tu quel neonato
che ho trovato
in una scatola di scarpe,
capisci?».

Se io sono
il buono assoluto
e l’altro
il male senza crepe,

l’incubo
peggiore possibile
diventa necessariamente
quello di ritrovarsi
sull’altro fronte

perché si scopre
di appartenere
all’altro fronte.

«Sei tu
quel bambino. (…)
capisci?».

No, non capiamo.
Favola vera.

Giulia Galeotti, «Né prima
né dopo quel neonato
nella scatola di scarpe», in
“L’Osservatore Romano”,
martedì 6 febbraio 2024,
p. IV.

Foto: Wajdi Mouawad /
lapresse.ca

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