Che male ho fatto? Prima stazione: la condanna.
Via Crucis del malato / Cammino di speranza
Che male ho fatto? Fino all’ultimo hai sperato si trattasse di un errore,
ci fosse uno scambio di persona.
Poi lui, in camice bianco al di là della scrivania,
ha pronunziato
con evidente imbarazzo e con fretta professionale
quelle parole,
che tu hai accolto come una sentenza,
anche se non ne hai afferrato il significato preciso.
In quel momento,
dopo un primo moto di incredulità («ma non è possibile…»),
hai avuto la sensazione che il mondo ti crollasse addosso,
e il pavimento si spalancasse sotto i tuoi piedi
per inghiottire te e il tuo male
in un abisso di rabbia impotente,
in un baratro di disperazione vana.
Di colpo,
i tuoi programmi si sfasciavano,
i progetti crollavano miseramente.
Hai avvertito la cosa come un’ingiustizia enorme, intollerabile.
Perché proprio a me?
Che male ho fatto per meritarmi questo?
Anche Pilato ha posto la stessa domanda a proposito di Gesù:
«Che male ha fatto?» (Mc 15,14).
No, non hai fatto nulla di male,
salvo la «colpa» di nascere uomo o donna,
con un corpo sprovvisto di certificato di garanzia per i guasti,
e quindi con la possibilità che qualcosa a un certo punto non funzioni più,
senza alcuna spiegazione logica.
Convinciti:
la malattia non è la punizione di un Dio crudele,
e nemmeno uno sciagurato incidente
provocato da una Sua banale distrazione.
Tu sei peccatore,
come me, come tutti, Papa incluso.
Eppure non devi sentirti castigato.
I giorni che verranno
non equivalgono a una pena da scontare.
Lui ha già pagato in anticipo.
Lui, l’Innocente, eppure condannato.
Non ti dico che la malattia è un dono,
una carezza divina,
come assicura qualcuno che non l’ha mai sperimentata sulla propria pelle:
avresti giustamente l’impressione di una presa in giro.
Ti suggerisco soltanto
che è un’occasione da non perdere.
O, se preferisci,
la possibilità di una vita diversa;
diminuita, ma pur sempre vita.
Non considerarlo un tempo vuoto.
Se stai attento,
oltre a osservare le prescrizioni mediche,
ti accorgerai che ci saranno parecchie cose importanti da fare:
un po’ di ordine «dentro»,
una sistemazione migliore dei valori,
una visione nuova dell’esistenza,
l’inventario delle cose che contano veramente,
un equilibrio diverso da ritrovare.
Soprattutto scoprirai
che c’è un esercizio fondamentale da compiere:
ritrovare i tuoi pensieri.
Paradossalmente, li ritroverai al buio.
Non penserai più i pensieri degli altri.
Nel dolore, nella debolezza, nella solitudine,
i tuoi pensieri,
tolte le croste delle abitudini e dei condizionamenti,
dissolte le illusioni,
saranno veramente tuoi
e ti accompagneranno lungo la strada della speranza.
Ti gira ancora la testa,
dopo aver ascoltato quella sentenza inattesa.
Adesso, però, la testa,
anche se gira ancora un poco,
può servire per elaborare ed ospitare qualche pensiero insolito.
Prova a ripetere con convinzione:
va bene così,
anche se non sto troppo bene…
Preghiera
Tu, almeno,
hai saputo subito con esattezza
che cosa ti aspettava.
Io, invece,
sono condannato all’incertezza,
al dubbio sulla mia sorte.
Non so se… quando… come…
Gesù,
non nascondo la mia delusione e la mia paura.
Allungami la tua mano.
Sì, in questo momento
non ho bisogno di parole,
ma della tua mano di Condannato ingiustamente.
Quel contatto mi aiuterà a vivere serenamente nell’incertezza.
Ad accorgermi delle possibilità
disseminate lungo questo itinerario doloroso
in cui sono stato buttato.
A non perdere nessuna occasione di speranza.
Così sia.
Alessandro Pronzato, Via Crucis della Speranza. Tre itinerari,
Gribaudi Editore, Milano 1995, pp. 15-17.
Foto: Disegno a matita di Salomoni Fausto