Antiochia

Antiochia – At 15,1-2.22-29 – Sesta Domenica di Pasqua – Anno C

Antiochia. Il problema

Antiochia. Ciò che i primi due vv. della prima lettura espongono,
e su cui il testo tornerà ulteriormente in seguito,
riguarda un evento che può veramente definirsi
di portata storica e mondiale.

A guardare le cose solo in superficie,
potrebbe sembrare trattarsi d’un affare legato
a quei tempi lontani e nei quali noi non abbiamo alcuna parte.

Riflettendo però sui motivi e sugli aspetti delle cose in sé,
ci convinceremo facilmente come proprio in quell’occasione
fossero una volta per tutte stabilita l’intima essenza
e la figura esteriore della Chiesa di Gesù Cristo.

La questione che allora stava a cuore, del resto,
non era completamente nuova.

Già in relazione al battesimo del centurione pagano Cornelio
s’erano levate delle critiche, che peraltro riguardavano
in primo luogo il fatto che Pietro si fosse seduto
alla stessa mensa con degli «incirconcisi».
Stando al cap. 11,18, tuttavia,
Pietro riuscì a tacitare i suoi critici.

Anche con il formarsi nella città di Antiochia di Siria
delle prime comunità costituite da cristiani
convertitesi dal paganesimo
doveva essersi presentata la medesima questione,
se cioè i pagani venuti al cristianesimo
dovessero osservare gli ordinamenti
disposti per gli ebrei dalla legge di Mosè.

A tenore di ciò che si legge al cap. 11,23 ss.,
come pure al cap. 2,12 della Lettera ai Galati,
sembra tuttavia accettato da tutti senza contraddizioni
che i neo-convertiti non si dovessero preoccupare
della legalità giudaica.

Barnaba e Saulo poi, dal canto loro (At 11,25)
si direbbe che avessero non solo approvato quest’orientamento,
ma che ne fossero stati addirittura i propugnatori.

Il sorgere del conflitto

Resta il fatto che a questo punto
la cosa degenera in aspro conflitto.

Si trattava della circoncisione che,
alla mentalità giudaica, appariva intralasciabile.
I «giudaizzanti», come siamo soliti chiamare
i più accaniti sostenitori d’un cristianesimo
ricalcato sugli schemi ebraici
e sulla dipendenza dalla legge di Mosè,

esigevano che anche i pagani, accettando il Vangelo,
si sottomettessero al rito della circoncisione
come ad una condizione indispensabile
per ottener la salvezza.

Paolo, invece, che ai nostri occhi appare
come il portabandiera vero e proprio di un Vangelo
libero in tutti i sensi dalle pastoie della legge,

insisteva sul fatto che,
grazie all’opera salvifica di Cristo,
la legge non serviva ormai più da fondamento alla salvezza,
perché al suo posto erano subentrate la grazia divina
e la fede salvifica professata nel battesimo.

I protagonisti del conflitto

«Alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli:
“Se non vi fate circoncidere… non potete essere salvati”» (v. 1).
«Paolo e Barnaba dissentivano e discutevano
animatamente contro costoro» (v. 2).

La ragione delle scontro,
che porta alla nascita del primo concilio della storia della Chiesa,
risiede nell’insegnamento di «alcuni, venuti dalla Giudea»,
la cui identificazione è volutamente generica.

Lo scritto di Giacomo li definirà poi come
«alcuni di noi, ai quali non avevamo dato alcun incarico» (v. 24).
Costoro si fanno portatori di un’interpretazione giudaizzante
della nascente dottrina cristiana, non ufficialmente riconosciuta
dalla comunità apostolica di Gerusalemme.

Paolo e Barnaba, dal canto loro, si fanno forti
di quanto hanno potuto già testimoniare alla comunità,
ovvero di come Dio
«avesse aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27).

Di questo essi divengono portavoce in Gerusalemme,
scelti e inviati al fine di incontrare gli Apostoli
e gli anziani di Gerusalemme, ossia della Chiesa-madre.

L’esito del concilio

Poiché la prima lettura di oggi opera un taglio
della parte centrale della pericope di At 15,
relativamente al dibattito conciliare vero e proprio,
il testo giunge immediatamente a presentare
l’esito dell’assemblea, caratterizzato da due momenti.

A fare da filo conduttore l’espressione «è parso bene» (vv. 22.25.28),
con la quale è sottolineata l’autorità di chi parla,
in merito al giudizio espresso e alle iniziative intraprese.

L’invio di Paolo e Barnaba ad Antiochia di Siria

Il primo momento consiste nell’inviare ad Antiochia di Siria
una delegazione formata da Barsabba e Sila,
insieme a Paolo e Barnaba

Essi hanno il compito di accompagnare la lettura
del documento conciliare – lo scritto di Giacomo –
per confermarne l’autenticità
e rispondere a eventuali dubbi o domande.
La comunicazione non è lasciata
alla pura materialità del documento,
ma affidata alla cura pastorale dei fratelli in Cristo.

Inoltre, la delegazione così formata
attesta la comunione esistente
tra la Chiesa di Gerusalemme e a Paolo e Barnaba,
a conferma della bontà della loro missione.

La comunione, tesoro prezioso
da custodire per il bene della Chiesa
e l’autenticità dell’annuncio
sono valori a cui Paolo tiene particolarmente,

tanto è vero che nella ricostruzione di questo episodio in Gal 2,
pur evidenziando la maggiore validità delle proprie posizioni,
si preoccupa innanzitutto di questi aspetti
«per non correre o aver corso invano» (2,2).

Lettera-documento del concilio di Gerusalemme

Il secondo momento coincide con la lettera-documento;
essa ricostruisce, secondo un’ottica provvidenziale, i fatti accaduti,
al tempo stesso dichiarando fermamente la presa di distanza
dall’interpretazione di «alcuni»
riguardo alla necessità della circoncisione.

La decisione del concilio di Gerusalemme
è stilata, dunque, in forma di documento.
La cosa è altamente significativa.

Questa Chiesa non vive in uno stato di euforia,
ma è una società ordinata giuridicamente;
è una organizzazione, la quale si serve dei mezzi
e delle istituzioni, che sono a disposizione
di una qualsiasi società umana.

È chiaro che questo fatto nulla toglie
della sua essenza a questa Chiesa,
orientata com’è verso una sfera superiore.

Il contenuto non abbisogna di lunghe spiegazioni.
La Chiesa di Gerusalemme si rivolge
alle comunità sorelle esistenti in Siria e in Cilicia.

Non senza motivo il nome della città di Antiochia di Siria
compare fin da principio,
poiché fu da quella città che prese il via
l’attività missionaria fra i pagani,
e colà parimenti aveva avuto inizio
la contesa circa la libertà dalla legge
goduta da coloro che s’erano convertiti dal paganesimo.

Il concilio tenuto a Gerusalemme mostra chiaramente
di non volere aver nulla a che fare
con l’attività di quei giudaizzanti
che, senza essere stati minimamente autorizzati,
avevano osato gettare lo scompiglio
e l’inquietudine nelle comunità cristiane.

In comunione con lo Spirito Santo

Al termine della lettera-documento di Giacomo,
risalta un’affermazione, divenuta poi proverbiale
«È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (v. 28).
Con essa si riafferma il ruolo centrale dello Spirito Santo
nella Chiesa delle origini, a partire dal mandato missionario (Lc 24),
nella Pentecoste e durante la missione evangelizzatrice.

In altre parole, lo Spirito Santo è il protagonista principale
nella edificazione della Chiesa, come unica realtà
formata da cristiani provenienti da tutti i popoli,
a partire da Israele.

In piena armonia con questo agire dello Spirito,
ai cristiani di Antiochia di Siria non è imposto nulla di più,
se non quelle pratiche necessarie a preservare la comunione di mensa
tra cristiani provenienti dal paganesimo e dal giudaismo.

Il bene della comunità tutta
è il criterio che guida le scelte operate dagli Apostoli,
secondo la logica della libertà nella carità,
segno distintivo dell’opera dello Spirito Santo.

Foto: Visione di Trento sud dalla Casa di Riposo
”Civica San Bartolameo” / Foto personale

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