Albino Luciani a Venezia
Venezia: nella laguna la seconda patria
I genitori di Luciani
si erano conosciuti a Murano.
E lui, patriarca
dal 1970 fino all’elezione a pontefice,
nutriva per la città un grande amore
Albino Luciani a Venezia – Il mio cuore
è ancora a Venezia. Non ci sono nato,
ma ho avuto occasione più volte di dire
che la mamma c’era stata undici anni,
non faceva altro che parlarmi di Venezia.
Il papà aveva lavorato a Murano,
nelle vetrerie,
e là aveva incontrato la mamma,
si erano fidanzati
e io son qua perché…
è dovuto al caso di Venezia.
Mio nonno era stato pure
alle vetrerie a lavorare
e quando veniva al pascolo
– io ho fatto anche il pastore da ragazzo –
ci parlava di Venezia
e per essere espressivo diceva:
noi qui leghiamo la capra all’albero,
laggiù legano le gondole a dei pali.
Ho avuto una prima idea di Venezia
in questa maniera.
(Udienza con i fedeli della diocesi di Venezia
nella Sala del Concistoro, Città del Vaticano,
3 settembre 1978), in Giovanni Paolo I,
Il Magistero. Testi e documenti del Pontificato,
a cura della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I,
Lev-San Paolo, 2022, pag. 113.
Presentiamo di seguito due testi
in cui Albino Luciani,
patriarca di Venezia,
parla della Serenissima.
Indirizzo di saluto all’ingresso a Venezia,
8 febbraio 1970
Albino Luciani a Venezia – Signor sindaco,
la ringrazio del saluto, degli auguri,
del modo delicato e toccante
con il quale ha espresso i sentimenti suoi
e della cittadinanza nei miei riguardi.
Fanciullo di montagna,
ho conosciuto Venezia
coll’immaginazione
e quasi in sogno.
Mi dicevano: «A Venezia
le strade d’acqua
sono solcate da gondole
e le gondole le legano ai pali
come noi quassù leghiamo
gli animali agli alberi!
Laggiù,
tra tante case e tante chiese,
si innalza un campanile
altissimo, famosissimo,
ma così mite,
così galantuomo che,
quando nel 1902
decise di accasciarsi a terra,
lo fece con tale garbo
da non recar danno ad alcuno
e senza uccidere nemmeno un colombo!».
Studente e insegnante,
ho incontrato Venezia nei libri.
Una Venezia prima palafitticola,
poi malamocchina, poi rialtina,
succesivamente serenissima e dominante,
poi scaduta da capitale splendida
a città di provincia:
città tuttavia sempre unica,
capace di attirare attenzione,
stupore e visitatori
da tutte le parti del mondo.
***
Albino Luciani a Venezia – Vescovo
di Vittorio Veneto,
sono stato a contatto con Venezia
attraverso i pendolari,
che quotidianamente da quella diocesi
scendono a Mestre e a Marghera.
Era l’altra Venezia;
pochi i monumenti,
ma tante le fabbriche,
tante le case,
tanti i problemi spirituali,
tante le anime.
È in questa multiforme Venezia
che la provvidenza mi inserisce.
La mia disposizione d’animo è questa:
prego Dio che mi faccia molto amare
la città, i suoi problemi religiosi;
che mi aiuti a mettere a disposizione di tutti
quel poco che ho e che sono,
concorrendo con lei, signor sindaco,
con tutte le altre autorità,
con i sacerdoti e i cittadini miei fratelli
al bene comune in un clima di reciproca,
deferente intesa,
entro i limiti della mia competenza
e sempre rispettoso dei compiti altrui.
Signor sindaco!
La prima moneta veneziana,
coniata nel lontano 850,
recava nel verso:
«Christe, salva Venecias».
Ripeto il motto con tutto il cuore
e lo converto in preghiera e augurio:
Cristo, prospera Venezia!
Da Rivista diocesana
del Patriarcato di Venezia
55 (1970), pag. 20.
Ai vespri pontificali della festa di San Marco,
25 aprile 1975
Albino Luciani a Venezia – Ho detto
nell’omelia della Messa che san Marco,
per il mondo cristiano, è soprattutto
l’autore del secondo Vangelo.
È vero tuttavia che,
durante parecchi secoli,
per l’Europa e il Medio Oriente,
san Marco voleva dire Venezia
e viceversa.
Il leone alato,
che poggia la zampa sul libro,
fosse esso scolpito negli stemmi
o sventolasse sull’albero delle navi,
ha fatto la réclame
a una singolare pax cristiana
e veneziana
in tutti i porti del Mediterraneo.
***
Albino Luciani a Venezia – I pellegrini europei,
avviandosi al viaggio in Terrasanta,
trovavano in piazza San Marco,
sulla riva degli Schiavoni o a Rialto,
quattro-cinque-sei guide,
capaci di parlare francese,
bretone, inglese o tedesco,
che li consigliavano e accompagnavano:
quelli poveri a qualche monastero,
che dava alloggio gratuito;
quelli ricchi a qualche albergo.
Tutti facevano il pellegrinaggio
su navi veneziane;
sbarcando dopo sei mesi di viaggio
al bacino San Marco,
erano accolti e salutati
dal suono delle campane;
tornati in patria,
non parlavano solo di Gerusalemme,
ma anche di Venezia
come di «città apostolica»,
di «città veramente santa e fortunata».
***
Albino Luciani a Venezia – Le città venete
di terraferma, a loro volta,
formarono con la loro capitale
un tutt’uno così fuso e amoroso
da parere mezzo miracolo,
se confrontato con la instabilità
e l’endemico mutamento
di tutti gli altri Stati italiani.
La realtà è che Venezia
seppe rispettare la personalità
delle città suddite,
permise che ciascuna di esse
conservasse i propri consigli e statuti,
provvide abbastanza bene
al loro benessere,
fu molto sobria nell’imporre tasse,
inviò governatori saggi,
preparandoli prima
e cambiandoli spesso poi.
***
Albino Luciani a Venezia – «Lo dico
con le lacrime agli occhi
– scriveva il provveditore Alvise Grimani -.
Non si può sopportare
che i grandi sottomettano
i poveri contadini,
bisogna rimediarvi.
Il che dico per carità e servizio dei popoli,
amando e stimando i poveri,
e in particolare di questi territori
i quali ho favoriti e aiutati nei tempi
dei suoi maggiori bisogni di carestia
e di peste, come se fossero stati
i miei figlioli propri».
Si dirà: «Ma da questo passo
trapela un vieto paternalismo!».
Che meraviglia!
Siamo in pieno Cinquecento
e in pieno governo aristocratico.
E qui sta il bello:
che in un governo paternalistico
ci sia un senso della giustizia
così umanamente
e cristianamente sentito!
Il Vangelo di san Marco,
attraverso le numerose scuole
e parrocchie penetrava
– si vede – negli animi.
***
Albino Luciani a Venezia – La Chiesa,
anche allora, tra i peccati
«che gridano vendetta al cospetto di Dio»
indicava il «defraudare la giusta mercede
agli operai».
E poi, la storia insegna:
con un’ottima forma di governo
i sudditi possono trovarsi male,
se le persone al governo sono cattive.
Viceversa,
sotto una cattiva forma di governo,
i sudditi si trovano talora bene,
se i governanti sono onesti e capaci.
San Marco, però,
dovette assistere dal paradiso
al momento più doloroso
della sua Venezia:
nel 1797,
in momenti di gran confusione,
di illusioni provocate dalla propaganda
di pochi frenetici scempiati
e di viltà o pochezza dei responsabili,
la Serenissima perdeva la sua libertà
dopo dieci secoli di storia gloriosa.
Il brutto momento sarà in parte cancellato
dall’insurrezione veneziana del 1848
e dall’eroica resistenza del 1849.
Ma quale colpo
ne risentissero i sudditi
si arguisce dalle reazioni istriane e dalmate.
A Zara il vessillo di san Marco
venne portato nella cattedrale
e al canto del De profundis
baciato dai cittadini,
e poi sotterrato.
***
Albino Luciani a Venezia -Anche
quelli di Perasto, nelle Bocche di Cattaro,
lo deposero come reliquia
sotto l’altar maggiore del duomo,
dopoché il capo della comunità
ebbe così parlato:
«In sto amaro momento
che lacera el nostro cor,
in sto ultimo sfogo de amor,
de fede al serenissimo dominio,
al gonfalon della serenissima repubblica,
ne sia de conforto, o cittadini,
che la nostra condotta passada
e de sti ultimi tempi
rende più giusto sto atto fatal,
ma doveroso, ma virtuoso per nu..
Sfoghemose, cittadini,
sfoghemose pur;
in sti nostri ultimi sentimenti,
con i quali sigilemo
la nostra gloriosa carriera,
corsa sotto
al serenissimo veneto governo,
rivolgemose verso sta insegna
che lo rappresenta,
e su de ela sfoghemo el nostro dolor.
***
Albino Luciani a Venezia – Per 377 anni
la nostra fede, el nostro valor
l’ha sempre custodia
per tera e per mar,
per tutto dove ne ha ciamà i so nemici,
che xe stai pur quelli della religion.
Per 377 anni le nostre sostanze,
el nostro sangue, le nostre vite
le xe stae sempre per ti, o san Marco;
e felicissimi sempre
se avemo reputà ti con nu,
nu con ti;
e sempre con ti sul mar
nu semo stai illustri e vittoriosi;
nessun con ti ne ha visto scapar;
nessun con ti ne ha visto vinti e paurosi.
E se i tempi presenti
(infelicissimi per imprevidenza,
per dissensioni, per arbitri illegali,
per vizi offendenti la natura
e el gius delle genti)
non te avesse tolto da l’Italia,
per ti in perpetuo sarava
le nostre sostanze, el sangue,
la vita nostra […]».
Da Rivista diocesana
del Patriarcato di Venezia
60 (1975), pagg. 150-152.
Albino Luciani (testo di),
«Venezia: nella laguna la seconda patria»
in “Luoghi dell’Infinito”,
Mensile di Itinerari Arte e Cultura
di “Avvenire”,
settembre 2022, n. 275, pp. 44-46.
Foto: Giovanni Paolo I, in
“S.S. Giovanni Paolo I – Albino Luciani” /
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