Alain Poitaud

Alain Poitaud
«La prigione» di Georges Simenon

 

Donnaiolo impenitente
e bevitore incallito
il protagonista teme la solitudine.

Cerca dunque
di circondarsi di persone
con le quali però non riesce mai
a stabilire un legame solido.

Un avvenimento sconvolgente
lo induce a risalire la china
ma l’impresa risulterà impacciata e vana

Alain Poitaud
C’è voluto un
avvenimento sconvolgente
per innescare, finalmente,
un processo di introspezione
destinato a rivelare,

senza distorsioni
e infingimenti,

la vera identità
di Alain Poitaud,
il protagonista
dello splendido romanzo
La prigione

che Georges Simenon
scrisse nel 1967:
fu pubblicato
l’anno successivo

e ora Adelphi
lo ripropone
(Milano, 2024,
pagine 170, euro 18,
traduzione di
Simona Mambrini).

La moglie, Jacqueline,
uccide,
con un colpo di pistola,
la sorella, Adrienne.

Reo confessa,
viene condotta
al Quai des Orfèvres,
per essere interrogata.

Seguirà,
come da protocollo,
il processo.

Ma il vero interrogatorio
è quello a cui Poitaud,
direttore di una rivista,
sottopone sé stesso,
da quel momento in poi.

Alain Poitaud

Donnaiolo impenitente
e incallito bevitore,
in passato
ha avuto una relazione
anche con la sorella
di Jacqueline.

Dopo l’omicidio,
marito e moglie
– è lei a volerlo –
non si parleranno più.

Nel frattempo
si scoprirà
che non è solo Poitaud
ad aver intrecciato
una relazione
con le due sorelle.

C’è anche un altro uomo,
ed è stato lui,
insospettabile,
ad aver scatenato
la letale reazione
di gelosia.

***

Alain Poitaud
Con una prosa asciutta,
a tratti cinica
nella sua essenzialità,
Simenon mette a nudo
il carattere del protagonista.

Impietosamente,
lo colloca in
un’atmosfera lugubre,

prima minata
e poi lacerata
dal tarlo
della solitudine.

Poitaud
confessa più volte
la sua paura
di rimanere solo,
di essere solo.

Alain Poitaud

Per questo motivo
si circonda,
in modo ossessivo,
di persone con le quali,
in realtà,

non riesce mai
a stabilire
un contatto caloroso,
tanto meno
un legame solido.

La moglie
l’ha soprannominata
Micetta
per poi ammettere,

nel dipanarsi
della vicenda,

che questo nomignolo,
dolce,
per non dire sdolcinato,

lo avrebbe potuto affibbiare
a qualunque altra donna
con cui aveva avuto
una relazione.

E Micetta,
per tutto il tempo
che sono stati sposati,
ha rappresentato
per lui solo
una “presenza”.

Non di più.

Quando
stavano a tavola
con gli amici,

il suo gomito
doveva toccare
quello di lei: così
non si sentiva solo.

L’avrebbe pagata cara
questa superficialità
capricciosa e dimessa.

***

Alain Poitaud
Ma, in fondo,
non è cattivo Poitaud.

Una coscienza sensibile
ce l’ha,
come dimostra
la riflessione
riguardo al padre,

che ha dedicato
la sua vita,
con zelo straordinario,
alla professione
di dentista,

la quale
gli ha procurato agio,
ma non certo
la grande ricchezza
derivata a Poitaud

dall’essere diventato
direttore
di una rivista rivelatasi
“una minera d’oro”.

Una riflessione
che lo imbarazza,
e che lo fa sentire
in qualche modo
in colpa.

***

Alain Poitaud
Dopo l’assassinio,
il protagonista,
per quanto esente
da ogni addebito,

comincia
a sentire il mondo
come estraneo.

In esso
non si riconosce più.

Ma poi
viene assalito
da un dubbio:
non è che il mondo
che si sta allontanando
da lui?

A quel punto
sente vibrare
dentro di sé

– lui che si ritiene
un «duro»
e che detesta
i «sentimentalismi» –

l’urgenza di un po’
di «tenerezza»
nei suoi rapporti
con il prossimo.

Viene così
a svilupparsi
un logorante
dissidio interiore
che lo porterà ad una
decisione estrema,

una volta constatata
l’impossibilità
di ricomporre
tale dissidio.

Alain Poitaud

Non è cattivo Poitaud.
Appresa l’identità
dell’uomo
che ha “armato”
la mano di sua moglie,
lo va a trovare.

Non gli farà del male,
non tramerà rappresaglie:
lo fisserà solo negli occhi
e poi se ne andrà via.

E prima di realizzare
la decisione estrema,
impone a sé stesso,

come un atto
di riscatto personale,

di non approfittare
della procace donna
che fa le pulizie
nella sua casa.

Per la prima volta,
in un rapporto
con una donna,

si limita
a delle carezze,
ovviamente impacciate,
e non va oltre.

Lei si meraviglia,
ma non poteva capire
la trasformazione,
tardiva,
che si stava
compiendo in lui.

E c’è anche
un’altra prima volta
per Poitaud:

non avverte più
quell’atavica paura
che ha sempre
cercato di nascondere
con un comportamento
sfrontato,

nel momento
in cui preme
l’acceleratore
della Jaguar
per schiantarsi
contro un platano.

***

Alain Poitaud
Per un uomo
che non era mai
riuscito a stabilire
un rapporto solido
con gli altri

– salutava ogni donna
con l’insulsa espressione
«ciao cocca»
e ogni uomo
con la stereotipata formula
«ciao bello» –

quel tragico gesto
di ribellione
ad un vuoto di affetti
mai colmato

viene a configurarsi
come una sorta
di eroismo.

Un eroismo negativo

– lascia intendere
la magistrale penna
di Simenon –

in cui si spegne
il respiro di una vita
sciupata nel vizio

e a cui non ha arriso,
se non troppo tardi,
un labile afflato
di redenzione.

Gabriele Nicolò,
«Il riscatto tardivo
di Alain Poitaud». in
“L’Osservatore Romano”,
martedì 6 febbraio, p. II

Foto: Copertina di
Georges Simenon,
«La prigione» /
adelphi.it

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