Agostino e la sua concezione del tempo
Il tempo siamo noi
Agostino – Alzi la mano chi,
invece di prendersela con se stesso,
non abbia qualche volta imprecato
contro il proprio tempo
e magari rimpianto il passato.
Accadeva nell’antichità (“o tempora, o mores!”)
e continua allo stesso modo ad accadere oggi
(“che tempi, che tempi!”), mentre si sa benissimo
che si tratta d’un vano tentativo
al fine di allontanare da sé qualsiasi responsabilità.
«“Sono tempi cattivi,
tempi penosi!” si dice infatti.
Ma cerchiamo di vivere bene
e i tempi saranno buoni.
I tempi siamo noi;
come siamo noi,
così sono i tempi» (Discorso 80).
Sant’Agostino non poteva dir meglio.
Il grande pensatore cristiano
riporta perciò il tempo,
che è una realtà oggettiva,
alla percezione che ne abbiamo,
e quindi lo riconduce alla coscienza.
Lo definisce “estensione dell’anima”,
perché è l’anima e soltanto l’anima
a farci sperimentare, nel tempo,
quanto esso ha di proprio e di essenziale:
il presente, il passato e il futuro.
Con ciò sant’Agostino
compie un’operazione
del tutto rivoluzionaria.
Che il tempo sia una realtà,
e anzi la realtà stessa
nella sua scansione fattuale e irreversibile,
è convinzione sia di Aristotele sia di Platone.
Per Aristotele, il tempo
è la misura del movimento
secondo il prima e il poi.
Una misura uguale per tutti.
Secondo Platone, il tempo
è immagine mobile dell’eterno.
Il tempo non si contrappone all’eterno.
Al contrario, il tempo è l’eterno
che si affaccia nel mondo del divenire
e lo sfiora, anzi, lo impregna di sé.
Agostino, peraltro, non contesta
né la concezione aristotelica del tempo
né quella platonica.
Però vi aggiunge una considerazione
che è come un lampo nel buio più fitto.
Dice, infatti, Agostino:
la realtà tutt’intera, e quindi il tempo
nella sue diverse dimensioni – il presente,
il passato, il futuro – sono cosa tua,
e neppure ci sarebbero se tu non ci fossi.
Fanno parte di un orizzonte
al centro del quale ci sei tu,
c’è la tua anima.
Una cosa enorme. Una rivoluzione.
Di cui però ci dà conferma l’esperienza
che facciamo quotidianamente.
Non è forse vero che il tempo
sì dilata a dismisura
e altrettanto smisuratamente si contrae
a seconda delle circostanze?
Ci annoiamo,
e il tempo non passa mai.
Siamo felici,
e il tempo si è fermato
ed è come se non ci fosse più.
Senza contare, inoltre, che
in ogni istante della nostra vita
tutto viene rimesso continuamente in gioco.
Il bene e il male,
la gioia più grande e il dolore più crudele,
il senso e il non senso di ogni cosa.
Tutto ciò ci obbliga pertanto
a tornare all’idea di partenza,
che è poi l’idea di responsabilità.
Responsabilità nei confronti di chi,
e per che cosa?
Responsabilità nei confronti di tutti gli altri,
e per tutto ciò che accade.
Idea, questa, che per certi aspetti
ripugna al senso comune
ed è difficile da accettare.
Come si può pensare
che la responsabilità riguardi anche
ciò che oltrepassa la portata del singolo?
Attribuire al singolo la responsabilità
per ciò che grava su di lui come un destino
non significa deresponsabilizzarlo?
Fare qualcuno responsabile di tutto
non è come farlo responsabile di nulla?
No. E questo per la semplice ragione
che non c’è niente che non mi riguardi.
Niente che non sia cosa mia.
O cosa anche mia.
Cosa cioè che acquista senso e valore
(o precipita nel non senso e nel disvalore)
in quanto io non posso non farmene carico,
non appena io posi il mio sguardo su di essa
o mi ponga la domanda: che cosa ho fatto io
perché quella cosa sia, o non sia, quella che è?
Sergio Givone, «Il tempo siamo noi:
parola di Agostino», in “Luoghi dell’Infinito”,
gennaio 2022, n. 268, p. 77.
Foto: Sandro Botticelli, Sant’Agostino nello studio,
1480 circa, dipinto murale staccato (200×120 cm),
Chiesa di Ognissanti, Firenze / it.wikipedia.org