Discorso 1978/2
Primo radiomessaggio «Urbi et Orbi»
Cappella Sistina, martedì 17 ottobre 1978
Discorso 1978/2
1. Signori Cardinali,
e voi,
figli della Santa Chiesa,
e voi tutti,
uomini
di buona volontà,
che ci ascoltate!
Solo una parola,
tra tante,
sale immediata
sulle nostre labbra
nel momento
di presentarci a voi
dopo l’elezione
alla sede
dell’Apostolo Pietro,
ed è parola
che fa risaltare,
per l’evidente
contrasto
dei nostri limiti
personali ed umani,
l’immensa
responsabilità
che ci
è stata affidata:
“O profondità
della sapienza
e della scienza
di Dio!
Quanto imperscrutabili
sono i suoi giudizi
ed inaccessibili
le sue vie!”
(Rm 11,33).
Discorso 1978/2
Difatti,
chi avrebbe potuto
prevedere,
dopo la morte
dell’indimenticabile
Paolo VI,
anche
la prematura
scomparsa
dell’amabile
suo successore
Giovanni Paolo I.
E come
avremmo potuto
noi prevedere
che la loro
formidabile eredità
sarebbe passata
sulle nostre spalle?
Per questo,
dobbiamo meditare
sul misterioso
disegno di Dio
provvidente
e buono,
e non già
per capire,
ma piuttosto
per adorare
e pregare.
Sentiamo
davvero
di dover ripetere
l’invocazione
del Salmista
che,
levando gli occhi
verso l’alto,
esclamava:
“Da dove
mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto
viene dal Signore”
(Sal 120,1-2).
***
Discorso 1978/2
La stessa
imprevedibilità
degli eventi,
che si son succeduti
in così breve
arco di tempo,
e l’inadeguatezza
della risposta,
che potrà venire
dalla nostra persona,
come
ci impongono
di rivolgerci
al Signore
e di confidare
totalmente in lui,
così
non consentono
di tracciare
programmi
che siano frutto
di lunga riflessione
e di accurata
elaborazione.
Discorso 1978/2
Ma a supplire
una tale carenza
è già pronta
una sorta
di compensazione,
che costituisce
essa stessa
un segno
della presenza
confortatrice
di Dio.
È trascorso
poco più
di un mese
da quando
noi tutti
ascoltammo,
dentro e fuori
dalle storiche volte
di questa Cappella,
l’allocuzione
rivolta,
all’alba del suo
promettente
servizio,
da Papa
Giovanni Paolo:
per la freschezza
del ricordo
che ciascuno
di noi
ne conserva
e per la sapienza
delle indicazioni
che vi erano
contenute,
non ci sembra
di poter
da essa
prescindere.
Come
per la circostanza
in cui
fu pronunciata,
essa appare
tuttora valida
all’inizio
di un nuovo
ciclo pontificale,
che ci impegna
in maniera diretta
ed ormai ineludibile
di fronte a Dio
ed alla Chiesa.
Il Concilio:
pietra miliare
Discorso 1978/2
2. Vogliamo, pertanto,
enucleare
alcune linee direttrici
che riteniamo
di preminente rilievo
e, perché tali,
avranno da parte nostra
– come proponiamo
e speriamo
con l’aiuto
del Signore –
non soltanto
attenzione
e consenso,
ma anche
un coerente impulso,
perché
trovino riscontro
nella realtà ecclesiale.
Anzitutto,
desideriamo
insistere
sulla permanente
importanza
del Concilio
Ecumenico
Vaticano II,
e ciò
è per noi un
formale impegno
di dare ad esso
la dovuta esecuzione.
Non è forse
il Concilio
una pietra miliare
nella storia
bimillenaria
della Chiesa
e, di riflesso,
nella storia
religiosa
e anche culturale
del mondo?
Ma esso,
come
non è solo
racchiuso
nei documenti,
così
non è concluso
nelle applicazioni,
che si sono avute
in questi anni
cosiddetti
del post-Concilio.
Discorso 1978/2
Consideriamo,
perciò,
un compito primario
quello di promuovere,
con azione
prudente
e insieme
stimolante,
la più esatta
esecuzione
delle norme
e degli
orientamenti
del medesimo
Concilio,
favorendo
innanzitutto
l’acquisizione
di un’adeguata
mentalità.
Intendiamo dire
che occorre prima
mettersi
in sintonia
col Concilio
per attuare
praticamente
quel che esso
ha enunciato,
per rendere
esplicito,
anche alla luce
delle successive
sperimentazioni
e in rapporto
alle istanze
emergenti
e alle
nuove circostanze,
ciò che in esso
è implicito.
Occorre,
insomma,
far maturare
nel senso
del movimento
e della vita
i semi fecondi
che i Padri
dell’assise
ecumenica,
nutriti
della Parola
di Dio,
gettarono
sul buon terreno
(cf. Mt 13,8.23)
cioè
i loro autorevoli
insegnamenti
e le loro
scelte pastorali.
***
Discorso 1978/2
Questo
criterio generale,
della fedeltà
al Vaticano II
e di esplicito
proposito,
da parte nostra,
per la completa
sua applicazione,
potrà interessare
più settori:
da quello missionario
a quello ecumenico,
da quello disciplinare
a quello organizzativo,
ma uno
specialmente
dovrà essere il settore
che richiederà
le maggiori cure,
cioè quello
dell’ecclesiologia.
Discorso 1978/2
È necessario,
venerati Fratelli
e diletti Figli
del mondo cattolico,
riprendere in mano
la “magna charta”
conciliare,
che è la
Costituzione dogmatica
Lumen Gentium,
per una rinnovata
e corroborante
meditazione
sulla natura
e sulla funzione,
sul modo
di essere
e di operare
della Chiesa,
non soltanto
per realizzare
sempre meglio
quella
comunione vitale,
in Cristo,
di tutti quanti
in lui sperano
e credono,
ma anche
al fine
di contribuire
ad una più ampia
e più stretta unità
dell’intera
famiglia umana.
“Ecclesia Christi
lumen gentium”,
amava ripetere
Papa Giovanni XXIII:
la Chiesa
– gli ha fatto eco
il Concilio -.
è sacramento
universale
di salvezza
e di unità per
il genere umano
(cf. Lumen Gentium,
1.48;
Ad Gentes, 1).
***
Discorso 1978/2
Il mistero salvifico
che nella Chiesa
s’incentra
e per mezzo
della Chiesa si attua;
il dinamismo che,
in forza di questo
stesso mistero,
sollecita
il Popolo di Dio:
la speciale coesione,
o collegialità
che “cum Petro
et sub Petro”
unisce tra loro
i sacri Pastori,
sono elementi
sui quali
non rifletteremo
mai abbastanza
per verificare,
in base ai bisogni
sia permanenti
che contingenti
dell’umanità,
quali
debbano essere
le forme di presenza
e le linee d’azione
della Chiesa medesima.
Per questo
l’adesione
al testo conciliare,
visto nella luce
della Tradizione
ed in rapporto
d’integrazione
con le formulazioni
dogmatiche anticipate,
un secolo fa, dal
Concilio Vaticano I,
sarà per tutti noi,
pastori e fedeli,
il segreto
di un orientamento
sicuro
ed uno stimolo
propulsivo,
altresì,
per camminare
– ripetiamo –
nella direzione
della vita
e della storia.
Discorso 1978/2
Raccomandiamo,
in particolare,
di approfondire
ai fini di una
sempre più lucida
consapevolezza
e di una
più vigile
responsabilità,
quel che comporta
il vincolo collegiale,
che intimamente
associa i Vescovi
al Successore
di Pietro
e tra tutti loro
nelle alte funzioni
di illuminare
con la luce
del Vangelo,
di santificare
con gli strumenti
della grazia
e di guidare
con l’arte pastorale
l’intero
Popolo di Dio.
Collegialità
vorrà anche dire,
sicuramente,
adeguato sviluppo
di Organismi
in parte nuovi,
in parte aggiornati,
che possono
garantire
la migliore unione
degli spiriti,
delle intenzioni,
e delle iniziative
nel lavoro
di edificazione
del corpo di Cristo,
che è la Chiesa
(cf. Ef 4,12;
Col 1,24).
A questo proposito,
nominiamo
innanzitutto
il Sinodo
dei Vescovi,
costituito
prima ancora
che finisse
il Concilio
dalla grande
mente
di Paolo VI
(cf. Paolo VI,
Apostolica Sollecitudo:
AAS 57 [1965]
775-780),
e ripensiamo
ai qualificati
e preziosi contributi
che esso
ha già offerto.
Fedeltà globale
alla missione
Discorso 1978/2
3. Al di là
di questo riferimento
al Concilio,
rimane il dovere
della fedeltà globale
alla missione
che abbiamo ricevuto,
ed a questo punto
il discorso,
prima che
per gli altri,
vale per Noi,
e lo facciamo,
perciò,
in prima persona.
Chiamati
alla suprema
responsabilità
nella Chiesa,
siamo
soprattutto Noi
che,
in posizione
che ci obbliga
all’esemplarità
del volere
e dell’agire,
dobbiamo esprimere
con tutte
le nostre forze
questa fedeltà,
conservando
intatto
il deposito
della fede,
corrispondendo
in pieno
alle peculiari
consegne di Cristo,
che a Simone,
costituito
pietra
della sua Chiesa,
affidò le chiavi
del Regno dei cieli
(cf. Mt 16,8-19),
comandò
di confermare
i fratelli
(cf. Lc 22,32),
e di pascere,
a riprova
del suo amore
per lui,
gli agnelli
e le pecorelle
del suo gregge
(cf. Gv 21,15-17).
Siamo
profondamente convinti
che ogni
moderna indagine
intorno al cosiddetto
“ministerium Petri”,
condotta allo scopo
di individuare
sempre meglio
quel che esso
contiene
di peculiare
e specifico,
non potrà
né dovrà mai
prescindere
da questi
tre poli
evangelici.
***
Discorso 1978/2
Si tratta,
infatti,
di prestazioni
tipiche
connesse
alla natura stessa
della Chiesa
a salvaguardia
della sua
interna unità
e a garanzia
della sua
missione spirituale,
affidate,
perciò,
dopo che a Pietro,
anche
ai suoi legittimi
successori.
Discorso 1978/2
E siamo convinti,
altresì
che tale
singolarissimo
ministero
dovrà
sempre trovare
nell’amore
– a modo di
indeclinabile
risposta
all’“amas me?”
di Gesù –
la fonte
che l’alimenta
e insieme
il clima
in cui
si espande.
Ripeteremo,
dunque,
con San Paolo:
“Caritas Christi
urget nos”
(2 Cor 5,14)
perché il nostro
vuol esser
fin d’ora
un ministero
di amore
in tutte le sue
manifestazioni
ed espressioni.
In ciò
procureremo
di seguire
l’alta scuola
degli immediati
nostri Predecessori.
Chi non ricorda
le parole
di Paolo VI,
predicatore
della “civiltà
dell’amore”,
il quale
circa un mese
prima della morte
affermava
con cuore presago:
“fidem servavi”
(cf. Paolo VI,
Homilia
in sollemnitate
Ss. Petri et Pauli
habita: AAS 70
[1978] 395),
non certo
per autoelogio,
ma per un
rigoroso esame
al quale,
trascorso un
quindicennio
di servizio,
si sottoponeva
la sua
sensibilissima
coscienza?
E che dire di
Giovanni Paolo I?
Ci sembra
uscito
appena ieri
dalle nostre file
per rivestire
il peso
del manto papale:
ma quanto calore,
una vera
“ondata d’amore”
– quale auspicò
per il mondo
nel suo
ultimo saluto
all’Angelus
domenicale –
egli diffuse
nei pochi giorni
del suo ministero!
E lo confermano
le lezioni
di sapiente
catechesi
sulla fede,
la speranza
e la carità,
dettate durante
le pubbliche
Udienze.
Nel rispetto
delle norme liturgiche
Discorso 1978/2
4. Venerati Fratelli
e Figli carissimi,
è ovvio
che la fedeltà
significa anche
adesione convinta
al Magistero di Pietro
specialmente
nel campo dottrinale,
la cui
oggettiva importanza
non solo
dev’essere sempre
tenuta presente,
ma tutelata,
altresì,
a causa
delle insidie
che,
da varie parti,
si levano
oggi contro
certe verità
della fede
cattolica.
La fedeltà
significa anche
rispetto
per le norme
liturgiche,
emanate
dall’Autorità
ecclesiastica,
ed esclude,
quindi,
sia gli arbitri
di incontrollate
innovazioni,
sia gli ostinati
rigetti di ciò
che è stato
legittimamente
previsto
ed introdotto
nei sacri riti.
Discorso 1978/2
La fedeltà significa,
ancora,
culto della grande
disciplina
della Chiesa,
e anche questo
– come ricordate –
fu indicato dal
nostro Predecessore.
La disciplina,
infatti,
non tende già
a mortificare,
ma a garantire
il retto ordinamento
che è proprio
del corpo mistico,
quasi
ad assicurare
la regolare
e fisiologica
articolazione
fra tutte le membra
che lo compongono.
***
Discorso 1978/2
Fedeltà significa,
inoltre,
corrispondenza
generosa
alle esigenze
della vocazione
sacerdotale
e religiosa,
in modo
che quanto
si è liberamente
promesso a Dio
sia sempre
mantenuto
e sviluppato
in una stabile
prospettiva
soprannaturale.
Per i fedeli,
infine,
come dice
la parola stessa,
la fedeltà
dev’essere
un dovere
connaturale
al loro
essere cristiani:
essi vorranno
professarla
con animo
pronto e leale,
e dimostrarla
sia nell’obbedienza
ai sacri Pastori,
che lo Spirito
Santo ha posto
a pascere la Chiesa
(cf. At 20,28),
sia nel collaborare
a quelle iniziative
e opere,
a cui sono chiamati.
A questo punto,
non possiamo
dimenticare
i Fratelli
delle altre Chiese
e confessioni
cristiane.
Troppo grande
e delicata,
infatti,
è la causa
ecumenica,
perché possiamo
ora
lasciarla priva
di una
nostra parola.
Discorso 1978/2
Quante volte
abbiamo meditato
insieme
il testamento
di Cristo,
che chiese
al Padre
per i suoi discepoli
il dono dell’unità?
(cf. Gv 17,21-23).
E chi non ricorda
l’insistenza
di San Paolo
circa la
“comunione
dello spirito”,
che porti
ad avere
“una stessa carità,
un’anima sola,
un solo
e medesimo
pensiero”
ad imitazione
di Cristo Signore?
(cf. Fil 2,2; 5,8).
Non sembra,
dunque,
possibile
che rimanga
ancora
– motivo
di perplessità
e forse anche
di scandalo –
il dramma
della divisione
tra i cristiani.
Intendiamo,
pertanto,
proseguire
nel cammino
già ben avviato
e favorire
quei passi
che valgano
a rimuovere
gli ostacoli,
auspicando che,
grazie ad uno
sforzo concorde,
si giunga
finalmente
alla piena
comunione.
***
Discorso 1978/2
Desideriamo,
ancora,
rivolgerci
a tutti gli uomini
che,
come figli
dell’unico Dio
onnipotente,
sono nostri fratelli
da amare
e da servire,
per dir loro
senza presunzione,
ma con
umiltà sincera
la nostra volontà
di recare un
fattivo contributo
alle cause
permanenti
e prevalenti
della pace,
dello sviluppo,
e della giustizia
internazionale.
Non ci muove
nessuna intenzione
di interferenza
politica
o di partecipazione
alla gestione
degli affari temporali:
come la Chiesa
esclude
un inquadramento
in categorie
d’ordine terreno,
così
il nostro impegno,
nell’avvicinarci
a questi
brucianti problemi
degli uomini
e dei popoli,
sarà determinato
unicamente
da motivazioni
religiose e morali.
Seguaci
di colui che ai suoi
prospettò
l’ideale di essere
“sale della terra”
e “luce del mondo”
(Mt 5,13-16),
Noi intendiamo
adoperarci
per il consolidamento
delle basi spirituali,
su cui deve poggiare
l’umana società.
E tanto
più impellente
a noi sembra
un tale dovere,
in ragione
delle perduranti
diseguaglianze
e incomprensioni,
che, a loro volta,
sono causa
di tensioni e conflitti
in non poche
parti del mondo,
con l’ulteriore
minaccia
di più immani
catastrofi.
Costante sarà,
dunque, la nostra
sollecitudine
in ordine
a siffatti problemi
per un’azione
tempestiva,
disinteressata,
evangelicamente
ispirata.
Discorso 1978/2
Sia lecito
a questo punto
prendere a cuore
il gravissimo problema
che il Collegio dei
Padri Cardinali additò,
durante la Sede Vacante,
e che riguarda
la diletta
terra del Libano
e il suo popolo,
cui tutti desideriamo
ardentemente
la pace nella libertà.
Nello stesso tempo,
vorremmo
tendere le mani
ed aprire il cuore,
in questo momento,
a tutte le genti
e a quanti
sono oppressi
da qualsiasi
ingiustizia
o discriminazione,
sia
per quanto riguarda
l’economia
e la vita sociale,
sia la vita politica,
sia la libertà
di coscienza
e la giusta
libertà religiosa.
Dobbiamo tendere,
con tutti i mezzi,
a questo:
che tutte le forme
di ingiustizia,
che si manifestano
in questo nostro tempo,
siano sottoposte
alla comune
considerazione
e si rimedi
davvero ad esse;
e che tutti
possano condurre
una vita
degna dell’uomo.
Ciò appartiene
alla missione
della Chiesa
che nel
Concilio Vaticano II
è stata
messa in luce
e non solo
nella Costituzione
Lumen Gentium,
ma anche
nella Costituzione
pastorale
Gaudium et Spes.
***
Fratelli
e Figli carissimi,
i recenti avvenimenti
della Chiesa
e del mondo
sono per noi tutti
un monito salutare:
Come sarà
il nostro pontificato?
E quale la sorte
che il Signore riserva
alla sua Chiesa
nei prossimi anni?
E quale
il cammino
che l’umanità
percorrerà
in questo
scorcio di tempo,
che ormai
l’avvicina
al Duemila?
Sono
domande ardite,
a cui non si può
rispondere
che questo:
“Deus scit”
(cf. 2 Cor 12,2-3).
Oh la personale
nostra vicenda,
che ci ha
inopinatamente
portato
alla massima
responsabilità
del servizio apostolico,
interessa molto poco.
La nostra persona
– vorremmo dire –
deve sparire
di fronte
all’onerosa funzione
che dobbiamo adempiere.
E allora
il discorso
necessariamente
si trasforma
in appello:
dopo
la nostra preghiera
al Signore,
sentiamo
la necessità
di domandare
anche
la vostra preghiera,
per ottenere
quell’indispensabile,
superiore conforto
che ci consenta
di riprendere il lavoro
degli amati
Predecessori
dal punto in cui
l’hanno lasciato.
Discorso 1978/2
Al loro
commosso ricordo
noi amiamo
far seguire
un saluto memore
e riconoscente
per ciascuno di voi,
Signori Cardinali,
che ci avete designato
a questo incarico;
e poi un saluto
fiducioso
ed incoraggiante
a tutti gli altri
fratelli nell’episcopato,
i quali
nelle diverse parti
del mondo
presiedono alla cura
delle singole Chiese,
elette porzioni
del Popolo di Dio
(cf. Christus
Dominus, 11)
e sono,
altresì,
solidali con l’opera
dell’universale
salvezza.
Dietro di loro
ravvisiamo
distintamente
l’ordine dei sacerdoti,
lo stuolo dei missionari,
le schiere dei religiosi
e delle religiose,
mentre
vivamente
auspichiamo
che aumenti
il loro numero,
echeggiando
nella nostra mente
quelle parole
del divin Salvatore:
“La messe è molta,
ma gli operai
sono pochi”
(Mt 9,7-38;
Lc 10,2).
Discorso 1978/2
Riguardiamo poi
ancora le famiglie
e le comunità cristiane,
le multiformi
associazioni
di apostolato,
i fedeli, i quali,
anche se da Noi
non sono
singolarmente
conosciuti,
non anonimi però,
non estranei
né emarginati
giammai!
– saranno
nella compagine magnifica
della Chiesa di Cristo.
Tra essi scorgiamo,
con preferenziale
riguardo,
i più deboli, i poveri,
i malati, gli afflitti.
E a questi
specialmente
che, nel primo istante
del pastorale ministero,
vogliamo aprire
il nostro cuore.
Non siete
infatti voi,
Fratelli e Sorelle,
che con le vostre
sofferenze condividete
la passione
dello stesso Redentore
ed in qualche modo
la completate
(cf. Col 1,24)?
L’indegno
Successore di Pietro,
che si propone
di scrutare
le insondabili
ricchezze di Cristo
(cf. Ef 3,8),
ha il più grande bisogno
del vostro aiuto,
della vostra preghiera,
del vostro sacrificio,
e per questo
umilissimamente
vi prega.
Un pensiero
alla Polonia “fedele”
Discorso 1978/2
5. E consentiteci
di aggiungere,
Fratelli e Figli
che ci ascoltate,
per l’amore
incancellabile
che portiamo
alla terra d’origine,
un distinto,
specialissimo saluto
sia a tutti
i concittadini
della nostra Polonia
“semper fidelis”,
sia ai nostri vescovi,
sacerdoti e fedeli
della Chiesa
di Cracovia:
è un saluto
nel quale
ricordi e affetti,
nostalgia e speranza
indissolubilmente
s’intrecciano.
In quest’ora,
per Noi
trepida e grave,
non possiamo
fare a meno
di rivolgere
con filiale
devozione
la nostra mente
alla Vergine Maria,
la quale sempre vive
ed opera come Madre
nel mistero di Cristo
e della Chiesa,
ripetendo
le dolci parole
“totus tuus”
che vent’anni
fa iscrivemmo
nel nostro cuore
e nel nostro stemma,
al momento
della nostra
Ordinazione
episcopale.
Discorso 1978/2
Né possiamo
fare a meno
di invocare
i Santi Apostoli
Pietro e Paolo
e, con essi,
tutti i Santi
e i Beati della
Chiesa universale.
In questo modo
vogliamo
tutti salutare:
vecchi, adulti,
giovani, fanciulli,
i bambini
appena nati,
nell’onda di quel
vivo sentimento
di paternità
che sta salendo
dal nostro cuore.
A tutti
rivolgiamo
l’augurio sincero
per quella crescita
“nella grazia
e nella conoscenza
del Signore nostro
e Salvatore
Gesù Cristo”,
che il principe
degli apostoli
auspicava
(2 Pt 3,18).
A tutti
impartiamo
la nostra
Benedizione
Apostolica,
che non solo
su di loro,
ma
sull’umanità intera
concili
un’abbondante
effusione
di doni del Padre
che è nei cieli!
Così sia.
Foto: Prima pagina de
“L’Osservatore Romano”
che ricorda il primo
radiomessaggio
“Urbi et Orbi” di
Giovanni Paolo II / ebay.it