Nazionalsocialismo

Nazionalsocialismo
Ecco come Stalin spinse Hitler sul trono

 

Non è un paradosso.
Gli storici spesso hanno chiuso un occhio.
E non hanno visto che l’opposizione
era solo dettata da ragioni contingenti.
Ma in fondo la loro cultura era la stessa.
Con questo intervento
Augusto Del Noce mette chiarezza

Nazionalsocialismo
Nel novembre 1946
il gesuita Padre Fessard
svolse

al primo
Congresso internazionale
di filosofia del dopoguerra,
tenuto a Roma,

una comunicazione sulla
«comune origine
di comunismo e di
nazionalsocialismo»

che poi ripubblicò,
ampliata,
nel libro del 1960
De l’actualité historique.

Scarsissima
fu l’eco di questa

che pure
deve essere considerata
come una
delle opere-chiave
per l’interpretazione
della storia contemporanea.

Passò
pressoché ignorata,
senza lodi
e senza stroncature,

anche nella cultura
a cui era
particolarmente
indirizzata,
la cattolica,

troppo occupata
nell’ascolto
e nel plauso dei
«mediatori ideologici»
con forme di pensiero
con essa non conciliabili.

Credo si debba vedere
nello sviluppo successivo
della storiografia sul nazismo,

soprattutto a partire
dal libro di Ernst Nolte
sul Fascismo
nella sua epoca (1963)

e da quello di Eberhard Jäckel
La concezione
del mondo di Hitler (1969)

l’inconsapevole riscoperta
e l’allargamento, e la conferma
con i dati documentari,
dell’ipotesi contenuta
nell’ignoratissimo
saggio di Fessard.

***

Nazionalsocialismo
Quali ne erano
i temi essenziali?

Il primo che,
al modo stesso
del marxismo,
il nazionalsocialismo
è una coerente
concezione del mondo.

Il secondo,
che tale concezione
è l’«esatto contrario»
del marxismo
e del comunismo.

Tutto qui?

Ma i giudizi valgono
per le abitudini mentali
che criticano e negano,

e se le si considera
sotto questo riguardo,
ci si accorge
che queste tesi,
semplici nella loro
apparenza letterale

avevano,
e soprattutto
continuano ad avere,
un valore dirompente.

La prima dice infatti
che l’interpretazione
della storia contemporanea
non può essere
che transpolitica,

nel senso
di accentuare
la priorità del
momento filosofico

(la «filosofia
che si fa mondo»
del giovane Marx,

smentendo
le interpretazioni
economicistiche
e sociologiche
correnti).

Nazionalsocialismo

Soprattutto,
per intenderne
la portata,
occorre
avere in mente
che negli anni ’50

faceva testo
la biografia di Hitler,
del resto pregevole
sotto vari aspetti,
scritta da
Alan Bullock.

Hitler vi veniva
rappresentato come
un opportunista
assolutamente
privo di principi

come
la personificazione
della volontà di potenza
nella forma
più rozza e ingenua,

tale da non poter
neppure mascherare
sotto principi morali
di apparenza universale
il suo fine

che altro non era che
la potenza e il dominio.

Ogni idea
non sarebbe stata
per lui che strumentale,

al servizio
di una sete di potere,
anzi di dominio
su tutto il mondo;

unita a una rabbia
distruggitrice,
a un odio implacabile
per coloro

che vengono
oscuramente sentiti
come superiori;

l’assenza totale
di scrupoli
venendo giustificata
dalla sottomissione
dell’ordine politico
alle leggi della natura,

ove si svolgono
confronti di forze
per cui vale
la legge della giungla.

Chi non ha letto,
o meglio non
continua a leggere
nella pubblicistica attuale,

le caratterizzazioni
di un Hitler
«psicopatico»,

o «piccolo borghese
giunto al fanatismo»
o strumento
«di capitalismo
al tramonto»,

dello «spirito
di conservazione
e di rivalsa della
vecchia Germania»

o espressione
di un oscuro «demone»
che travaglierebbe,
o almeno avrebbe
storicamente
travagliato la Germania?

Che i giudizi consueti
sull’hitlerismo
non oltrepassino
questo livello
non ci vuol molto
ad accorgersene.

Ora, l’idea di una
concezione barbarica
ma rigorosa e coerente,

toglie di mezzo
le interpretazioni
meramente
psicologiche
o sociologiche,

o quanto meno
serve a collocare
al loro giusto posto
quanto di vero
possono contenere.

Due dittatori uguali
e contrari

Nazionalsocialismo
Rispetto alla seconda,
dal dire il nazismo
è l’esatto contrario
del marxismo,

consegue
che il parallelo
deve essere fatto
tra comunismo
e nazismo,

piuttosto che
alla maniera ordinaria
tra fascismo e nazismo

(contro
l’opinione ordinaria
si deve dire
che il nazismo
non è l’estremizzazione
ultima del fascismo;

che c’è una razionalità
nella storia contemporanea

e che l’alleanza
col nazismo rappresentò
non soltanto la fine pratica,
ma anche quella ideale
del fascismo).

Ma che cosa
precisamente
si vuol dire
con l’asserzione

che deve essere presa
rigorosamente
alla lettera,

che il nazismo
sia stato
l’esatto contrario
del comunismo:

che riproduce
rovesciati,
con completa simmetria,
i caratteri
del comunismo,

cosa che
non si può dire
di alcun altro
movimento anticomunista,
e tanto meno del fascismo.

Sembra che
tra i movimenti storici
dal primo Ottocento
a oggi

il nazismo
realizzi pienamente
i caratteri di quella
«rivoluzione
in senso contrario»

in cui De Maistre
vedeva la forma
del tutto inadeguata
di reazione.

Possiamo tentare
di passare da ciò
a un tentativo
di definizione?

Penserei
alla seguente:

il nazismo è stato
il contraccolpo tedesco
dello scacco
che il marxismo
ha subito
con lo stalinismo.

***

Nazionalsocialismo
Certo, nessun marxista
avrebbe potuto prevedere

che il marxismo
si sarebbe
storicamente realizzato
attraverso
il populismo russo,

con segno
religiosamente opposto
ma pur sempre religioso;

sostituendo allo zarismo
un’altra
classe dominante

che, però, porta
i caratteri dello zarismo,
rispetto alle masse
slave dominate,
alle conseguenze
estreme.

L’apparente paradosso
svela la logica interna
di un sistema filosofico.

Stalin,
nella cui opera
spesso si vede
«la rivincita della
vecchia Russia»

è in realtà
colui che opera
la giuntura
tra il marxismo
e la tradizione russa,
continuando Lenin,

la cui rivoluzione
non sarebbe riuscita,

se non avesse,
già lui, accordato
l’idea della rivoluzione
liberatrice mondiale
con quella
del primato russo.

Con Stalin l’idea
della rivoluzione
liberatrice mondiale
cede rispetto a quella
del primato russo.

Si parli
finché si vuole di
«rivoluzione tradita»;

bisogna riconoscere
uno scacco
del marxismo
in Stalin,

perché l’idea
della rivoluzione
liberatrice mondiale
con lui si perde
senza poter più
risorgere;

resta però
che senza Stalin,
del comunismo
non resterebbe oggi
che un
lontano ricordo.

L’irrazionalismo
fuori luogo

Nazionalsocialismo
Torniamo ora
alla simmetria
tra comunismo
e nazismo.

Scrive perfettamente
il Fessard:

«Comunismo
e nazionalsocialismo
si oppongono
diametralmente,

così in quel
che concerne
il punto di partenza
della storia
come la sua fine:

per il primo
è il lavoro
e la creazione
della società
senza classi
e senza Stato;

la lotta a morte
e il dominio
del popolo
dei signori,
per il secondo.

Non si intendono
che nel mezzo
di condurre
la storia
al suo fine.

Per entrambi
è la lotta politica,
ma compresa
dall’uno come
rivolta degli schiavi
e rivoluzione,

dall’altro
come guerra nazionale
dei padroni
e pace vittoriosa».

(De l’actualité historique,
tomo 1, p. 141;
le sottolineature
sono nel testo).

Dove invece
il Fessard non persuade

è nel cercare l’origine
dell’opposizione
nel passo della
Fenomenologia
dello Spirito di Hegel

dedicato alla dialettica
del padrone
e dello schiavo.

Nella prova
che esso abbia esercitato
una particolare influenza
nella formazione
del pensiero di Marx,
che non lo cita mai;

certamente
di una qualsiasi influenza
del pensiero hegeliano
su Hitler

non si può parlare,
non certamente diretta,
ma neanche indiretta.

Non è che
Marx e Hitler
abbiano decomposto
la dialettica hegeliana
del Padrone
e dello Schiavo,

comprendendola
il primo
dal punto di vista
dello schiavo,

il secondo
dal punto di vista
del padrone.

Quel che invece
spiega storicamente
l’hitlerismo

è la sua subordinazione
al momento staliniano
della realizzazione
storica del marxismo,
caratterizzato
dal mutamento

per cui la rivoluzione
si risolve
nell’orientamento
dell’espansione
dei popoli dell’Est;

onde la paura
per l’estinzione
del germanesimo,
come dato primo
su cui il nazismo
si organizza.

Clifford K. Berryman, The Washington Star. 1939, Hitler e Stalin / commons.wikimedia.org

***

Nazionalsocialismo
Mi si permetta
di insistere
su questo punto:
quel che spiega
l’hitlerismo

non affatto
la continuazione,

portata
al punto ultimo
della linea
irrazionalistica
del pensiero tedesco,

o delle correnti
di pensiero
che si erano formate
nell’Ottocento

in termini
di critica negativa
della rivoluzione
francese

o dei movimenti
conservatori dell’Europa
delle due guerre
o dello stesso fascismo.

Per intenderlo
occorre isolarlo
nella sua opposizione,

che è insieme
subalternità
alla fase staliniana
del marxismo;

in questo isolamento
e in questa dipendenza

appaiono i tratti
di quella
organica concezione
del mondo,
a cui Hitler obbedisce,
piuttosto che servirsene.

Il difetto
del richiamo
al passo hegeliano
sta nel fatto

che esso non serve
a rendere ben conto
dell’aspetto
di dipendenza
del nazismo
rispetto al marxismo

(sembrano invece
essere posti
sullo stesso piano),

e, in più, rischia
di non spiegare
le simmetrie
nelle loro particolarità.

L’accentuazione
della dipendenza

(rispetto a cui
la sconfitta
sembra assumere un
significato simbolico)

porta a vedere
nel nazismo
un fenomeno
conseguente alla crisi,
irreversibile
e insuperabile,

che il marxismo
incontra
nel farsi storia.

Nazionalsocialismo

Rispetto
agli aspetti simmetrici,
brevemente.

Tutto avviene
nel nazismo
come se

criterio di verità
fosse la sostituzione
di una
categoria comunista
con
l’esattamente contraria,

tale però sempre
nello stesso orizzonte
materialistico
del marxismo.

Così alla classe
è sostituita la razza;
conseguentemente,
l’ebreo diventa
il portatore assoluto
del male.

L’unità sino
all’identificazione
di antimarxismo
e di antisemitismo
qualifica il nazismo.

***

Nazionalsocialismo
Nell’opinione
corrente nel primo
dopo-guerra

c’erano certamente
elementi che favorivano
questa persuasione:

l’origine ebraica
di Marx

e l’idea, diffusa
in quegli anni,
sulla preponderanza
degli ebrei tra i capi
del bolscevismo,

nonché la voce,
corrente allora,
che lo stesso Lenin
fosse ebreo.

Non sono tuttavia
argomenti che servano
a spiegare
l’antisemitismo nazista

nel suo carattere proprio,
irriducibile
ad altri antisemitismi
della storia;

per il nazismo
non si trattava soltanto
di una congiura
per il dominio mondiale

a cui la maggioranza
degli ebrei,
e degli ebrei potenti,
avrebbe partecipato;

gli ebrei erano colpevoli
per il loro essere
(per il loro «sangue»);

di cui le idee

– che nel loro risolversi
in forma pratica
rappresentavano
il pericolo mortale
per la Germania
e per l’Europa –

erano
l’espressione necessaria.

***

Nazionalsocialismo
Alla dimensione
del futuro
propria del marxismo

si oppone
il richiamo nazista
alla dimensione
del passato;

alla laicizzata
escatologia marxista
che pone
la società perfetta
alla fine dei tempi

corrisponde
il mito nazista
che la pone
prima della storia.

La rivoluzione nazista
sia pure nella forma
di rivoluzione
contro la rivoluzione,

aveva il fine
di realizzare
un «uomo nuovo»,

che avrebbe
dovuto corrispondere
al tipo arcaico,
mai finora realizzato
nella sua purezza,
dell’ariano.

Nazionalsocialismo

L’opposizione
dell’ariano
e dell’ebreo
prende anche la forma
dell’antitesi
di natura e antinatura

sul fondamento che
«solo l’uomo,
tra tutti gli esseri viventi,
cerca di trasgredire
alle leggi di natura».

Allo storicismo marxista
si oppone quindi
il più completo
naturalismo;

e forse questa
è la formula
più adeguata,

capace
di fare intendere
nel suo significato pieno
la stessa opposizione
di classe e di razza.

All’idea
di rivoluzione
si oppone
quella di guerra,
come
guerra assoluta;

guerra che risolve
in sé la politica,
e che perciò
non può presentarsi
che come
guerra di sterminio,

rinunciando
a ogni maschera
di «liberazione»
o di «crociata»;

privata così
di un’arma
che si sarebbe
rivelata preziosa

(lo pensa ad esempio,
lo stesso Solgenitzin)

nella guerra
contro
la Russia sovietica.

Si dovrebbe dire
che il rigore
della coerenza

portò il nazismo
a sacrificare
delle reali possibilità
di successo.

Lo portò anche
all’impossibilità
di contrarre
effettive alleanze.

***

Nazionalsocialismo
Anche
da questo rapido cenno

risulta come i tratti
che si sono
storicamente realizzati
fossero già predeterminati
nella concezione hitleriana.

Essa, formatasi
per negazione
e per antitesi,

spiega il destino
di distruzione
che gravava
sul nazismo,

distruzione
che in definitiva
lo coinvolse

(ed è perciò
che a differenza
di ogni altro
fenomeno storico,
nulla di esso
sopravvive);

se si può parlare
di un genio di Hitler,

si può soltanto farlo
– forse lo si deve –
in termini
di genio
della distruzione.

Il Fest (Hitler 1973),
che si è anche
soffermato
sul disperato
impulso suicida

da cui Hitler
fu accompagnato
lungo tutto l’arco
della sua esistenza,

ha osservato
giustamente
che in lui all’odio
che può
sembrare reazionario
per il bolscevismo

si accompagnò
quello rivoluzionario
per il vecchio mondo,

provato dall’assenza
di richiamo
ad alcuna precedente
età storica.

E cita
delle affermazioni
dell’ultimo Goebbels

così ricche
di significato
da meritare
di essere riportate
per esteso:

«In una
con i monumenti
della cultura,
crollano anche
gli ultimi ostacoli

che si opponevano
alla realizzazione
del nostro compito
rivoluzionario.

Adesso che tutto
è distrutto,
siamo costretti
a ricostruire l’Europa.

In passato,
la proprietà privata
ci ha imposto
atteggiamenti
di ritegno borghese;

ma adesso le bombe,
anziché sterminare
tutti gli europei,

non hanno fatto
che abbattere
le mura del carcere
che li tenevano
prigionieri…

Al nemico
che tentava
di annichilire
il futuro
dell’Europa,

è riuscita soltanto
la distruzione
del passato,

in tal modo
facendola finita
con tutto
il vecchiume
e il sorpassato».

E certamente
Goebbels ha ragione

perché le condizioni
storiche tedesche
furono definitivamente
travolte
nella rovina
del nazismo;

così il sistema
feudale e autocratico,
solo parzialmente
compromesso
dal trattato
di Versaglia.

Così avanzava
la sconfitta

Nazionalsocialismo

Si può dire
che si trovino
già iscritte
nell’essenza
del nazismo

il suo destino
di sconfitta,
la sua
necessaria ferocia,
la sua
condanna all’infamia.

Destino di sconfitta
perché, nato
dalla paura ossessiva
dell’estinzione
del germanesimo

a opera del colosso
bolscevico
e del cervello ebraico,

non poteva veder
che nemici ovunque;

e neppure si può dire
che Hitler si fidasse
completamente
dei tedeschi;

i veri ariani
erano soltanto la Ss
e la stessa Wehrmacht
era guardata
con sospetto.

Perché
l’azione di sterminio
non fu semplicemente
un’esplosione
di furore ma

– e qui appunto
è il massimo dell’orrore –

un «dovere» imposto
dalla concezione
nazista del mondo,

anche se,
per quel che pare,
come azione pratica
fosse tenuta
così rigorosamente
segreta

(all’infuori delle Ss
che fungevano,
a loro modo,
da «iniziati»),

da essere ignota
alla grandissima
maggioranza
del popolo tedesco
e alla Wehrmacht.

La ricerca
della coerenza organica
della concezione hitleriana,

se per un verso
restituisce
il nazismo
all’umanità,

come è compito
imprescindibile
dello storico

e, in questo caso,
di chi pensa
non sia possibile
fare oggi
una filosofia

e una politica serie
senza una
comprensione rigorosa
della storia
contemporanea,

significa per l’altro
l’irrevocabilità
di una condanna
senza possibile appello.

Né si può parlare
di una sua
sopravvivenza,
o possibile rinascita.

Il nazismo
è scomparso
in ragione
dell’obbligazione logica
da cui dipendeva;

non certo
per ragioni morali

– perché proprio
si è diffuso
come non mai

il principio
che qualsiasi atrocità
è giustificata
dal successo –

ma perché
aveva posto
nella forza
il suo criterio,

e la forza
si è pronunciata
altrimenti.

Nazionalsocialismo

Come la concezione
hitleriana riuscì
a ottenere
un consenso che

neppure la pressoché
assoluta certezza
della sconfitta
riuscì sostanzialmente
a incrinare?

Vi contribuì
la dissennata
politica culturale
della repubblica
di Weimar

volta ad abbassare
e ad infangare
i valori della tradizione
morale tedesca;

ma, soprattutto,
l’occasione decisiva
fu fornita,
a una Germania

già moralmente
dissestata,
dalle desolanti
condizioni economiche
successive
alla crisi del ’29

che la posero
davanti a una scelta
fra due
opposte rivoluzioni,
la comunista
e la nazista.

***

Nazionalsocialismo
Detto questo,
quale si può dire
sia stato

il vizio capitale
teorico iniziale
del nazismo,

quello di cui
gli altri errori
furono
le conseguenze?

Dobbiamo vederlo
nella forma
della sua opposizione
al marxismo.

È nozione comune
vedere nel marxismo
una continuazione
dell’hegelismo

separato
completamente
dal platonismo;

è in dipendenza
da ciò che
il giovane Marx
definisce l’uomo

come «un animale
che ha dei bisogni»,
materiali,
imperativi
e ineluttabili,

onde il primo
fatto storico

e la condizione
fondamentale
dell’intera storia
è la produzione
della vita materiale

(l’inizio della
«filosofia del fare»
opposta
alla metafisica
dell’essere).

Ora,
è proprio questo
antiplatonismo,

questo rifiuto
di quel che
qualche pensatore
ha chiamato
la «cattolicità naturale»
del pensiero classico

quel che
il nazismo condivide;

perciò costretto
a realizzare
quell’«esatto contrario»
del marxismo
di cui si è detto.

Nazionalsocialismo

Esempio, dunque,
non superabile
della cattiva
confutazione
del marxismo,

che tuttavia
serve a documentare
l’assenza di universalità.

Per concludere,
accennando
a un tema
che sarebbe
di estrema importanza
riprendere.

Negli ultimi mesi
di vita,
Simone Weil definì

quale avrebbe
dovuto essere
la domanda
morale essenziale
del dopoguerra:

«Con quale diritto
possiamo
condannare Hitler»?

(la condanna
della storia
evidentemente
non basta),

intendendo dire
che questa condanna
importava
una rivoluzione
intellettuale
e morale.

Si preferì battere
tutt’altra via,
eludendo completamente
questa domanda.

Augusto Del Noce, «Ecco
come Stalin spinse Hitler
sul trono», in “Il Sabato”,
26 marzo – 1 aprile 1983,
pp. 19-20.

Foto: George Grosz,
caricatura di Hitler /
en.wahooart.com

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