Yalta 1 – Canagliate a Yalta.
Ha 80 anni l’accordo che ha messo la museruola a mezza Europa
Come uscirne?
È una tranquilla cittadina della tiepida Crimea.
Dal 4 all’11 febbraio del ’45
vi si radunarono i rappresentanti dei tre grandi:
Usa, Urss e Gran Bretagna.
Dalla dichiarazione finale di quel summit
sembrò che il diritto dei popoli avesse vinto.
Nei fatti da quel giorno
una maledizione cadde su metà del Vecchio continente.
Ma è una maledizione senza ritorno?
Grandi esperti hanno risposto così.
Yalta 1 – In questi giorni a Mosca
si prepara
un inusuale passaggio di poteri.
Come già Kruscev
anche Cernenko
lascerebbe il palazzo del Cremlino
senza che per questo
debba seguire il suo funerale.
I cremlinologi,
studiosi di una dubbiosa scienza,
ci spiegheranno
il senso innovativo
della probabile successione.
Altri
la metteranno in collegamento
con l’apertura dei nuovi negoziati
il 12 marzo a Ginevra,
fra Usa e Urss.
E va bene.
Ma il dato di fatto,
banale nella sua monotonia,
rimane:
questo impero non cambia mai.
E da tanti anni
nonostante i sussulti
e i sommovimenti ciclici,
neppure la metà dell’Europa
che si trova ad Est
è riuscita a cambiare.
Yalta 1
Un maledetto affare,
per usare l’espressione di Churchill,
messo a punto
nel giro di una settimana,
dal 4 all’11 febbraio del 1945,
a Yalta.
Li i tre grandi rappresentanti
di Usa, Urss e Gran Bretagna
si spartirono l’Europa.
Questa almeno
è l’idea più diffusa su Yalta.
In realtà in quella
tranquilla cittadina della Crimea
le cose non andarono
proprio così.
In un certo senso a Yalta
i due leader occidentali,
Churchill e Roosevelt,
tentarono un contenimento
delle pretese di Stalin
sull’Europa orientale.
Nella dichiarazione finale
dell’accordo viene proclamato
«il diritto di tutti i popoli
a scegliere quella forma di governo
sotto la quale intendono vivere».
Yalta come luogo della spartizione
del mondo
è più un mito che una realtà.
***
Yalta 1 – Eppure,
a dispetto della verità storica,
quel mito è divenuto
via via
la verità politica
del nostro tempo.
Il contenimento
tentato dagli occidentali
nei confronti dei sovietici
è diventato un cedimento.
È difficile dire oggi
se Churchill e Roosevelt
furono più cinici che ingenui.
In ogni caso
erano già rassegnati al peggio.
Una canagliata,
commentò Gaetano Salvemini.
Una maledizione ineluttabile
che segna
col suo marchio infame
le tragiche scansioni
dei quarant’anni d’Europa:
1953, insurrezione operaia
a Berlino est;
1956, rivoluzione popolare
a Budapest;
1968, primavera di Praga;
1970, sciopero a Danzica;
1980-’81, nascita e fine
di Solidarnosc.
L’ombra inquietante di Yalta
si allunga
su ognuna di queste date.
E come un triste rito,
dopo ogni repressione
nei Paesi dell’Est,
si torna a parlare
di quella storica Conferenza
in Crimea.
***
Yalta 1 – Dopo che
il 21 agosto del ’68
i carri armati sovietici
entrarono a Praga
per soffocare
il riformismo di Dubcek
la polemica su Yalta fu tale
che il dipartimento
di Stato americano
si sentì in dovere di dichiarare
che «il governo degli Stati Uniti
non ha mai concluso con alcuno
accordi o intese
riguardanti sfere d’influenza».
È quel che si suol dire
una smentita ufficiale.
Ognuno si può immaginare
il giubilo
con cui i cecoslovacchi
appresero della smentita,
mente dalle vie di Praga
saliva il rumore
dei cingolati dell’Armata rossa.
Incurante delle dichiarazioni
della Casa Bianca
il Cremlino avanzò
la famosa teoria Breznev
della sovranità limitata.
Ancor più cinicamente,
subito dopo la proclamazione
dello stato di guerra
a Varsavia
il 13 dicembre ’81,
l’agenzia sovietica Tass
ricordò che a Yalta
l’Europa fu divisa
in due sfere d’influenza.
Guai a metterla in discussione.
***
Yalta 1 – Ne prese atto
il cancelliere tedesco
Helmut Schmidt
il quale,
sempre in riferimento
al golpe di Jaruzelski in Polonia,
dichiarò in un’intervista
al New York Times:
«Al di là delle deplorazioni
l’Occidente ha accettato
che i Paesi dell’Europa dell’Est
siano sotto il controllo sovietico».
Gli rispose indirettamente
il presidente francese Mitterrand:
«Tutto ciò che consentirà
il superamento di Yalta
sarà bene.
È impossibile
che le due superpotenze
coesistano sulla base
della visione dell’Europa
di quarant’anni fa».
Il tentativo
di sortir de Yalta,
ossia di uscire
dalla logica di spartizione,
è vecchio
quanto Yalta stessa.
Il frutto maturo,
e forse già appassito,
di tutti questi tentativi
si chiama distensione.
Già De Gaulle
negli anni Settanta
cercò di superare
la rigida contrapposizione
dei due blocchi
avviando rapporti privilegiati
con Mosca.
Al di fuori
del confronto Est-Ovest
l’Europa
avrebbe dovuto riscoprire
la sua unità,
dall’Atlantico agli Urali.
Ma politicamente
fu un azzardo
che diede risultati opposti
a quelli sperati.
Yalta 1
Negli anni Settanta
fu la volta di Brandt
e della Ostpolitik.
La conferenza pan-europea
di Helsinki,
trent’anni dopo Yalta,
fu il vertice
del processo distensivo.
Vi si ribadiva,
accanto alla legittimità
delle frontiere uscite
dalla Seconda guerra mondiale,
il rispetto
dei diritti fondamentali
dell’uomo e dei popoli
alla libertà, e all’autogoverno.
L’Unione Sovietica
veniva riconosciuta
nelle sue esigenze
di sicurezza
(confini inviolabili)
e nello stesso tempo
la si costringeva a riconoscere
le esigenze di libertà
(diritti umani inviolabili).
Ma a dieci anni da Helsinki
la logica di Yalta trionfa ancora:
l’equivoco
su cui giocò l’Urss
tanti anni fa
è ancora lo stesso di oggi.
***
Yalta 1 – Per Mosca
le garanzie di sicurezza
(che i leader del Cremlino
ricordano sempre
con terribile monotonia
ad ogni visitatore straniero di rango)
si confondono e si identificano
con il potere del partito,
sostenuto dall’esercito
e mantenuto dalla polizia.
È un dato di fatto:
l’Armata rossa
ha sempre difeso le frontiere
reprimendo i popoli.
Stalin,
il dittatore che aveva il pregio
di dire chiaramente
certe brutali convinzioni politiche,
confidò una volta
allo jugoslavo Milovan Gilas:
«Ogni esercito
si porta dietro
le proprie idee».
Quelle portate dall’Armata rossa
le chiarì lo stesso Stalin
durante la conferenza
di Potsdam nell’estate del ’45:
«Un governo eletto liberamente
da un Paese dell’Est Europa
sarebbe un governo antisovietico;
e questo non possiamo permetterlo».
La diplomazia a Yalta
non fece altro
che piegarsi al dato di fatto
dell’avanzata militare sovietica
in Europa.
I regimi totalitari impiantati
nella metà del continente
ne sono il corollario.
Yalta 1
Siamo dunque condannati a Yalta
per l’eternità?
Una simile prospettiva
urta la coscienza
e la dignità degli uomini liberi.
Non resta altro
che gridare la verità
dolorosa e scomoda
di questa situazione,
come ha fatto Giovanni Paolo II
nel gennaio ’82,
proprio in riferimento a Yalta:
«Il fatto delle ripartizioni
in sfere d’egemonia,
che hanno potuto avere
la loro origine in situazioni
particolari e contingenti,
non dovrebbe giustificare
il loro persistere,
tanto più
se esse tendono
a limitare l’altrui sovranità».
A quarant’anni da Yalta,
e a dieci da Helsinki,
non si può dimenticare
che siamo anche a cinque anni
dalla nascita di Solidarnosc.
Nonostante gli eserciti,
oltre la diplomazia,
l’Europa dei popoli
continua a vivere.
Luigi Geninazzi, «Canagliate a Yalta»,
in “Il Sabato” 9 – 15 febbraio 1985, p. 11.
Foto: Yalta, da sinistra a destra,
Winston Churchill,
Franklin Delano Roosevelt e
Iosif Stalin /
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