Boys and girls running towards ball

Differenza tra sport e gioco

Differenza tra sport e gioco
Quella tortura chiamata calcetto

 

La differenza
tra fare sport e giocare.
Includendo tutti

Differenza tra sport e gioco – All’età di otto anni
scoprii di avere i piedi a banana.
Fino a quel giorno avevo vissuto
nella placida inconsapevolezza
di questo deficit fisico,

ma un bel pomeriggio
mi venne sbattuto in faccia
su un campetto da calcio.

Stavamo giocando a tedesca:
si tratta di passarsi la palla
e fare gol al volo,
così il portiere
avrebbe perso una vita.

Chi faceva uscire la palla
diventava a sua volta portiere.

Era un gioco
al di sopra delle mie possibilità,
io non giocavo a calcio.

Facevo nuoto,
e malvolentieri, perché
non ero esattamente un fuscello,
e mi vergognavo molto
di farmi vedere in costume.

Insomma
uno che giocava con me
mi passò la palla,
me la passò proprio bene,
con una parabola controllata,
lenta.

Solo un piede a banana
poteva sbagliare un tiro così.

Lo sbagliai,
e a quel punto
la diagnosi fu lapidaria.

Differenza tra sport e gioco

La gran parte dei miei amici
giocava a calcio.

Avevano gli allenamenti
durante la settimana,
un borsone con i colori
della squadra parrocchiale,
e al sabato o alla domenica
avevano la partita.

Io non condividevo
quelle esperienze,
mi dovevo far bastare
le vasche in piscina,

per il resto mia madre
aveva le idee chiare:
Te ga da studiar,
no sta pensar al calcio.

Sulla carta
il ragionamento era facile,
il nostro compito
era andare bene a scuola.

Ma poi nella pratica
le cose erano diverse,
perché chi,
come me,
andava bene a scuola,

di solito andava male,
anzi malissimo, altrove,
soprattutto negli sport
e con le compagne di classe.

Quando mi resi conto
che prendere bei voti
non ti rende per niente affascinante,
avrei voluto cambiare,
ma ormai era tardi.

***

Differenza tra sport e gioco – I
campi sportivi,
poco importa
che si parlasse di calcio,
basket, atletica,
rimasero per me campi minati.

Alle medie
il mio voto in Ginnastica
si aggirava attorno
a un miserevole
«non del tutto sufficiente».

Un voto
tanto lungo da scrivere
quanto insulso:
non ero nemmeno capace
di andare davvero male!

La materia
che quasi tutti i miei compagni
attendevano con gioia
a me provocava la nausea,

perché non sapevo fare le capriole,
ero sempre tra gli ultimi
nelle gare di resistenza,

mi vergognavo quando si trattava
di fare un esercizio
(alla cavallina o ai quadri svedesi)
di fronte ai compagni e alle compagne.

Va da sé,
quando alla domenica
giocavamo a calcio nel campetto,
ero sempre tra gli ultimi
a essere scelto,

e il mio ruolo designato
era il portiere,
al massimo il difensore:
il diritto del gol
spettava ad altri.

Per carità,
poi questa cosa passò,
ma lasciò un segno.

Differenza tra sport e gioco

Questo segno però
sarebbe stato ben più profondo
se, nel frattempo,
non avessi incontrato
l’Azione cattolica ragazzi.

Per molti anni fu per me
uno spazio “altro”
dagli amici di scuola
e dagli amici del campetto.

I primi non venivano in parrocchia,
i secondi, come ho detto,
giocavano a sport seri,
al sabato avevano altro da fare.

Però in quei momenti
ho avuto modo di respirare
un’aria diversa, che,
me ne sono reso conto
anni dopo,
mi ha salvato.

All’Acr
non ci facevano fare sport,
ci facevano giocare.

E c’erano delle regole
che stavano al di sopra
delle regole stesse del gioco,
ad esempio «far giocare tutti».

Non c’era un allenatore,
c’erano degli animatori
che non ti sgridavano,
come faceva il prof di ginnastica,
quando sbagliavamo i tiri.

***

Differenza tra sport e gioco – Insomma,
a scuola bisognava studiare
per prendere bei voti,
a nuoto bisognava nuotare bene
per prendere il brevetto,

pure al catechismo
bisognava stare attenti
perché sennò
non ti facevano fare
la Prima Comunione.

All’Acr invece
l’ansia da prestazione
poteva finalmente
restare fuori dalla porta,

ed è forse per questo
che mi sono da subito
trovato bene in quell’ambiente,
al punto da maturare
presto il desiderio
di diventare animatore.

Al contrario,
non ho mai sviluppato
senso agonistico.

Diciamo che quello
che vedevo e sentivo
quando seguivo
le partite dei miei amici
non mi aiutava.

Pareva ogni volta
una finale di campionato,

si respirava una tensione
che trovavo
del tutto fuori misura
rispetto a quello
che si stava facendo.

Un mio amico
ha giocato a calcio
per cinque anni,
e il mister
(lo chiamava così)

lo metteva dentro
solo se la squadra
stava vincendo per tre a zero,
e sempre
negli ultimi quindici minuti.

***

Differenza tra sport e gioco – La cosa
che mi stupiva di più
è che questo amico lo giustificava.
«La squadra deve vincere»,
diceva,
«e io mi devo allenare di più».

Dopo il quinto anno di panchina
ha mollato.

All’epoca
queste cose non le capivo,
o le avvertivo in modo confuso,
e talvolta mi pareva
che andare all’Acr

fosse un ripiego
per chi, come me,
aveva i piedi a banana,
o il fiato corto,
o gli occhiali grossi.

In effetti
c’erano dei segnali
che andavano in questa direzione:

per fare calcio
la gente pagava,
l’Acr era gratis;
loro avevano le divise
e il borsone,
noi niente.

Avevano
una marea di palloni di cuoio
seri, belli gonfi.

All’Acr avevamo
un unico pallone
di gommapiuma rosso,
che aveva l’unico pregio
di non farti male
quando te lo pigliavi sul naso.

***

Differenza tra sport e gioco – Insomma,
mi pareva abbastanza ovvio
che il mondo premiasse
quelli del calcio
e lasciasse in disparte
quelli dell’Acr…

E allora
perché mi piaceva andarci,
e perché ci sono rimasto per anni,
prima da animato
e poi da animatore?

Potrà sembrare semplicistico,
ma mi piaceva il modo
in cui si stava assieme.
Senza voti, senza giudizi.

E senza paura
di avere i piedi a banana
o le mani di ricotta.

Era un mondo alla rovescia,
che ci mostrava
che in qualche modo,
approssimativo, semplice,
magari banale,

quelle cose
che ci sentivamo raccontare
in chiesa e al catechismo,
e che altrove ci parevano
delle balle belle e buone,
lì potevano avere un qualche senso.

Differenza tra sport e gioco

C’era una bambina
che non parlava,
si muoveva male,

sua mamma la portava lì
con noi all’Acr
e poi non se ne andava,
si sedeva su una panchina
ad aspettare
che avessimo finito di giocare,
per poi riportarla a casa.

Ora questa bambina
era davvero negata
per ogni gioco,

rispetto a lei
anch’io assumevo
tratti quasi atletici,
e me ne rendevo conto.

Inutile dire che,
secondo le regole
di quel mister di prima,
la bambina avrebbe passato
la sua vita in panchina.

E a scuola
con ogni probabilità
aveva l’insegnante di sostegno,
o non faceva ginnastica,
oppure lì aveva voti pessimi.

Invece all’Acr sapevamo che,
quando si trattava
di fare le squadre,
uno dei due capitani
sarebbe stata lei.

***

Differenza tra sport e gioco – All’epoca
accettavo la cosa,
senza capirla del tutto,

oggi credo
che gli animatori facessero così
perché la bambina
non fosse scelta per ultima.

Era poi lei
che iniziava la partita.

Teneva il pallone di gommapiuma,
lo lanciava in modo ridicolo,
ma noi
le dicevamo comunque “brava”,

e quando sono cresciuto
mi sono reso conto
che lo era per davvero,
brava,

molto più di me
e forse molto più
dei miei compagni calciatori.

Cose che mi ha dato l’Acr,
e che porto con me oggi
che faccio l’insegnante,

e cerco di far vivere la scuola
come un luogo di incontro
e non di giudizio e paura.

Mica facile.

Ma l’importante nella vita
è tentare,
anche se hai i piedi a banana

e, quando calci il pallone,
questo va sempre a finire
da un’altra parte
rispetto alle tue aspettative.

Paolo Malaguti, «Quella tortura
chiamata calcetto», in
“L’Osservatore Romano”,
sabato 10 febbraio 2024, p. 8.

Foto: La differenza
tra sport e gioco /
acquavivacanzi.it

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