Mali di Roma /3 – Una giornata all’Idroscalo
nel borgo nato negli anni Settanta
Il parroco don Fabio Vallini
racconta disagi e progetti
di una comunità maltrattata
e dimenticata
Mali di Roma /3 – Sono fermo
a pochi passi di distanza
da una chiesina.
Siamo in via della Carlinga,
all’Idroscalo di Ostia, Roma.
Alla mia sinistra,
vedo barche
che beccheggiano nell’acqua
della foce del Tevere;
alla mia destra,
oltre le prime file di abitazioni,
se si fa silenzio,
si può sentire il mare:
c’è la spiaggia del film
di Paola Cortellesi,
“Come un gatto in tangenziale”.
Don Fabio Vallini,
toscano, classe 1955,
mi viene incontro
da un cancello laterale,
pulendosi le mani
con uno strofinaccio.
Ha appena finito
la giornata di lavoro nel piccolo
laboratorio artigianale
dell’associazione “La Rada”:
«Credo molto
nel valore del lavoro.
E qui ci sono tanti
che non fanno niente,
o perché
non trovano un’occupazione
o perché
sono agli arresti domiciliari.
Ci siamo inventati
dei lavori artigianali
da fare insieme.
Vendiamo i prodotti
nei mercatini.
E alla gente
l’idea è piaciuta».
Mali di Roma /3
Mi accompagna
dentro una stanza
essenziale e accogliente,
appoggiata alla chiesina.
Per prima cosa
gli chiedo com’è Roma
vista da lì
e come la vede la gente
dell’Idroscalo:
«Non si sentono a Roma.
Roma è una perfetta sconosciuta.
Non è come stare
a Corviale o a Bastogi,
per parlare di periferie
che conosco.
Non c’è grande percezione
della città, se non vista
dal punto di vista istituzionale.
E il Comune per noi
è qualcosa
da cui stare in guardia.
Soprattutto dopo quello
che ci è successo».
Don Fabio si riferisce
alle demolizioni
ordinate nel 2010.
Un’operazione tenuta segreta,
scoperta sui giornali,
e poi realizzata con metodi
che il sacerdote definisce disumani.
«Fino a quel momento
tentativi di collaborazione
c’erano.
Noi qui si era ancora
abbastanza agli inizi.
Ma avevamo già
un progetto serio di recupero
e normalizzazione della zona.
C’era un’attitudine positiva.
Ma le demolizioni
ci hanno preso alla sprovvista».
Il borgo
e la comunità dell’Idroscalo
si cominciano a formare
nel secondo Dopoguerra.
Nel tempo la linea
della pubblica amministrazione
è stata ondivaga:
da chi ha sostenuto
l’assoluta inabitabilità del luogo,
a chi ha dato i nomi alle strade
con tanto di numeri civici,
o ha fatto arrivare acqua e luce.
«Una gran confusione»,
chiosa don Fabio.
***
Mali di Roma /3 – E poi
quell’ordine di demolizione
del 2010:
«Ovvio,
qui siamo tutti “abusivi”,
ma la motivazione vera
ancora oggi
non è ancora chiara».
Alla fine,
dopo animate trattative
letteralmente sul filo
dei centimetri,
si tirò un segno
su una mappa
e arrivarono all’Idroscalo
600 agenti di polizia
in tenuta antisommossa:
«Elicotteri, navi…
sembrava una guerra
Buttarono già tutto,
spargendo oggetti e mobilio.
Ma nessuno aveva avvertito
i servizi sociali,
non c’erano ambulanze,
con la gente che si sentiva male».
Trenta famiglie persero la casa
e furono dirottate “provvisoriamente”
in un residence sull’Ardeatina.
Ma sono ancora lì.
Sarebbe probabilmente
costato meno
trovare case in affitto
a Ostia Nuova,
qui a due passi.
Nonostante tutto
la comunità resiste con dignità
e guarda al futuro.
C’è un nuovo progetto:
«Saremmo d’accordo
con una diminuzione
delle presenze.
Il sindaco Raggi
aveva avuto
un finanziamento europeo
per costruire
degli appartamenti per noi,
ma ancora quei fondi
non si vedono.
100 famiglie sarebbero disponibili
a trasferirsi nella zona
dell’ex campo Morandi,
a Ostia Nuova,
e per i rimanenti
si può riorganizzare il territorio
con un borgo
un po’ meno esteso,
lasciando più spazio al fiume;
e diventare noi i custodi
– e non i proprietari –
della foce.
Facendo anche
un servizio di accoglienza
per chi viene».
Mali di Roma /3
L’accoglienza
è una delle caratteristiche
di questa comunità,
da sempre:
«Chi è venuto
per qualsiasi motivo
è sempre stato accolto
senza pregiudizi.
E questo anche
verso chi viene da fuori
ogni tanto a visitarci,
a vedere, a capire».
Lo si può constatare
anche dalla forma
della messa domenicale.
«Quello che
abbiamo cercato di fare
è tradurre tante esperienze religiose
– come novene e processioni –
in ascolto e condivisione
della Parola.
Così emerge
la freschezza del Vangelo,
anche da persone
di religioni diverse.
Qui
nella comunità dell’Idroscalo
non ci sono barriere religiose».
La cappellina dell’Idroscalo
è da anni
un riferimento per la comunità.
***
Mali di Roma /3 – È stata costruita
negli anni ’70 dalla gente,
intorno alla storia
di un’antica statua lignea
della Madonna,
che le persone considerano miracolosa.
Si dice che
per portarla a termine
ci sia stata anche la mano
di santa Teresa di Calcutta
in persona,
che da queste parti
veniva per occuparsi
di alcune delle sue suore,
intervenuta con vigore
per superare un contrasto
nella comunità.
Per anni
hanno cercato un prete
che si occupasse
di quella chiesina
e quindi di loro.
Don Fabio è qui dal 2003:
«La gente
mi ha sempre accettato
e ho sempre partecipato a tutto.
Perché io mi sento parte,
prima di tutto».
La vicina parrocchia
di Ostia Nuova,
San Vincenzo de’ Paoli,
ha curato a lungo la cappellina,
ma non poteva garantire
una presenza fissa.
Don Nicola Barra,
prete operaio
e parroco lì per anni
ci teneva molto.
«Io avevo conosciuto Idroscalo
già da quando ero a Corviale.
Ma la situazione qui
dopo la morte di don Barra
era diventata difficile.
C’era una coppia di sposi
che curava la cappella:
Marco e Maria ci fecero vedere
la Chiesa e le stanze,
e per l’esperienza
che avevano già fatto
sembrò facile iniziare».
Mali di Roma /3
Don Fabio Vallini fa parte
della Fraternità dell’Incarnazione,
nata a Firenze
nei primi anni ’60
grazie all’intuizione
di don Mario Cosmi.
Egli aveva già capito
che dalla parrocchia,
per dargli nuova vita,
bisognava uscire:
sacerdoti, religiosi, laici
e coppie consacrate insieme,
andando nei quartieri
e nei luoghi più problematici.
«Si voleva unire,
diciamo così,
Marta e Maria;
e trasformare tante attività
per in uno stare con,
un condividere la vita
con la gente.
Un monastero in uscita,
per parafrasare il Papa».
Una delle caratteristiche
della Fraternità dell’Incarnazione
è quella di vivere di lavoro,
dell’aiuto spontaneo della gente,
e di abitare in case
in tutto simili
alle più povere dell’ambiente,
e non di proprietà.
Un’esperienza ecclesiale
“di nicchia”
si potrebbe dire, nascosta
come è nascosto l’Idroscalo
agli occhi di Roma
e dei romani.
«Ma a noi
non fa problema.
Ci sentiamo bene
in questo modo.
Non cerchiamo né numeri
né riconoscimenti».
***
Mali di Roma /3 – Chiedo infine
a don Fabio un episodio
che possa aiutare a dare
un’idea della sua esperienza:
«Potrei elencare
una sfilza di fallimenti.
Nella nostra storia
ce ne sono stati tanti.
È la vita,
la quotidianità di tutti.
E poi ci sono le cose belle,
anche molto belle.
Il Signore
parla veramente e agisce
attraverso le persone più semplici
e sconclusionate.
Ogni giorno
arriva quella briciola
che serve
per vivere quel giorno.
E viene da loro».
Nel frattempo
s’è fatto buio.
Una donna
si affaccia in casa
direttamente dall’auto
e passa un fagotto caldo.
Ha preparato qualcosa
per la cena di don Fabio.
Lo saluto.
Mi allontano
in una strada sterrata,
piena di buche.
Un giovane mi incrocia.
Sullo sfondo, la spiaggia.
È finita un’altra giornata
all’Idroscalo di Ostia.
Simone Sereni,
«Una giornata all’Idroscalo
nel borgo nato negli anni Settanta»,
in “L’Osservatore Romano”,
sabato 10 febbraio 2024, pp. 6-7.
Foto: Chiesetta all’Idroscalo di Roma/
osservatoreromano.va