Sudan 3

Sudan 3 – Una crisi che rischia di incendiare i Paesi fragili dell’Africa

 

Intervista con l’arcivescovo
Luis Miguel Muñoz Cárdaba,
fino a pochi giorni fa
nunzio apostolico in Sudan

Sudan 3 – Da quel sabato di metà aprile
dello scorso anno, quando Khartoum
si è svegliata sotto il fuoco incrociato
delle fazioni in lotta,
la situazione è precipitata
in varie parti del Sudan.

Ricorda bene quei terribili giorni
nella capitale sudanese l’arcivescovo
Luis Miguel Muñoz Cárdaba,
fino a poco fa nunzio apostolico
in Sudan ed Eritrea
(ora nominato in Mozambico),

che in un’intervista
ai media vaticani
analizza le cause profonde
di questa guerra.

Sudan 3

Il Sudan, da quasi 10 mesi,
è alle prese con un sanguinoso conflitto
che sta causando numeri impressionanti
di vittime e sfollati.

Quali sono le aree
più coinvolte nelle ostilità
e c’è preoccupazione
per un ulteriore allargamento
di questa guerra ?

Il conflitto armato provocato
dalla rivalità tra i due generali,
Abdel Fattah Al-Burhan che guida
l’esercito regolare sudanese (Saf)

e Mohamed Hamdan Dagalo “Hemedti”
a capo dei paramilitari
delle Forze di supporto rapido (Rsf),
ha gettato il Sudan in un caos
le cui conseguenze
dureranno per molti anni.

Mentre i combattimenti sono
particolarmente cruenti
nella capitale Khartoum e nelle regioni
del Darfur – con massacri che ricordano
il terribile genocidio degli anni 2003-2005 –
del Kordofan e di Gezira,

il resto del territorio sudanese
sotto il controllo dall’esercito regolare
gode di una calma relativa.

Ma la guerra in Sudan
preoccupa la regione
del Corno d’Africa,
che ne subisce le conseguenze,

con il rischio concreto di sprofondare
in una lunga crisi umanitaria
con gravi ripercussioni geopolitiche.

Prima del conflitto, il Sudan
ospitava oltre 1,1 milione
di rifugiati stranieri,
tra questi 800.000 sud sudanesi
e numerosi eritrei ed etiopi.

Il Sudan era quindi uno
dei principali Paesi di accoglienza
dei rifugiati in Africa.

Oggi le dinamiche sono opposte
e c’è pertanto il rischio
che la guerra sudanese
possa incendiare i Paesi vicini,
in particolare il fragile Sud Sudan,
ma anche il Ciad e altri.

***

Sudan 3 – Il Darfur, a circa 20 anni
dalle atrocità dei primi anni Duemila,
è tornato scenario
di gravi violenze e crimini.
Quale è la situazione nell’area?

La guerra ha riacceso
le tensioni etniche,
provocando scontri
tra combattenti tribali e milizie,
soprattutto nel Darfur

(che ha una popolazione
di circa 6 milioni di abitanti,
quasi tutti musulmani, e un territorio
di poco più piccolo della Spagna),

facendo precipitare
pericolosamente questa regione
in una nuova guerra civile tribale.

La situazione attuale può essere ricondotta
al lungo conflitto vissuto nel Darfur
per l’accesso alla terra e all’acqua
tra la maggioranza della popolazione
di razza africana nera,
composta da tribù sedentarie,

e la minoranza nomade
originaria della penisola arabica,
che invece costituisce maggioranza
nel resto del Sudan.

L’attuale guerra
scoppiata il 15 aprile 2023
si è aggravata dopo che
due formazioni armate del Darfur,
finora rimaste neutrali,

hanno dichiarato di essersi schierate
con l’esercito regolare contro i paramilitari
accusandoli di aver commesso atrocità.

Bisogna inoltre ricordare
che molti membri delle Rsf
sono originari del Darfur.

Sudan 3

Gli sforzi di mediazione
tra le parti in lotta sembrano
non avere successo.

Chi può portare avanti
una mediazione efficace
e ci sono spazi su cui lavorare
per far tornare a parlare la diplomazia?

Finora tutti gli sforzi
e i tentativi di mediazione per trovare
una via d’uscita dal conflitto
sono risultati infruttuosi.

Anche le conversazioni
tra rappresentanti
delle due fazioni opposte,

tenute più volte
nella città saudita di Jeddah
con il sostegno dell’Arabia Saudita
e degli Stati Uniti, sono fallite.

Infatti, nessuno
dei due generali belligeranti
ha rispettato le tregue concordate
per l’apertura di corridoi umanitari.

Entrambe le parti
si accusano a vicenda
di queste ripetute violazioni
del cessate il fuoco.

In più, nello scorso dicembre
il Consiglio di sicurezza dell’Onu
ha deciso di porre fine all’Unitams,
la Missione integrata delle Nazioni Unite
di assistenza alla transizione in Sudan,

la cui attività
è sempre stata guardata male
e ostacolata dai militari,
che la consideravano un’ingerenza
negli affari interni sudanesi.

Questa riduzione
della presenza internazionale in Sudan
potrebbe tristemente facilitare
la commissione di nuovi crimini
contro la popolazione civile.

***

Sudan 3 – Le due fazioni in lotta
hanno esternato degli obiettivi chiari
che possono essere una base
per iniziare a ragionare su possibili
soluzioni politico diplomatiche?

Il conflitto
scoppiato in Sudan
è solo la continuazione
di una situazione politica instabile
dalla caduta del dittatore
Omar al-Bashir nel 2019.

Le forze e i gruppi armati
non hanno mai voluto cedere
il potere ai civili.

Attualmente sono i militari
e i paramilitari a contendersi
la guida del Paese, a scapito
del passaggio di potere ai civili.

Il dialogo tra i belligeranti
non è facile, anche se questa
è la strada da seguire.

Inoltre, la Comunità internazionale
dovrebbe lavorare di più per riportare
la pace nel Paese e rimetterlo
sulla strada della democrazia,
con il contributo e la partecipazione
dei sudanesi.

La via da percorrere è lunga
mentre il Paese continua a frantumarsi,
non solo perché i militari e i paramilitari
non sembrano per il momento
disposti a deporre le armi,

ma anche perché difficilmente
accetteranno di consegnare
la guida del Sudan ai civili
attraverso un nuovo processo
di transizione democratica.

C’è un elemento chiave
che non dovrebbe essere dimenticato:
non ci sarà pace
né transizione democratica
se la società civile
– compresi i numerosissimi giovani –

non sarà la vera protagonista
– e non i militari o i paramilitari –
del cambiamento politico
e della costruzione di un nuovo Sudan.

Sudan 3
Un campo profughi in Ciad (Photo by Abdulmonam Eassa / Getty Images) / ilpost.it

***

Sudan 3 – Il conflitto in Sudan sta causando
un numero impressionante di sfollati.
Quali sono le situazioni più difficili
e come si sta muovendo
la Santa Sede per aiutare?

Oltre all’elevatissimo numero di sfollati,
il conflitto ha complicato
la già precaria situazione sanitaria,
educativa ed economica del Sudan:

il 65% della popolazione
non ha accesso all’assistenza sanitaria;
il 75% degli ospedali
nelle aree colpite dal conflitto
non sono più funzionanti;

il numero di bambini
che non frequentano la scuola
raggiunge i 19 milioni;

almeno 10.400 scuole
sono state chiuse
nelle aree di guerra;

i bambini non scolarizzati
sono esposti al reclutamento
da parte di gruppi armati
e alla violenza sessuale.

Infatti, secondo l’Unicef il Sudan
è sul punto di diventare il Paese
con la peggiore crisi educativa al mondo.

Inoltre, la Banca Mondiale prevede
che l’economia sudanese subirà
una contrazione del 12,5% nel 2023
perché il conflitto ha distrutto
il capitale umano e la capacità dello Stato,
non solo ha fermato la produzione,

ma ha danneggiato la base industriale
e, in più, ha portato al collasso
dell’attività economica
e all’erosione della capacità dello Stato,

con impatti dannosi
sulla sicurezza alimentare
e sugli sfollamenti forzati.

Sudan 3

La fine del trentennale regime
di Omar Al-Bashir, nel 2019,
aveva alimentato le speranze
di una “rivoluzione” positiva per il Paese.

Cosa non ha funzionato
in questa “rivoluzione”
e quali sono le reali aspirazioni
del popolo sudanese?

Sono arrivato a Khartoum
nel 2020 in un momento di ottimismo
e di speranza per il futuro del Sudan,
grazie al processo
di transizione democratica

apertosi nell’estate del 2019
dopo la rivoluzione civica e la caduta
del regime militare islamista di al-Bashir,
che ha governato il Paese
con pugno di ferro per 30 anni.

Fin dall’inizio mi ha colpito
la diversa percezione
che molti stranieri presenti nel Pese,
soprattutto occidentali,

e i vescovi sudanesi
avevano di questo processo
di transizione politica.

Mentre i primi non nascondevano
il loro grande entusiasmo
affermando addirittura che il Sudan
sarebbe diventato un esempio
di apertura democratica
per l’intero Corno d’Africa,

i secondi si mostravano
molto più scettici sul futuro del Paese,
ricordando la storia recente del Sudan,
piena di colpi di Stato
e di governi dittatoriali.

Purtroppo, il passare del tempo
ha dato pienamente ragione
ai vescovi locali.

Nell’ottobre 2021 gli stessi generali
al-Burhan e “Hemedti”, ora in lotta,

guidarono un colpo di Stato,
deponendo il governo civile
del primo ministro Abdalla Hamdok
e aprendo a mesi di crisi politica,
sociale e istituzionale.

Tutte le residue speranze
sono poi state spazzate via
dal conflitto scoppiato
il 15 aprile 2023.

***

Sudan 3 – Per capire bene
le ragioni profonde della guerra
che oggi dissangua il Sudan,
bisogna tenere conto
anche di diverse cause:

l’impraticabile presenza
di due forze armate diverse (Saf e Rsf)
nello stesso Paese, il controllo
delle risorse naturali, soprattutto
delle miniere d’oro del Darfur;

l’affinità di alBurhan con diversi
alti membri dell’ufficialmente
sciolto partito islamista
National Congress Party

– al potere durante il regime
del deposto al-Bashir –
che non poteva piacere a “Hemedti”,
considerato un traditore dagli stessi islamisti;

infine, anche
il diverso sostegno internazionale
su cui i due rivali contano.

Sebbene non sia ancora chiaro
quale sia stata la “scintilla” concreta
che ha acceso il fuoco
tra le due forze armate rivali,

in ogni caso appare chiaro
il ruolo decisivo giocato
dalla minoranza islamista
nello scoppio della guerra.

Le aspirazioni del popolo sudanese,
soprattutto dei numerosi giovani,
sono le stesse di 4 anni fa,
che ispirarono
la Rivoluzione civica del 2019:

progresso, democrazia,
più libertà e giustizia,
ruolo attivo dei civili
nella vita politica ed economica.

È da qui che bisognerebbe ripartire.

Valerio Palombaro, «Una crisi che rischia
di incendiare i Paesi fragili dell’Africa»,
in “L’Osservatore Romano”,
sabato 10 febbraio 2024, p. 3.

Foto: Guerra in Sudan a Khartoum /
ilpost.it

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