Mt 28-16-20 – Ascensione del Signore – Anno A
Premessa
Mt 28-16-20 – Matteo non descrive
l’ascensione di Gesù
come fanno gli Atti degli Apostoli,
ma, servendosi di immagini diverse,
propone il medesimo messaggio.
Si tratta del brano finale del Vangelo
che porta il suo nome, ma molto importante
perché costituisce la “chiave interpretativa”
di tutto il Vangelo secondo Matteo.
In che senso? Lo vedremo passo passo
commentando il testo.
Pochi vv. prima del nostro brano,
il Risorto non appare subito a tutti i discepoli,
ma solo alle donne (cfr. Mt 28,9-10)
che dovranno dire loro
dove Gesù li vuole incontrare:
«Andate ad annunciare ai miei fratelli
che vadano in Galilea: là mi vedranno» (Mt 28,10).
«Gli Undici andarono in Galilea, sul monte
che Gesù aveva loro indicato» (v, 16)
Mt 28-16-20 – Quanto accade è descritto da Matteo
con la simbolica a cui il Vangelo
che porta il suo nome ci ha abituati.
Anzitutto «in Galilea»
Mt 28-16-20 – A differenza di Luca e Giovanni,
Matteo colloca l’incontro con il Risorto
non a Gerusalemme, ma in Galilea.
Questa ambientazione geografica
ha un valore teologico: Matteo vuole affermare
che la missione degli Apostoli inizia
là dov’era cominciata quella del loro Maestro.
La Galilea era un regione disprezzata.
A causa delle frequenti invasioni dal nord e dall’est,
era abitata da una popolazione eterogenea,
derivata da una mescolanza di razze.
Il profeta Isaia la designa come
«il territorio dei Gentili», cioè dei pagani (Is 9,1)
e i giudei ortodossi
la guardavano con sospetto e diffidenza.
E a Nicodemo, che timidamente cercava
di difendere Gesù, i farisei di Gerusalemme
obiettarono: «Studia e vedrai
che non sorge profeta dalla Galilea» (Gv 7,52).
È proprio a questi semipagani – vuol dire Matteo –
che ora è destinato il Vangelo.
Gerusalemme, la città che ha rifiutato
il Messia di Dio, ha perso il suo privilegio
di essere il centro spirituale di Gerusalemme.
In secondo luogo, l’incontro con il Risorto
avviene «sul monte» (v. 16)
Mt 28-16-20 – Commentando il Vangelo
della II Domenica di Quaresima (Anno A)
si è chiarito il significato biblico del monte:
è il luogo delle manifestazione di Dio.
Matteo impiega spesso l’immagine del monte:
colloca Gesù sul monte ogni volta
che fa o dice qualcosa di importante:
quando subisce l’ultima tentazione (Mt 4,8),
pronuncia le beatitudini (Mt 5,1),
moltiplica i pani (Mt 15,29), si manifesta
ad alcuni dei suoi trasfigurato (Mt 17,5).
Su un monte il diavolo voleva dare a Gesù
tutti i regni con la loro gloria, ora, invece,
da un monte Gesù dice che è il Padre
ad avergli dato ogni autorità e potere.
Dal monte aveva insegnato alla folla,
ed ecco che da un monte invia i suoi discepoli
ad insegnare le cose che ha comandato di osservare.
Su un monte il diavolo voleva essere adorato
da Gesù, e, invece ora, su un monte,
dopo tutte le prove ormai superate, è Gesù
ad essere adorato dai suoi discepoli
che si prostrano davanti a lui.
«Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi;
alcuni però dubitavano» (v. 17)
Mt 28-16-20 – L’annotazione che “alcuni degli Undici
ancora dubitavano” a prima vita, risulta sorprendente.
Se però teniamo presente che il Vangelo non è mai
un dato di cronaca pura e semplice, ma pagine
di catechesi, questo particolare risulta indicativo.
Per Matteo la comunità cristiana non è mai composta
da gente perfetta, ma da persone in cui continuano
a essere presenti il bene e il male, la luce e la tenebra.
Fa pensare la preghiera del padre del ragazzo epilettico
guarito da Gesù, nel Vangelo secondo Marco:
«Credo, aiutami nella mia incredulità!» (Mc 9,24).
«Gesù si avvicinò» (v. 18)
Mt 28-16-20 – Gesù non li rimprovera per la poca fede,
ma si fa vicino, quasi ad aiutarli
nella loro difficoltà di credere.
Il verbo “avvicinarsi” (greco, prosérchomai)
caratterizza non solo il lessico di Matteo
(52 occorrenze contro le 10 di Lc e le 5 di Mc),
ma anche la sua teologica.
Esso, da un lato, costituisce un continuo richiamo
e una continua attualizzazione
dell’annuncio iniziale del Vangelo:
Gesù è il «Dio con noi» (Mt 1,23),
ossia in Gesù Dio si rende presente
e si affianca all’uomo afflitto dall’ignoranza,
dalla malattia, dalla sofferenza, dal peccato;
dall’altro lato, diviene ponte di collegamento
con la promessa finale: «io sono con voi
tutti i giorni» (Mt 28,20).
«Disse loro: “Mi è stato dato ogni potere
in cielo e in terra”» (v. 18)
Mt 28-16-20 – Più di una volta
Matteo parla del «potere», cioè dell’«autorità»
con cui Gesù Cristo agisce e insegna.
Così, ad esempio,
al termine del discorso della montagna,
si dice che la gente rimase stupita
«perché egli insegnava loro come uno
che ha autorità e non come i loro scribi»
(Mt 7,29).
Più tardi, guarendo il paralitico,
Gesù rivendicherà a sé
«il potere di rimettere i peccati»,
suscitando di nuovo meraviglia
e «timore» nella folla (Mt 9,6-7).
Quasi al termine della sua vita,
dopo la cacciata dei venditori dal tempio,
i sacerdoti e gli anziani gli chiederanno:
«Con quale autorità fai questo?
Chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23).
Adesso Gesù svela da quale sorgente gli derivi
l’«autorità» che altri gli contestano:
gli deriva da Dio, come dimostra chiaramente
la formula passiva «mi è stato dato».
Gli studiosi lo chiamano “passivo divino”.
Si tratta di un uso frequente presso gli ebrei
i quali, per evitare il nome di Dio,
trasformano il verbo da attivo in passivo.
La frase sarebbe: «Dio mi ha dato».
Si tratta di un’autorità senza limiti,
né di spazio («in cielo e in terra»),
né di tempo («fino alla fine del mondo»).
«Andate, dunque,
e fate discepoli tutti i popoli» (v. 19)
Mt 28-16-20 – È precisamente in forza
di questa «autorità» che Gesù manda i suoi
ad «ammaestrare tutte le nazioni»,
volendo con ciò indicare l’umanità intera.
Il verbo reso con l’imperativo «ammaestrate»,
in realtà, secondo il testo greco, dovrebbe tradursi:
«fate discepole tutte le nazioni»,
letteralmente «le genti».
Compito principale che devono svolgere
i discepoli di Cristo nel mondo è, dunque,
quello di introdurre le donne e gli uomini
di ogni tempo in una determinata esperienza:
essere immersi nella stessa vita trinitaria di Dio
che è Padre, Figlio e Spirito Santo.
«Battezzandole nel nome
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (v. 19)
Mt 28-16-20 – Si osservi come il battesimo,
che potremmo quasi considerare come la base,
il fondamento del programma di vita
di ogni cristiano, sia posto in stretta relazione,
all’interno del comando di Gesù,
con il «fare discepoli».
Fermarsi al momento
della celebrazione sacramentale
della vita cristiana,
senza individuare un progetto educativo
coerente con quel fondamento,
si rivelerebbe un’attuazione parziale
e quindi insufficiente,
del programma di vita cristiana,
così come ce l’ha rivelato Gesù nel Vangelo.
«Insegnando loro ad osservare
tutto ciò che vi ho comandato» (v. 20)
Mt 28-16-20 – Cosa devono insegnare i discepoli?
I discepoli sono mandati a insegnare a obbedire
e osservare quanto Gesù ha loro comandato.
Per Matteo, l’essenza del Vangelo
è ciò che Gesù ha insegnato. Ecco, allora,
che organizza il Vangelo che porta il suo nome
su cinque grandi discorsi di Gesù,
nei quai è raccolto il suo insegnamento
(Mt 5-7; 10; 13; 18; 23-25).
Il tempo della Chiesa,
iniziato dopo l’ascensione di Gesù,
è il tempo dell’insegnamento
delle stesse cose che Gesù ha insegnato.
Il rischio è duplice: aggiungere cose
che Gesù non ha mai insegnato
ai suoi discepoli e imporle,
oppure togliere alcune parti
eccessivamente provocanti
per il nostro tran tran quotidiano
Ecco allora l’urgenza di tornare, o ritornare,
con tutto il cuore a una mai soddisfatta conoscenza
del contenuto delle pagine evangeliche.
«Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo» (v. 20)
Mt 28-16-20 – Poiché l’esercizio del mandato di Cristo
non è facile, Gesù garantisce la sua presenza.
Gesù, durante la sua vita terrena,
aveva indicato la strada da percorrere.
Ora, come Risorto, dà la forza per camminare.
Tale forza viene dalla sua presenza,
una presenza diversa da quella terrena,
ma reale ed efficace.
Foto: Luca Della Robbia,
Ascensione di Cristo, 1450 ca,
Sagrestia dei Canonici,
Santa Maria del Fiore, Firenze /
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