Vita nuova per il convento – La sfida ecclesiale
di un buon riutilizzo delle strutture dismesse dagli ordini religiosi
Si stima che nei prossimi 10 anni,
a causa del calo delle vocazioni,
chiuderà la metà delle case di frati e suore.
In mancanza di una strategia,
l’ingente patrimonio immobiliare
è destinato all’abbandono o a speculazioni.
E si sta anche perdendo tempo prezioso.
Per fortuna si fanno strada
interessanti progetti di riconversione
che permettono a queste strutture
di rimanere un patrimonio
a servizio della comunità…
Vita nuova – Monasteri, conventi, noviziati, studentati,
case di formazione o di esercizi spirituali.
Chiusi, abbandonati, svuotati.
Tasselli mancanti nella mappa ecclesiale
e comunitaria della penisola,
che cominciano a lasciare buchi evidenti.
Da qui a breve
si trasformeranno in voragini
difficili da ignorare:
entro 10 anni, dicono gli esperti,
assisteremo alla chiusura di oltre la metà
delle case delle comunità di vita consacrata.
E, se l’andamento restasse invariato,
nel 2046 in Italia si arriverebbe
alla scomparsa dei religiosi e all’abbandono
del loro patrimonio immobiliare,
oltre 8 mila strutture religiose.
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Vita nuova – Edifici nati
a servizio dell’evangelizzazione
e di specifici carismi,
memoria affettiva e culturale
di piccoli e grandi centri abitati,
negli anni si sono trasformati
in palle al piede
per comunità di consacrati
sempre più anziane
e ridotte nel numero.
«Non esiste un inventario
dei beni immobili dei religiosi,
ma grazie alla comparazione dei dati
dell’Annuarium statisticum Ecclesiae
possiamo dire che nel 1985
le case degli istituti religiosi
di diritto pontificio erano 17.585,
nel 2015 10.293,
con un calo quindi di oltre il 40 per cento»,
dice Francesca Giani,
architetta di Summa Humanitate,
fondazione indipendente
che fa consulenza
a diversi enti della Chiesa cattolica,
anche in merito al riutilizzo
del patrimonio immobiliare.
Un fenomeno che, evidentemente,
non riguarda solo l’Italia.
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Vita nuova – Ben consapevole della situazione
è papa Francesco,
che ha infatti insistito più volte con i religiosi
perché pensassero a come reinvestire i loro beni
restando fedeli al carisma e, al tempo stesso,
leggendo i segni dei tempi.
Sulla sua spinta, il Dicastero per i religiosi
ha organizzato in questi anni
quattro convegni internazionali
per confrontare esperienze, definire linee guida.
«Occorre mettere a tema il riuso
del patrimonio immobiliare dismesso,
esigenza oggi tanto più urgente
a causa non solo della contrazione numerica
delle comunità di vita consacrata
e della necessità di reperire risorse necessarie
alla cura delle sorelle
e dei fratelli anziani e ammalati,
ma anche, in particolare,
degli effetti dell’accelerazione
del cambiamento legislativo
e delle doverose esigenze di adeguamento».
Nel messaggio inviato nel maggio di quest’anno
al quarto convegno – intitolato Carisma e creatività.
Catalogazione, gestione e progetti innovativi
per il patrimonio culturale delle comunità
di vita consacrata -, Francesco faceva la fotografia
della situazione e delle sue urgenze.
«La dismissione è causata, non da ultimo,
dagli oneri economici di manutenzione
e conservazione ordinaria e straordinaria
a carico delle comunità».
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Vita nuova – Il problema,
aggiungeva, va affrontato all’interno
di una visione complessiva
e di una programmazione lungimirante,
e possibilmente anche attraverso il ricorso
a comprovate esperienze professionali.
«La dismissione del patrimonio è un argomento
particolarmente sensibile e complesso,
che può attirare interessi fuorvianti
da parte di persone senza scrupoli
ed essere occasione di scandalo per i fedeli:
di qui la necessità di agire
con grande prudenza e accortezza
e anche di creare
strutture istituzionali di accompagnamento
in favore delle comunità meno attrezzate».
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Vita nuova – La situazione è grave
e rischia di peggiorare
se non si affronta con coraggio:
chiudere gli occhi,
magari ascoltando consulenti compiacenti,
e sperare di arginare l’erosione della vocazioni,
vuol dire lasciare andare in malora gli immobili
e poi essere costretti a decidere
sull’onda dell’emergenza.
«E le decisioni
che sono dettate dai tempi
e non dalle opportunità,
non sono le migliori»,
dice suor Silvana Piro, l’economa
delle Francescane di Gesù bambino.
Quando 30 anni fa
la sua congregazione aveva acquisito
uno stabile sulla via Nomentana, a Roma,
le vocazioni erano ancora fiorenti.
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Vita nova – Oggi non mancano
le donne che scelgono di
«servire Gesù nel prossimo
e il prossimo in Gesù»,
come recita il carisma dell’Istituto,
ma il loro numero è limitato
e possono essere accolte senza problemi
nella Casa generalizia.
Cosa fare dello studentato?
«I nostri beni sono a servizio
della missione della Chiesa;
e con questo orizzonte
abbiamo cercato una realtà vicina
al nostro carisma.
Accogliere bambini e mamme svantaggiate
ci è sembrata la scelta giusta».
Così, con la consulenza
della Fondazione Summa Humanitate,
è stata individuata la Fondazione Arché,
nata nel 1991 a Milano,
che ha aperto nel 2021 la sede romana,
Casa Marzia, nell’istituto delle Francescane.
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Vita nuova – L’accordo prevede
tre anni di comodato gratuito,
poi un affitto dei locali.
Il processo decisionale
che ha guidato l’Istituto
ha avuto degli step ben precisi.
«C’è stata un’analisi
della sostenibilità del progetto.
Sono stati rispettati i livelli decisionali,
la scelta è stata fatta
dal Consiglio generale e provinciale,
non da una sola persona
con il potere di firma.
Ci siamo avvalse dei nostri consulenti
e di professionisti esterni,
conosciuti anche in ambito ecclesiale,
perché ci sono tanti agnelli
ma anche tanti lupi in giro;
abbiamo chiesto consiglio
al Dicastero per i religiosi,
e poi abbiamo rispettato quelle norme
per la gestione dei beni
previste dalla tradizione
del nostro istituto,
che anche se sembrano imporre
tanti legacci e rallentare i tempi,
in realtà sono garanzia
di scelta prudente e ponderata»,
conclude suor Silvana.
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Vita nuova – Il punto,
nota padre Luciano Larivera,
economo dei Gesuiti
della Provincia euro-mediterranea,
è che occorre
tenere costantemente monitorato
il patrimonio immobiliare:
«Come gesuita
lavoro a stretto contatto
con il direttore dell’economato,
che è un laico,
abbiamo un ufficio e dei consulenti fissi,
perché alienare,
dare in comodato, riutilizzare,
sono tutti processi che richiedono
un continuo discernimento»,
dice Larivera.
«Ci si deve sempre porre la domanda:
cosa voglio fare con questo immobile
tra 5, 10 anni, 15 anni?
E le scelte vanno fatte tenendo conto
dell’intenzione apostolica.
Ignazio dice che questi
sono beni dei poveri del Signore,
per il bene delle anime
e senza di essi
non si potrebbero esercitare
gli apostolati.
Indulgere, perdere tempo,
è tradire il fine apostolico».
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Vita nuova – Le linee guida
dettate dalla Congregazione dei religiosi,
dopo il primo convegno
Economia a servizio di carisma e missione,
dicono che «quando si procede
alla vendita di un immobile
bisogna sempre fare una verifica
prima con la diocesi,
con il vescovo della Chiesa locale,
perché si preferisce che il bene resti
nell’ambito del patrimonio ecclesiale»,
ricorda Larivera.
«Tenendo anche conto
che spesso sono immobili
costruiti o ristrutturati
con il contributo di benefattori,
e che in alcuni casi
c’è una destinazione vincolata,
per esempio per i giovani,
per gli esercizi spirituali
o per le attività apostoliche».
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Vita nuova – La Compagnia di Gesù in Italia
in questi decenni
ha dismesso diverse strutture.
In alcuni casi, per restare fedeli
alle finalità dei benefattori,
si è venduto l’immobile
e finanziato opere per giovani,
rifugiati, missioni.
In altri casi
si è dato in affitto o comodato:
il complesso di Grottaglie, in Puglia,
è passato alla diocesi locale,
a Cagliari quello di San Michele
alla Caritas.
In altri casi si sono cercate
realtà vicine per finalità:
a San Mauro Torinese,
per Villa Santa Croce
si è scelto il Gruppo Abele.
Nel Lazio,
nella casa di esercizi sui Castelli romani,
è nato il “Cuore di Galloro”,
progetto della cooperativa sociale Alteya,
che si rivolge
a tutte le fasce deboli della popolazione:
casa di riposo per anziani
specializzata anche nell’assistenza
ai malati di Alzheimer;
ambulatori di neuropsichiatria infantile
per ragazzi con differenti patologie,
ambienti residenziali e semiresidenziali;
una foresteria per mamme
e una fattoria sociale,
con la coltivazione e la trasformazione
dei prodotti agricoli come olio,
confetture, miele e derivati
a opera degli ospiti della struttura
e con l’aiuto di volontari
e professionisti esterni.
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Vita nuova – «Siamo presenti
in 25 Comuni sui Castelli romani,
ma il nostro sogno
era costruire una città del sociale.
Eravamo alla ricerca
di uno spazio adeguato»,
dice Claudio Dell’Anno,
presidente di Alteya.
Il vescovo di Albano,
cardinale Marcello Semeraro,
segnalò la struttura dei Gesuiti.
«La Compagnia ha verificato
la finalità del servizio
e la sostenibilità del progetto,
e poi siamo partiti.
Un posto grande,
con una fattoria sociale, un giardino
e sale convegni aperti alla città,
dove la gente dall’esterno
non viene per pietà
ma perché è bello
e si può fare qualcosa di buono».
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Vita nuova – È la stessa filosofia che,
seicento chilometri più a nord,
a Bassano del Grappa,
ha guidato il comodato
per villa Angaran San Giuseppe,
dove si produce l’amaro omonimo
dalla ricetta segreta.
La custodia è andata
al consorzio Rete Pictor,
unione di tre imprese sociali
del Bassanese:
Adelante, che si occupa di adolescenti,
famiglie e animazione territoriale;
Conca d’Oro, per persone con disabilità;
Luoghi Comuni, per inserimento lavorativo
nell’ospitalità alberghiera,
ristorazione e agricoltura.
La benedizione alla nuova vita
dell’ex studentato dei Gesuiti
l’ha data il cardinale Pietro Parolin,
nell’ottobre del 2021.
«Continua la collaborazione
con la Compagnia. E questa villa,
di grande bellezza,
è occasione di collaborazione
anche per le attività della Chiesa locale.
Non volevamo un posto
per persone in difficoltà, ma per tutti»,
sintetizza Tommaso Zorzi,
coordinatore delle attività.
Dal Nord al Centro,
restando a scelte coraggiose e lungimiranti,
va segnalata le rete di conventi
dei Cappuccini della Toscana.
«O chiudevamo o davamo via le strutture,
non più gestibili da piccole fraternità»,
spiega padre Valerio Mauro,
attuale provinciale.
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Vita nuova – Pistoia, San Sepolcro,
Prato, Siena, Pisa, Peccioli…
«Certo è stato doloroso.
Abbiamo cercato soluzioni
che rispettassero
il nostro indirizzo francescano specifico,
religioso e sociale».
E così l’immobile di Pistoia,
di fronte al carcere,
è la sede di progetti
per detenuti in semilibertà;
a Prato c’è un’associazione
che lavora con i disabili.
Ad Arcidosso, sull’Amiata,
il convento è affidato a una famiglia
dell’associazione Giovanni XXIII,
che fa accoglienza,
tiene aperta la chiesa
e organizza momenti di preghiera.
A Pisa, lo storico convento
nel quartiere San Giusto
dove c’era lo studentato,
è andato in affitto ad alcune cooperative
(Axis, Aforisma e Il Simbolo),
raggruppate in Rete temporanea di imprese
con il supporto delle Acli,
dove si fa accoglienza agli universitari,
assistenza a persone svantaggiate,
ristorazione.
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Vita nuova – «Il bosco del convento»,
dice padre Valerio, «è oggi
un parco aperto alla città.
Alcuni ambienti,
affidati al Terz’ordine francescano,
come la cappella
che continua a essere officiata
per le celebrazioni,
sono diventati “arca del silenzio”,
luogo per la preghiera personale».
In tutte le strutture che hanno lasciato,
la presenza dei frati continua a essere richiesta.
«Da questa situazione stiamo imparando
la necessità di mantenere viva
la collaborazione con i laici
e di usare i beni in maniera creativa, nuova,
per una comune testimonianza evangelica».
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Vita nuova – È la medesima strada
intrapresa anche dai Giuseppini del Murialdo:
a Roma, nel quartiere Ostiense,
nei locali adiacenti alla parrocchia,
dove un tempo c’era lo studentato universitario,
oggi ha trovato sede “La Casa di Davide”,
«a disposizione dei bambini,
e delle famiglie, che sono in cura
all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù,
che non sono in grado
di rientrare nelle loro abitazioni
al termine delle terapie,
incluse quelle in day hospital»,
spiega padre Antonio Barone,
economo della Provincia italiana
dei Giuseppini.
«Con l’associazione Davide Ciavattini»,
aggiunge, «c’è stata sintonia sulle finalità,
anche delle attività parrocchiali».
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Vita nova – In Calabria
il primo centro psico-educativo
per il trattamento intensivo e strutturato
di bambini e ragazzi con disturbi
dello spettro autistico è nato, nel 2017,
all’Oasi Bartolomea delle suore
di Maria Bambina, a Lamezia Terme.
La parte del convento
che non era più utilizzata,
è stata data dalle suore
in comodato gratuito
alla Comunità Progetto Sud,
fondata da don Giacomo Panizza,
che da 46 anni lavora in tutta la regione.
«Oggi è una realtà animata ogni giorno
da una sessantina di persone,
che frequentano la scuola del sociale,
il centro psico-educativo
e quello per le diagnosi.
Insieme alla piccola comunità di religiose
che continua a vivere nella struttura»,
spiega Maria Pia Tucci,
responsabile dell’ufficio stampa
di Comunità Progetto Sud.
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Vita nuova – Oltre agli immobili,
come è stato sottolineato nell’ultimo convegno
organizzato dal Dicastero dei religiosi,
c’è tutta una parte del patrimonio culturale
– archivi, biblioteche, fondi antichi –
che rischia anch’esso di andare in rovina,
con la diminuzione e l’invecchiamento
della comunità.
Anche in questo senso
ci sono esperienze positive.
Una tra le più interessanti è quella
della Federazione Santa Chiara
che ha agito su due fronti:
«Da un lato ha decretato la nascita,
presso un suo monastero,
dell’Archivio generale
e della Biblioteca della Federazione,
dove far confluire gli archivi
e le biblioteche dei monasteri membri
che nel corso degli anni
sono stati o saranno soppressi;
dall’altra ha affidato la custodia,
conservazione e valorizzazione
del ricchissimo patrimonio documentario
e librario, prodotto dai singoli monasteri
a un Centro costituito da professionisti
dei beni culturali,
sgravandosi di tutte le incombenze
che una gestione diretta del patrimonio
avrebbe comportato»,
ha spiegato al convegno Eleonora Rava,
dell’Archivio generale della Federazione
delle monache clarisse urbaniste d’Italia.
«La strategia adottata
ha così ottenuto un triplice risultato:
ha impedito la dispersione
del patrimonio librario e documentario
concentrandolo in un’unica sede;
ne ha garantito la tutela e la valorizzazione
affidandolo a un Centro specializzato;
infine ha dato una nuova destinazione d’uso
a un monastero
oggi privo di una comunità claustrale,
mantenendo vivo il carisma clariano».
***
Vita nuova – Sia per gli immobili
che per il patrimonio culturale
il tema della dismissione
e del riutilizzo è complesso.
Prima di tutto per l’estrema parcellizzazione:
«Se per i beni delle diocesi la Cei
ha fatto un’accurata catalogazione
delle chiese diocesane e degli edifici di culto
e si può beneficiare
di una quantificazione numerica,
invece dei monasteri sui iuris,
delle case di società di vita apostolica
e di quelle degli istituti di vita consacrata
non esiste alcun censimento»,
spiega il professor Luigi Bartolomei
che all’Università di Bologna
insegna Patrimonio culturale religioso:
comprensione, custodia e valorizzazione.
Ciò porta ciascun istituto
a procedere come può:
«Le comunità progettualmente
ed economicamente capaci
accedono a consulenze specifiche
e professionali,
quelle povere di risorse e progettualità
sono in balìa del mercato
e dell’improvvisazione»,
aggiunge il docente,
che è tra i collaboratori
del Dicastero per la cultura e l’educazione
e sta seguendo la vicenda del riutilizzo
del monastero delle monache Agostiniane
a Vicopelago, in provincia di Lucca.
***
Vita nuova – La soluzione da più parti invocata,
ed esplicitata in più occasioni
dal cardinale Gianfranco Ravasi,
sarebbe la creazione di un équipe permanente
dove consulenti qualificati e riconosciuti –
architetti e storici dell’arte,
esperti di amministrazione,
di gestione e di diritto –
potessero fare da sostegno
ed essere a disposizione
delle comunità di vita consacrata.
In Francia, per esempio,
questo è lo scopo
della Fondation des Monastères,
uno strumento «compatibile
con l’autonomia giuridica
e amministrativa di ciascun monastero,
volto a costruire una rete di supporto
nella condivisione di risorse economiche,
di professionalità dedicate e di servizi».
Il problema in Italia è che «si fa fatica
a creare questa commissione
perché le comunità sono forti
della loro autonomia,
e la gerarchia non vuole intervenire
con una struttura
che potrebbe essere fraintesa,
andando a intaccare equilibri
che a volte sono molto sottili,
su questioni di natura economica».
***
Vita nuova – Così tra cautele e paure,
invece di pensare con creatività e progettualità,
nella falsa sicurezza della conservazione,
in molte situazioni
si sta perdendo tempo prezioso.
Lasciando andare alla deriva
pezzi del patrimonio ecclesiale e culturale,
spazi del sacro
che hanno radici nel territorio,
memoria e anima dell’intera comunità.
Vittoria Prisciandaro, «Vita nuova per il convento.
La sfida ecclesiale di un buon riutilizzo
delle strutture dismesse dagli ordini religiosi», in
“Jesus”, gennaio 2023, n. 1, A. XLV, pp. 30-37.
Foto: Convento Cappuccini, Cervara, Trento /
vitatrentina.it