Don Giovanni Minzoni

Don Giovanni Minzoni pagò col martirio la difesa di Verità e Libertà

Don Giovanni Minzoni – L’invito a pregare
«affinché il Signore conceda alla diletta Italia
di corrispondere totalmente
alla sua vocazione cristiana
al fine di un avvenire di vero progresso,
secondo le forti aspirazioni ideali
di Don Giovanni Minzoni»

è stato espresso
dal Santo Padre Giovanni Paolo II
in una lettera inviata all’Arcivescovo di Ravenna
Mons. Ersilio Tonini,
nel corso della traslazione ad Argenta
della salma del sacerdote caduto vittima,
sessanta anni fa, della violenza fascista.

Don Giovanni Minzoni, infatti, riposa
dal pomeriggio di domenica
nel Duomo di Argenta,
la cittadina del Ferrarese
in cui svolse il suo ministero sacerdotale
fino al martirio.

Una grande folla
proveniente da tutta la Romagna
e dalla provincia di Ferrara
ha partecipato ad una solenne celebrazione
svoltasi nella piazza di Argenta,
al termine di un ciclo
di manifestazioni ufficiali commemorative,

culminato nel convegno di studio
svoltosi nel ridotto
del Teatro Alighieri di Ravenna,

nel corso del quale
storici di varia estrazione culturale
hanno posto in rilievo
l’importanza della figura di Don Minzoni
per la storia del movimento cattolico
non soltanto in Emilia-Romagna,
ma anche nella sua dimensione nazionale.

Alla concelebrazione eucaristica,
presieduta dall’Arcivescovo Achille Silvestrini,
Segretario del Consiglio
per gli Affari Pubblici della Chiesa,
latore del messaggio pontificio,

hanno preso parte, oltre all’Arcivescovo di Ravenna,
anche l’Arcivescovo Ordinario Militare
(Don Minzoni era stato infatti cappellano militare)
Mons. Gaetano Bonicelli,
ed i Vescovi di Parma, Fidenza e Faenza.

Il Presidente della Repubblica
era rappresentato invece
dal Presidente del Senato Francesco Cossiga,
che ha successivamente letto il messaggio
inviato dall’On. Pertini.

«Nella figura del coraggioso parroco di Argenta,
don Giovanni Minzoni – ha scritto,
tra l’altro, il Capo dello Stato –
si riassume il meglio delle tradizioni ideali e politiche
nelle quali il Movimento cattolico italiano
affonda le sue radici genuinamente popolari.

Con la sua stessa vita,
don Giovanni Minzoni testimoniò,
in perfetta aderenza
all’insegnamento evangelico
e in profonda lealtà
alla propria missione di pastore,
la fede democratica e l’ansia di giustizia

che ispirava i lavoratori cristiani,
e che ne saldava l’animosa resistenza
alla lotta che l’intero movimento anti-fascista
andava opponendo all’incombente tirannide».

Monsignor Silvestrini, all’omelia,
ha ricordato, tra l’altro, che il sacerdote-martire
«fece offerta costante della vita
a Cristo ed alla sua gente,
con fede schietta, generosa e convinta»,
sperimentando talora anche la solitudine,

ma sempre fiducioso che il Vangelo
sarebbe rifiorito nel cuore della gente
di Romagna – che per varie vicende
se ne era distaccata – e consapevole
che la violenza, ch’egli si trovava a fronteggiare,
non avrebbe potuto vincere
sulle persone e sulle idee.

Nel corso della cerimonia,
l’Arcivescovo Ordinario Militare
ha dato lettura del messaggio che il Papa,
desiderando essere spiritualmente presente
ha inviato all’Arcivescovo di Ravenna.
Ne diamo qui di seguito il testo:

Monumento a don Giovanni Minzoni ad Argenta / tripadvisor.it

Lettera del Santo Padre Giovanni Paolo II
a Monsignor Ersilio Tonini,
Arcivescovo di Ravenna.

Al venerato Fratello Ersilio Tonini,
Arcivescovo di Ravenna.

Ricorrendo il 60° anniversario
della morte eroica di don Giovanni Minzoni,
già parroco di Argenta,

la Chiesa che è in Ravenna,
in conformità con le Diocesi dell’Emilia-Romagna,
ne celebra la santa memoria
al fine di indicare ancora una volta
all’attenzione di tutti
quell’eccezionale figura di Sacerdote.

Così, codesta comunità diocesana guidata
dal suo zelante Pastore – mentre ha avuto luogo
un Convegno di Studi Storici con la partecipazione
di illustri esponenti della cultura – ha organizzato
solenni manifestazioni religiose

che culmineranno conseguentemente
con la traslazione delle spoglie mortali
di don Giovanni Minzoni
dal Cimitero di Ravenna al Duomo di Argenta,
dove egli esercitò
fino alla definitiva immolazione
un luminoso servizio sacerdotale.

Tale momento conclusivo
diverrà pertanto preghiera di tutto il Popolo di Dio
mediante una solenne Concelebrazione Eucaristica,
a cui desidero essere spiritualmente presente,
ben consapevole dell’eccezionale significato
assunto dal Sacerdote-Martire
per l’intera Nazione italiana.

È per questo,
che ho voluto indirizzare a Lei,
Venerato Fratello,
e insieme a tutto il Presbiterio
di codesta antica e nobilissima Arcidiocesi
un mio personale messaggio,

per il degno tramite
dell’Arcivescovo Achille Silvestrini,
Segretario del Consiglio
per gli Affari Pubblici della Chiesa,
che è anche figlio di codesta gente di Romagna.

Don Giovanni Minzoni
appartiene al popolo romagnolo
e ne impersona la tipica esaltazione
per ogni ardua e nobile impresa;

è quindi giustificata
la grata e affettuosa ammirazione
suscitata tra i conterranei

che in quella figura sacerdotale
riconoscono anzitutto una genuina espressione
della propria anima
e poi un punto di incontro
tra i credenti e coloro che,
pure privi della fede,
ne riconoscono tuttavia i puri valori.

Don Minzoni morì certamente “vittima scelta”
di una violenza cieca e brutale,
ma il senso radicale di quella immolazione
supera di fatto
la semplice volontà di opposizione
a un regime oppressivo

e si colloca chiaramente
sul piano della fede cristiana,
mentre ricava la sua giusta prospettiva
da un iter sacerdotale e pastorale
di smagliante limpidezza.

Egli attinse indubbiamente
alle radici stesse della libertà,
cioè a quella dignità umana restituita
ed elevata dalla Redenzione di Cristo,
e poté quindi scrivere con sicurezza:
“La religione non ammette servilismo,
ma il martirio”.

D’altra parte, lo spirito
con cui va incontro al suo martirio
è certamente quello mite
e paziente di Cristo stesso,
spirito di amore per la verità
e di perdono
per quanti non godono della sua luce.

Poco prima di morire egli scriveva:
“A cuore aperto,
con la preghiera che mai si spegnerà
sul mio labbro per i miei persecutori,
attendo la bufera, la persecuzione,
forse anche la morte
al fine del trionfo della causa di Cristo”.

Secondo le testimonianze di quanti lo conobbero,
egli fu soprattutto sacerdote di intensa vita interiore;
totalmente animato da amore alla Chiesa
e da vero slancio per il suo ministero dapprima
di Cappellano Militare sul fronte di guerra
e successivamente di Parroco di Argenta;

dotato inoltre di acuta sensibilità
per i problemi sociali,
con partecipazione veramente appassionata
alla vita civile dell’Italia.

In un contesto sociale, politico e religioso
di estrema difficoltà, affrontò anzitutto
le problematiche del suo tempo con serenità,
con ardimento inventivo, con coraggiosa coerenza,
in conformità con l’aspirazione
del movimento cattolico

e soprattutto come formatore
di coscienze giovanili
inoltre come animatore della sua Comunità,
dove – secondo la testimonianza
del suo Arcivescovo – fu “stimato,
venerato e quasi idolatrato”.

Fu indubbiamente il suo fascino spirituale,
esercitato soprattutto sulla popolazione,
sulle forze del lavoro
e in particolare sui giovani
a provocare l’aggressione;

si volle infatti stroncare
soprattutto la sua azione educativa
diretta a formare la gioventù
al fine di prepararla nel contempo
a una solida vita cristiana
e di conseguenza a un serio impegno
al fine di trasformare la società.

Per questo motivo gli Esploratori Cattolici
sono a lui naturalmente debitori.

Con una personalità umana
e sacerdotale tanto ricca
ben si accorda infatti la sua affermazione:
“Chi vuol essere
un apostolo della nostra idea
non può non essere predestinato al martirio”.

E insistendo poi
sul momento emblematico della sua morte,
quasi come logico traguardo
di un cammino sacerdotale tanto coerente,
voglio ricordare quanto disse
pochi giorni prima di morire:
“Sarebbe bello essere uccisi sull’altare”.

La morte intravista come approdo
di una irrinunciabile difesa della Verità
e della Libertà, assume ovviamente in lui
il senso di un sacrificio estremo
“per il trionfo della causa di Cristo”;

sacrificio congiunto a quello di Cristo stesso
che liberamente si offrì al Padre
al fine di affrancare l’uomo
da ogni forma di errore e di schiavitù.

I Sacerdoti e i Laici impegnati
in ogni settore della realtà sociale,
decisi a pagare costi anche elevati
al fine di recarvi la verità, la libertà
e la carità del Vangelo,

sapranno certamente trarre forti stimoli
e sante ispirazioni dalla vita
e dalla morte di don Giovanni Minzoni.

Quella del Sacerdozio
è una vocazione che richiede anzitutto
generosità di animo,
fede in una grande causa,
oblazione di sé.

Esercitato spesso in una condizione di isolamento,
il ministero sacerdotale
comporta sempre sacrificio fedele e silenzioso,
pieno rispetto per i lontani,
lavoro umile e coraggioso
sul confine tra la fede e l’incomprensione.

Il problema emergente è, indubbiamente,
quello di trovare un equilibrio
tra le esigenze della consacrazione – che implica
da una parte solitudine e segregazione –
e quelle dell’inserimento nella viva realtà sociale
oggi più che mai richiesto dall’azione pastorale.

A questi “Pastori di anime”, a questi
“Uomini di frontiera”
voglio anzitutto dire
una parola di ammirazione
e di incoraggiamento,
esortandoli a far propria
l’ansia missionaria di don Minzoni.

Ai Laici cattolici, poi,
direttamente impegnati
nell’azione politica e sociale,
Don Giovanni Minzoni – che sognava
un’Italia “più pura e più grande” –
rivolge anzitutto
una parola di luminoso orientamento.

I cattolici hanno sicuramente l’urgente dovere
di operare per un avvenire sociale più prospero,

e a tal proposito sono principalmente chiamati
a servire i valori umani, a rendere più sano
il costume, a perseguire
una sempre maggiore onestà
nell’amministrazione dello Stato
e in tutta la sfera della vita pubblica,
con coraggio, con lealtà, con costanza.

Tutto ciò implica certamente una testimonianza
di ineccepibile condotta personale.

Al termine di queste mie riflessioni,
rivolgo il mio invito a tutti i partecipanti
alla solenne Concelebrazione Eucaristica
a volersi unire a me nella preghiera,

affinché il Signore conceda alla diletta Italia
di corrispondere pienamente
alla sua vocazione cristiana
al fine di un avvenire di vero progresso,
secondo le forti aspirazioni ideali
di don Giovanni Minzoni.

In pegno di tale ardente voto,
imparto a Lei venerato e amato Pastore
che siede sulla cattedra di Sant’Apollinare,

agli Arcivescovi e Vescovi presenti,
alle Autorità, al Clero
e in particolare al diletto popolo di Argenta,
di Ravenna e dell’intera Emilia-Romagna
la mia affettuosa Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano,
30 Settembre dell’anno 1983,
V del Pontificato.

GIOVANNI PAOLO PP. II

Foto: Don Giovanni Minzoni / cittanuova.it

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