Campello Alto

Campello Alto (PG) – Due cuori e un castello

Campello Alto – Il borgo umbro
di Campello Alto, sul Clitunno,
è rinato grazie a Vincenzo e Daniela.
Una storia d’amore e di impresa

Campello Alto – Due cuori e un castello.
Sì, l’amore di Vincenzo Naschi e Daniela Di Fabio
è troppo grande per essere costretto
in una semplice capanna…

D’altronde il loro primo incontro,
nel 1980 quando erano ragazzi,
è precisamente ai piedi del castello di Campello Alto,
che hanno fatto rinascere,
nonostante i terremoti e lo spopolamento:

entrambi infatti frequentavano i campi estivi
promossi dai padri barnabiti nel loro convento,
appena sotto il borgo murato.

Il castello viene eretto,
in questo cuore verde dell’Umbria,
già nel 921 da Rovero di Champeaux:
vari torrioni e un’unica porta d’ingresso
coronata di merli e sormontata da una croce.

L’aspetto attuale non è molto diverso
da quel che appariva a un viandante del Trecento:
nell’abbraccio circolare delle alte mura,
tra le viuzze acciottolate,
sono raccolte solo poche antiche case
e la chiesa di San Donato.

È tra i primi borghi inoltre
a dotarsi di uno statuto,
che risale al 1569.

Qui hanno abitato fino a settecento persone,
ora i residenti sono rimasti soltanto nove.

La gran parte del paese viene salvata
dai danni del terremoto del 1997
grazie all’opera di Vincenzo e Daniela.

Dapprima costituiscono la “Borgo Campello Foundation”,
di cui peraltro fanno parte personalità
come il vescovo Sergio Pagano,
prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano.

La fondazione vuole raccogliere,
da un lato l’eredità di una storia millenaria,
valorizzare il territorio e le sue tradizioni,

e dall’altro lato «sviluppare una cultura
che si ispiri ai valori fondanti del borgo:
alla solidarietà
come forma di impegno etico-sociale
e alla bellezza
come principio di conoscenza e di educazione».

La fondazione è impegnata anche
per il restauro della parrocchiale,
inaccessibile dai tempi del terremoto del 1997.

Successivamente, Vincenzo e Daniela
realizzano un affascinante albergo diffuso.
Lo spirito è anzitutto quello di tornare
a una visione comunitaria,
un tempo radicata nel vivere quotidiano:
il forno e il pozzo comuni del castello
ne sono silenti testimoni.

Così un borgo tra i più belli dell’Italia tutta
rinasce a nuova vita.

Ai piedi del castello inoltre
sorge il convento dei Santi Giovanni e Pietro.
Originariamente i monasteri erano due:
il primo viene eretto da papa Gregorio IX
il 20 luglio 1228 e dedicato a san Pietro.

Successivamente frate Pace di Morichitto
fonda all’interno delle mura del castello
un piccolo convento femminile
dedicato a san Giovanni Battista.

Campello Alto
Ingresso del convento dei Santi Giovanni e Pietro a Campello Alto. Dietro la grata in basso a sinistra era collocata, un tempo, la ruota degli innocenti / luoghidelsilenzio.it

Nel 1604 la fusione dei due monasteri.
Tuttavia, nel 1819 le soppressioni napoleoniche
portano la chiusura e la spoliazione dei beni.
Infine, nel 1935 i padri barnabiti
riaprono il convento e lo ristrutturano
al fine di ospitare i seminaristi nei periodi di vacanza.

Poi anche per loro
la struttura diventa troppo grande
per essere gestita,
insieme alle difficoltà legate alla pandemia.

Così chiedono a Vincenzo e Daniela,
che ben conoscono,
di prendere in mano la parte del convento
destinata all’ospitalità,
mentre una piccola comunità di padri barnabiti
continua a vivere nell’ala accanto alla chiesa.

Il castello e il convento sono senza dubbio
tra le più belle terrazze dell’Umbria:
crocevia tra la Val Spoletina e la Valnerina,
sono immersi in boschi di faggi e lecci
inframmezzati da distese di ulivi;

all’orizzonte si stagliano anzitutto
il castello di Pissignano, Bevagna, Montefalco…
Nella piana poi le fonti del Clitunno,
cantate da Virgilio e da tanti poeti del Grand Tour,
inoltre lo straordinario e misterioso tempietto,
chiesa paleocristiana o forse longobarda,
nelle forme di tempio pagano.

Per Daniela e Vincenzo
«sono i luoghi che attirano le persone,
e Campello in qualche modo
ci ha chiamati e fatti conoscere.

Entrambi di Roma,
abitavamo a Monteverde,
a cento metri l’uno dall’altra,
e frequentavamo la parrocchia dei barnabiti,
ma non ci eravamo mai incontrati.

Nel 1994 ci siamo sposati a Campello,
e nel 1996 siamo riusciti
ad acquistare una casa nel castello,
anche con l’aiuto dei genitori.
Era un sogno che si realizzava».

Poi nel 1997 il terremoto colpisce il borgo.
Di conseguenza quel sogno
poteva trasformarsi in incubo.
In molti infatti decidono di lasciare le loro case.

Ma Vincenzo e Daniela non si arrendono.
Acquistano anzi quel che gli altri abbandonano
e iniziano così, con una ditta friulana,
con il sostegno di fondi europei
e con grandi sacrifici, a restaurare soprattutto
nel rispetto dell’architettura originaria

(ad esempio, pietre degli stessi edifici del castello crollati,
architravi in legno, malte storiche, ceramiche di Vietri…)
e, in particolare, con l’utilizzo
di sistemi costruttivi antisismici
che peraltro hanno preservato
il borgo dalle distruzioni dei terremoti recenti.

Finora hanno restaurato
duemila metri quadrati all’interno delle mura,
e sono già tanti i giovani del luogo
formati per l’accoglienza, il centro benessere, il ristorante.

All’inizio non pensavano
potesse essere la loro attività principale:
lui, ingegnere nucleare
con master all’Università Bocconi,
manager di grandi aziende internazionali,
lei restauratrice.

Poi pian piano capiscono
che il loro “piano B” è la cosa più bella
per cui vale la pena spendersi totalmente:
ossia condividere con il viaggiatore
e con l’ospite il luogo più amato.

«Sono felice di aver scelto di dedicarmi esclusivamente
alla nostra impresa familiare – racconta Vincenzo -.

Mai abbastanza valorizzate, le imprese familiari
sono una grande risorsa del nostro Paese.
Una presenza particolarmente viva
nel comparto del turismo, che,
duramente colpito dalle conseguenze del covid,
ha dapprima resistito ed è poi ripartito».

Chi sceglie di risiedere nel castello
o nel convento vuole anzitutto immergersi
in un luogo di pace e di silenzio,
di antica bellezza e di natura inviolata.

«In tanti – dice Daniela – quando entrano nel borgo
hanno la percezione di un luogo dell’anima,
un luogo vivo, dove poter abitare la storia».

Un luogo che senza quei due cuori innamorati
oggi forse avrebbe solo il fascino nostalgico del rudere:
bello certo da vedere, ma sicuramente inospitale.

Giovanni Gazzaneo, «Due cuori e un castello», in
“Luoghi dell’Infinito, gennaio 2022, n. 268, pp. 54-56.

Foto: Castello di Campello Alto (PG),
fondato nel 921 /
comune.spoleto.pg.it

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