Atti

Atti – At 10,34a.37-43 – Domenica di Pasqua – Anno C

Atti. Contesto

Atti. La domenica di Pasqua si apre con la lettura degli Atti degli Apostoli,
che ci accompagnerà lungo tutto il tempo pasquale,
culmine del cammino liturgico della Chiesa.

In questo modo è sottolineata la necessità
di tornare alle radici della nostra fede,
alla testimonianza degli apostoli,
al primo annuncio del Vangelo.

Il capitolo 10 degli Atti, da cui è tratto il discorso di Pietro
in casa del centurione romano Cornelio,
può essere definito il punto di svolta dell’intero libro;
per la prima volta assistiamo all’ingresso a pieno titolo
dei pagani nella comunità dei discepoli di Gesù,
svolta narrativa ed epocale al contempo.

Dio stesso interviene più volte da protagonista in questo capitolo,
con i segni straordinari che accompagnano man mano
i protagonisti del racconto verso una più profonda comprensione
del piano di salvezza di Dio.

Cornelio è visitato da un angelo.
Pietro per tre volte riceve dal cielo una visione
– la tovaglia con i cibi impuri –
accompagnata da una voce celeste,
e lo Spirito stesso gli parla.

Infine, il segno decisivo è l’effusione dello Spirito Santo
«su tutti coloro che ascoltavano la parola» (At 10,44).

Nella dinamica del racconto
appare con estrema chiarezza come lo Spirito Santo
si manifesti in seguito all’annuncio del kerygma
(il contenuto della predicazione apostolica primitiva) di Gesù,
tanto che Pietro, dovendo giustificare la propria condotta
di fronte alla comunità di Gerusalemme, dirà:

«Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo
discese su loro, come in principio era disceso su di noi» (11,15),

Testo

La prima Lettura è presa dal quindo
degli otto discorsi pronunciati da Pietro negli Atti degli Apostoli.
La scena si svolge a Cesarea,
nella casa del centurione Cornelio,
dove si è riunito un gruppo di pagani
che stanno per ricevere il battesimo.

È prezioso questo brano perché, in sintesi,
presenta la predicazione fatta nelle prime comunità cristiane.
Ponendola sulla bocca di Pietro,
Luca intende conferirle l’autorevolezza
e la garanzia dell’ufficialità.
Vediamo quali sono i punti essenziali di questa predicazione.

Atti. Commento

Anzitutto la predicazione di Pietro richiama la vita di Gesù.

«Cominciando dalla Galilea,
dopo il battesimo predicato da Giovanni» (v. 37).
È indicato il luogo e il tempo in cui prende il via il ministero di Gesù:
tutto è iniziato in Galilea dopo il battesimo ricevuto dal Battista.

Ciò che è accaduto prima
– la sua infanzia e la giovinezza trascorse a Nazaret –
interessa la nostra curiosità, ma non costituisce
il punto di riferimento per la nostra fede.

«… come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret» (v. 38)
Egli è anzitutto «Gesù di Nazaret», uomo tra gli uomini
ma scelto e “unto” – questo il senso letterale del verbo greco –
da Dio stesso con la potenza dello Spirito Santo.

«il quale passò beneficando e risanando… perché Dio era con lui» (v. 38).
l’agire di Gesù si caratterizza per la capacità di vincere il male,
come in una nuova creazione
che riduce il caos all’ordine stabilito da Dio.
Così è possibile riconoscere nell’uomo di Galilea
l’agire stesso di Dio: «Dio era con lui».

«E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute
nella regione dei Giudei e in Gerusalemme» (v. 39).
Pietro fa appello a fatti concreti, verificabili, noti a tutti,
perché la fede cristiana non si basa su elucubrazioni esoteriche,
o su un personaggio della mitologia, ma fa riferimento
a un uomo concreto, vissuto in un luogo
e in un tempo ben precisi.

Ci aspetteremmo che Pietro facesse almeno un accenno
anche all’annuncio della buona novella,
invece egli si limita a sottolineare
la trasformazione concreta del mondo realizzata da Gesù.
Essa basta per provare che ha avuto inizio una realtà nuova.

Il secondo punto della predicazione di Pietro
è quanto gli uomini hanno fatto;
«Essi lo uccisero appendendolo a una croce» (v. 39).

In un solo versetto viene ricordata la morte di croce,
di cui i discepoli sono testimoni, insieme a tutte le cose
che Gesù fece «nella regione dei Giudei e in Gerusalemme».
Gli uomini, non hanno riconosciuto in Gesù l’inviato di Dio
e lo hanno ucciso inchiodandolo a una croce.

E Dio come ha reagito?
«… ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno» (v. 40).

Se con un solo versetto Pietro ricorda il mistero della morte di Gesù,
con maggiore ampiezza ne annuncia la risurrezione,
contrapponendo il soggetto «Dio» al precedente sottinteso «essi»,
probabilmente riferito ai Giudei di Gerusalemme.

L’opera di Dio si oppone a quella degli uomini,
che danno la morte, portano verso il sepolcro.
Dio è colui che risolleva e conduce alla vita.
Questo è l’articolo fondamentale della nostra fede.

Continuando la sua predicazione, Pietro ricorda
chi sono i testimoni della risurrezione:
«(Dio) volle che si manifestasse non a tutto il popolo,
ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato
e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (vv. 40-41).

Come mai Dio “oscura” o “silenzia”, per così dire,
la risurrezione di Gesù, riservandola solo «a testimoni prescelti»?

Il testo sacro non ce lo dice. Ma sono possibili due soluzioni.
La prima: come nel mistero dell’incarnazione di Gesù,
così nel mistero della sua risurrezione, Dio non segue la nostra logica.
«I miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le mie vie non sono le vostre vie» (vedi citazione).

La seconda, che è una conseguenza della prima è
che Dio non ci vuole “prendere” con la spettacolarità,
ma con un amore discreto, sussurrato, proposto, mai imposto.

Infine Pietro indica la missione dei discepoli:
essi sono testimoni di questi fatti (vv. 39.41)
e sono inviati ad annunciare e attestare
che Gesù è stato costituito giudice dei vivi e dei morti:

«E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare» (v. 42).
Pietro, a nome dei discepoli, riafferma la chiamata ricevuta
ad «annunciare e testimoniare». Kerygma e martyrìa sono i due termini
che riassumono il compito del discepolo di Gesù,
inteso qui particolarmente come testimone oculare
che proclama e attesta ciò che ha visto e udito.

Va sottolineato che gli apostoli sono testimoni di Gesù Cristo
perché sono stati con lui, hanno mangiato e bevuto con lui,
hanno udito i suoi insegnamenti
e hanno visto i segni da lui compiuti.

Non sono testimoni per la loro vita esemplare,
ma in quanto hanno fatto un’esperienza unica
che sono in grado di riferire a chiunque
li voglia ascoltare con onestà e purezza di cuore.

C’è differenza tra il sapere e il testimoniare,
così come c’è un salto tra l’ascoltare e il credere.
Anche gli abitanti di Cesarea era giunta notizia della fama di taumaturgo
di Gesù di Nazaret e probabilmente anche della sua tragica fine,

ma il compito della testimonianza spetta a coloro
che non solo hanno visto ma hanno anche creduto a Gesù di Nazaret,
che da Dio hanno ricevuto la grazia di stare a mensa con lui
e di incontrare il Risorto e che infine da lui
hanno ricevuto il mandato missionario.

Il discepolo chi annuncia e testimonia?
Gesù è annunciato come il «giudice dei vivi
e dei morti, costituito da Dio» (v. 42).

Ogni uomo è dunque compreso nella sua giurisdizione;
in questa vita o in quella dopo la morte
il suo destino finale dipende dalla krìsis – giudizio –
pronunciato dal Cristo con la sua morte e risurrezione.
Questa verità fa parte del «Credo»
e non è una minaccia, ma un messaggio lieto.

Gli apostoli devono dire a tutti e testimoniare
che Gesù non è un giudice che condanna,
ma il modello con il quale Dio confronta la vita di ogni uomo,
dichiarandone la riuscita o il fallimento.
Non c’è un’istanza superiore.

I giudei non potranno appellarsi alla loro fede in Dio
o all’osservanza della legge.
Il punto di riferimento stabilito da Dio
non sono la legge, le tradizioni, né qualunque altro criterio umano,
ma è Gesù e soltanto Gesù.

La proclamazione di Pietro diviene infine annuncio del perdono,
dato a «chiunque crede in lui» e «per mezzo del suo nome» (v. 43).
L’ultima parola contiene quindi l’offerta
della salvezza per ogni uomo.

Foto: Icona della Risurrezione / pinterest.it

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