Prima caduta. Terza stazione. Pesantezza, lacrime e sorriso
Via Crucis del malato – Cammino di speranza
Prima caduta. Tutto d’un tratto ti senti come svuotato di energie.
Eppure ti eri imposto di reagire,
soprattutto di affrontare la nuova situazione con coraggio,
rassegnazione, serenità.
Ed ecco invece che, di colpo,
ti ritrovi a terra:
avvilito, sfiduciato, deluso, sfinito,
in altri termini in preda alle paure più diverse
(paura di non farcela,
né di tornare più come prima,
inoltre di essere ingannato da tutti,
in definitiva di non riuscire a sopportare il dolore,
poi dover affrontare un’altra prova,
fare quell’esame,
essere sottoposto a quella terapia,
subire quell’intervento…).
Rimastichi i pensieri più amari.
Sembra sia sparito il cielo sopra di te.
Inoltre ti senti schiacciato a terra.
Hai l’impressione di avere gli occhi
e la bocca incollati alla polvere della terra.
«A te levo i miei occhi / a te che abiti nei cieli» (Sal 123,1).
Vorrei, ma non ne ho la forza.
Prima caduta. Comunque, ora so che anche Lui,
in questa stazione,
è caduto dal cielo
e morde la terra come me.
Dunque,
lo sguardo è puntato verso il basso.
Mi lascio perciò andare,
abbandonandomi alla pesantezza.
Bocconi,
con la faccia rivolta al pavimento,
nessuna reazione, nessun sussulto.
Sparita soprattutto la voglia di rimettermi in piedi.
Qualsiasi parola,
anche la più innocua,
pronunciata da chi mi sta accanto,
mi ferisce, insospettisce, mi mette in apprensione,
in definitiva attizza un processo inarrestabile di previsioni cupe,
immaginazioni catastrofiche,
visioni pessimistiche.
Prima caduta. L’esercizio preferito è allora quello dell’autocommiserazione.
Mi accanisco a torturarmi con i pensieri più assurdi.
Soprattutto sto diventando il nemico di me stesso.
No, non aspettare che qualcuno, dall’esterno, ti tiri su.
Nessuno, per quanto lo voglia, ne è capace.
Sei tu che devi trovare l’appiglio.
Più sembra fragile,
e più ha il potere di risollevarti.
Una preghiera, una semplice invocazione,
un sorriso, un fiore, un ramo verde, un profumo, una musica…
Prima caduta. «Mia forza e mio canto è il Signore» (Sal 118,14).
Però non aspettare a cantare
non appena avrai ritrovato le forze.
Devi soprattutto ritrovare il canto,
perché è il canto,
la lode al Signore che produce la forza,
non viceversa.
Canta allora nella debolezza, canta senza voce, senza fiato,
senza un motivo preciso,
e acquisterai leggerezza,
sconfiggerai l’angoscia.
Proprio come un bambino
che canta per esorcizzare la paura del buio.
Non aspettare dunque a cantare allorché sarai in piedi.
È soprattutto nella caduta,
quando sei pesto,
che devi cavar fuori dal cuore quella melodia che
ti fa ritrovare la posizione eretta.
La nota giusta non te la danno certamente gli altri.
La scovi dentro di te,
magari un po’ stridente,
all’inizio,
ma non importa:
a poco a poco acquisterà una dolcezza sorprendente.
E soprattutto tu sconfiggerai la pesantezza.
Preghiera
Signore,
se è vero quel che afferma un Salmo (56,9),
che «le mie lacrime nell’otre tuo raccogli»,
devo concludere che
tieni una botte di grosse proporzioni
soltanto per contenere le mie lacrime.
Così sono certo
che nessuna lacrima va perduta,
è inutile, sprecata.
Tu le conservi tutte gelosamente.
Sono il mio capitale,
il tesoro prezioso che mi appartiene
e fruttifica.
«Chi semina nelle lacrime /
mieterà con giubilo» (Sal 126,5).
Intanto, però,
vorrei riscuotere almeno un minuscolo anticipo,
un modesto frutto di quella abbondante seminagione nelle lacrime.
Il frutto di un sorriso.
Mettimelo sulle labbra,
quale primizia di un raccolto promettente.
Amen.
Alessandro Pronzato, Via Crucis della Speranza. Tre itinerari,
Gribaudi Editore, Milano 1995, pp. 21-23.
Foto: Disegno a matita di Salomoni Fausto