Missione. Is 6,1-2a.3-8 – V Domenica del Tempo Ordinario – C
Missione. La prima Lettura narra la chiamata
e la missione di Isaia, ricordata dal profeta stesso.
Questo racconto della propria chiamata è la credenziale di Isaia,
la sua carta di riconoscimento e l’autorizzazione al suo servizio.
Missione. Osservazioni preliminari
Va anzitutto rilevato che Isaia non ne parla all’inizio del suo libro, come farà Geremia,
di cui si è parlato domenica scorsa, bensì prima di un blocco narrativo-oracolare:
i capp. 6-12, conosciuti con il titolo il libro dell’Emmanuele.
Ci sono esperienze della nostra vita che non possono essere raccontate con parole.
Le emozioni, i sentimenti, le esperienze spirituali non sono facili da descrivere.
Ecco perché Isaia, volendo presentare la storia della sua chiamata,
non può che ricorrere a delle immagini.
Sarebbe ingenuo interpretare come cronaca
quanto ci è narrato in questa lettura.
Dio non ha bisogno di sedersi,
né di coprirsi con un manto per ripararsi dal freddo,
né da essere assistito dai serafini quasi fossero sue guardie del corpo.
Per dirla tutta, Isaia non ha avuto un’apparizione,
ma un’esperienza interiore che è raccontata in forma di visione.
Il testo
La chiamata di Isaia si colloca nell’anno della morte del re Ozia, avvenuta tra il 742
e il 736 a.C., un periodo cioè che rappresenta un brusco passaggio da una situazione
di relativa stabilità al pericolo rappresentato dalle mire espansionistiche del popolo assiro.
La struttura del brano liturgico odierno presenta anzitutto l’ambientazione temporale
e spaziale della teofania che fa da cornice alla chiamata di Isaia (6,1-2a);
poi la lode angelica della santità divina e l’atmosfera creatasi all’interno del tempio (vv. 3.4);
successivamente lo smarrimento del profeta, consapevole della sua impurità (v. 5);
inoltre la sua purificazione (vv. 6-7);
e infine la disponibilità ad accogliere il mandato divino (v.8).
Siamo dunque in presenza del più solenne racconto di chiamata,
ambientato nel tempio, costruito secondo lo schema ternario
di teofania (vv. 1-5) consacrazione (vv. 6-7), e missione (v. 8)
In altre parole, si tratta di un autentico audio-visivo,
in quanto completo di “video” e di “voce”.
Missione. La chiamata divina
Isaia, forse durante una celebrazione nel tempio, fa l’esperienza del Dio santo
che lo elegge, lo santifica, lo invia: tre elementi classici di una chiamata divina.
La santità divina non è una entità astratta e tanto meno espressione di lontananza;
è una qualità che, in quanto gli è propria ed è dinamica,
favorisce un contatto: è santità che santifica.
Similmente la gloria (kabhodh in ebraico,
con riferimento a qualcosa che è pesante e che si manifesta),
ha carattere interpellativo, invitando a un riconoscimento di Dio
attraverso la constatazione della sua presenza sulla terra
(cf Sal 8: I cieli sono la gloria di Dio).
Dio si presenta seduto e tale posizione rimanda subito alla dignità
e all’autorevolezza, tanto più che si precisa «seduto su un trono».
C’è un senso di immensità, espresso con «i lembi del suo manto riempivano il tempio»,
per indicare che la struttura materiale del tempio,
per quanto ciclopica possa essere, non riesce a contenere la divinità.
C’è la percezione del divino, anche attraverso l’immensità che colma tutto e trabocca:
il fumo invade il tempio e la gloria di Dio riempie la terra.
Dalla percezione visiva si passa a quella uditiva.
Dapprima è udito il canto dei serafini, poi la voce possente che fa vibrare gli stipiti.
Isaia fa un’esperienza completa, in quanto vede e sente.
Smarrimento di Isaia
Secondo una dinamica psicologicamente e teologicamente ben comprensibile,
la manifestazione del divino provoca un senso di smarrimento.
La reazione segnala la sproporzione tra l’umano e il divino,
un’abissale e incolmabile distanza, che l’uomo percepisce lucidamente.
La santità di Dio che è trascendenza e perfezione,
rende ancora più acuta la percezione del proprio limite.
Dalle parole di Isaia si deduce che non si tratta primariamente del limite creaturale,
intrinseco a ogni essere finito, ma di quello morale.
Egli ha chiara coscienza di essere peccatore.
Il peccato, infatti, provoca una spaccatura,
tradisce un amore e allontana dalla fonte di santità.
Le «labbra impure» sono una sineddoche (la parte per il tutto)
e sono state scelte perché abituale mezzo per parlare.
Saranno proprio le labbra a essere purificate,
per rendere Isaia atto al suo ministero,
quello profetico appunto, che farà grande uso della parola.
La coscienza di essere peccatore e quindi indegno della visione,
colpisce Isaia ed estensivamente tutto il popolo di cui egli è parte viva.
Non si tratta quindi di un fatto puramente personale,
ma di indegnità che accomuna tutti gli uomini.
Missione. L’impurità sanata
La rimozione della colpa e l’espiazione del peccato sono un’iniziativa divina;
l’intervento di un serafino, che tocca le labbra di Isaia
con un carbone ardente preso dall’altare, guarisce la sua impurità.
Dio, per così dire, abilita Isaia alla missione cui lo vuole destinare.
È importante leggere la purificazione e la consacrazione in vista della missione.
Sono momenti distinti, ma non separati.
Siamo in presenza di un’esperienza “sacramentale”,
perché il segno esterno simboleggia la realtà che si compie all’interno.
La parola poi serve a spiegare il segno e a far comprende la nuova situazione.
La prontezza di Isaia
Non è dato di percepire sensibilmente la trasformazione avvenuta;
si può dedurre qualcosa da quanto segue.
Il tema della missione continua nel testo di Isaia fino al v. 13,
ma trova nel v. 8, ultimo del nostro brano, il punto decisivo, quello della accettazione.
La missione nasce alla confluenza di due volontà libere,
quella di colui che invita e quella di colui che è invitato.
La richiesta di Dio «Chi manderò e chi andrà per noi?»
sottolinea il rispetto con cui egli tratta gli uomini,
interpellandoli nella loro volontà
La libertà di risposta è presupposto indispensabile per creare un rapporto di amore.
A Dio che lo interpella, Isaia risponde con una sorprendente immediatezza:
«Eccomi, manda me!».
Non si tratta di leggerezza, ma di pronta generosità,
ha ricevuto la purificazione.
La voce di Dio non lo turba più, non prova più un senso di smarrimento, come prima.
Segno che egli è un uomo nuovo, reso tale dalla purificazione accordatagli come dono.
Dio abilita ma non obbliga, lasciando all’uomo lo spazio di risposta
che è altresì lo spazio dell’amore.
Quando Isaia risponde affermativamente, allora è pronto a iniziare la missione.
Va perché inviato, va perché messo in condizione di andare.
La missione profetica non è una professione che uno sceglie,
è piuttosto risposta alla volontà divina.
Così Isaia potrà annunciare al popolo il suo messaggio,
perché egli è autentico profeta, inviato da Dio a manifestare la sua volontà
Foto: Fra Bartolomeo (noto anche con lo pseudonimo di Braccio della Porta), Isaia, olio su tavola (168,0 cm x 108,0 cm), 1516 ca, Galleria dell’Accademia, Firenze / it.m.wikipedia.org