Sacchi. L’«Inferno» secondo Claudio Sacchi. Il divino poeta in versione flambeaux
Sacchi. È stata una sfida, vinta.
A lanciarla, il pittore Claudio Sacchi,
che ha tracciato un suggestivo percorso figurativo dell’Inferno di Dante.
Come sottolinea l’elegante e raffinato catalogo
curato da Leo S. Olschki (Firenze, 2021, pagine 8, euro 18)
– in riferimento alla mostra tenutasi nei giorni scorsi a Firenze –
l’artista era certamente consapevole, all’inizio dell’impresa,
di aggiungersi alla folta schiera di miniatori,
illustratori ed evocatori della Divina Commedia,
che va dai primi miniatori trecenteschi
passando per Botticelli, Blake e Doré.
Una sfida, dunque.
Ma Sacchi non ha temuto di mettersi anche lui sulle orme di Dante e Virgilio,
dalla selva oscura all’ultimo cerchio infernale, fino a «rivedere le stelle».
Sono dieci i Canti che vengono illustrati,
con un’eccellente tecnica grafica
che richiama la tradizione rinascimentale.
Quella di Sacchi, scrive nella dotta e forbita introduzione al catalogo
la storica dell’arte Cristina Acidini,
è una pittura «satura e succosa», governata da «un disegno impeccabile».
Sacchi non si limita infatti a suggerire in termini visivi
ciò che l’Alighieri attraversa e descrive,
ma «lo trasfigura e lo ampia»,
espandendo così i confini dell’universo dantesco,
perfino dislocando presenze e riferimenti all’interno del poema,
come se si trattasse – osserva la Acidini –
di «pedine su una scacchiera dove va in scena una pittura immaginaria
tra il pittore di oggi e il poeta medievale».
Sacchi inoltre non rinuncia alla copiosa ricchezza di risorse iconografiche e pittoriche
rese disponibili all’arte del nostro tempo
da sette secoli di scoperte, di studi, di esperimenti e di esplorazioni.
«La sua – suggerisce la Acidini – è la Commedia
che Dante stesso avrebbe potuto concepire oggi,
dopo che la geologia ha studiato le conformazioni di stalattiti
e di stalagmiti nelle caverne,
la botanica ci ha arricchito di conoscenze sulla flora esotica,
l’egittologia ci ha reso familiari le sfingi,
l’astronomia ci ha insegnato a distinguere galassie nel firmamento notturno».
In sostanza, l’Inferno di Sacchi risulta «più affollato e più cangiante» di quello dantesco:
la fulgida cromia espande l’austera tavolozza originale,
sulla quale Dante aveva spremuto fino a consumarli
«i tubetti dei rossi per il fuoco e per il sangue,
delle terre brune per le rocce,
dei grigi per le mura ferrigne,
dei neri per le tenebre assolute».
Sacchi certamente attinge dalla sua potenza immaginativa
per realizzare gli scenari architettonici:
erte città rupestri, colonne affogate, ponti precari.
Nello stesso momento rovine di indistinta antichità
si aggregano a rupi scoscese e a balze sgretolate.
Accanto al biancovestito Virgilio,
Dante incarna l’icona rossa incappucciata
che gli illustratori di ogni tempo ci hanno abituato a riconoscere.
Scorrono quindi, al cospetto del poeta e della sua guida,
le figure immarcescibili, da sempre incise nel patrimonio culturale collettivo.
Anzitutto Caronte «dimonio dagli occhi di bragia»,
nocchiero di una lugubre barca;
poi l’anziano giudice Minosse, colto nel tipico atto di «avvinghiare»,
ovvero cingersi il corpo con tanti giri di serpenti,
quanti sono i cerchi da far scendere al tremebondo condannato
in attesa davanti a lui.
Vi sono poi i corpi strappati all’amore terreno
e tuttavia via per la memoria e per il dolore:
i lussuriosi – con Paolo e Francesca in primo piano –
fluttuano nella bufera invernale mantenendo grazia, avvenenza, energia.
«Ma è nella Città di Dite – evidenzia Cristina Acidini –
che l’immaginazione di Sacchi tocca un vertice
e ci consegna lo scenario fortemente contrastato dell’ombrosa palude
tutt’attorno alle mura cupe e rustiche, in basso,
e dell’affocata skyline di torri e campanili
che s’innalza svettando su fiamme guizzanti e vapori incendiari».
Parodia di un operoso centro urbano medievale,
la città dispone perfino di un orologio
sul prospetto di una torre civica merlata,
a scandire, impassibile, le ore dell’eternità.
Da lì in poi Sacchi si produce in «fantasmagorici effetti illuministici»,
vale a dire contrasti chiaroscurali,
riverberi di indistinte fornaci,
e la spiazzante prospettiva di sottinsù
nel corpo di Farinata sorgente dalla sua arca infuocata.
Gabriele Nicolò, «Il divino poeta in versione flambeaux. L’”Inferno” secondo Claudio Sacchi», in “L’Osservatore Romano”, lunedì 3 gennaio 2022, p. 6.
Foto: Claudio Sacchi, Dante e Caronte / guerriniphotographers.eu