Parola

Parola (La) – Ne 8,2-4a.5-6.8-10 – Domenica III del Tempo Ordinario – C

Parola. Per capire la prima lettura,
è opportuna una duplice premessa:
la prima riguarda il testo, la seconda il contesto.

Il testo

I libri di Esdra e Neemia,
che nel canone della Bibbia ebraica formano un unico libro,
successivamente separati dalla tradizione greca (Origene), insieme a 1-2 Cronache,
ricostruiscono gli eventi che vanno dalla creazione fino alla riforma postesilica.

Inoltre, il capitolo 8 di Neemia, da cui è tratta la prima lettura,
è la continuazione di Esdra 8,36:
si tratta infatti di alcuni capitoli (Ne 8-10) che appartengono alle memorie di Esdra,
che successivamente sono state spostate e collocate qui nel libro di Neemia.
In effetti, il protagonista di questi capitoli è Esdra.

Infine, nel testo propostoci dalla liturgia,
che riporta la proclamazione del libro della Legge
da parte di Esdra alla presenza del popolo,
sono da segnalare due rilevanti omissioni,
relative al luogo e al tempo del raduno:

in primo luogo, l’assemblea è assiepata sulla piazza antistante la porta delle Acque,
sul lato sud-est del Tempio,
in secondo luogo, durante il primo giorno del settimo mese (settembre-ottobre),
che inaugurava il nuovo anno secondo il calendario giudaico.

Il contesto

Da oltre cento anni gli israeliti sono tornati dall’esilio di Babilonia,
tuttavia non sono ancora riusciti a riorganizzare la propria vita.
Intanto l’anarchia è totale:
si commettono furti, soprusi, violenze, angherie nei confronti dei poveri.

Al fine di porre rimedio a una situazione che si fa sempre più caotica,
il re di Persia, Artaserse, dal quale dipende la Palestina,
invia a Gerusalemme Esdra,
«sacerdote e scriba, esperto nei comandi del Signore» (Esd 7,11).

Costui si rende subito conto che i disordini sono imputabili
alla mancata fedeltà alla legge di Dio.
Il popolo non la osserva perché non la conosce.
Che fare allora?

Il nostro brano

Ed eccoci dunque al testo ascoltato come prima lettura.

Conclusa l’opera del governatore Neemia e la ricostruzione delle mura di Gerusalemme,
tutto è pronto per l’inaugurazione della nuova vita.
L’atto ufficiale che sancisce la rinascita è l’ascolto,
e, suo tramite, l’appropriazione della parola di Dio.

Siamo nel contesto di una celebrazione della Parola,
descritta con dovizia di dettagli,
perfino di luogo («davanti alla porta delle Acque»)
e di tempo («dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno»).
L’attenzione si fissa prima sui destinatari (assemblea),
successivamente sul contenuto (la legge)
infine sulla reazione alla lettura (gioia).

Un intero popolo in ascolto

L’assemblea si presenta unita nell’ascolto della Parola,
diversificata nelle funzioni.

Unita: Sono presenti uomini, donne e bambini
(«quanti erano capaci di intendere», vv. 2.3).
Nessuno manca, nessuno cerca scuse per rimanere a casa a occuparsi dei propri affari.

Questa risposta unanime del popolo è rilevata dall’autore sacro
allo scopo di inculcare l’importanza dell’ascolto della parola di Dio.

Israele infatti è cosciente che, senza la partecipazione regolare all’assemblea comunitaria,
la fede si affievolirebbe e finirebbe per scomparire.

La preoccupazione di Esdra è la stessa
che ha mosso i pastori della Chiesa delle origini a richiamare i loro fedeli:
«Non disertate le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare» (Eb 10,25).

Diversificata: Anzitutto Esdra svolge una funzione sacerdotale: presenta la Parola,
sta su un pulpito al di sopra degli altri (cf. v. 4),
benedice Dio (v. 6).
Inoltre i suoi collaboratori, i leviti, anch’essi impegnati nel servizio della Parola,
la leggono in piccole unità e la commentano.

L’assemblea, infine, ascolta con attenzione (cf. v. 3) e partecipa attivamente,
sia con la risposta corale di adesione «Amen, Amen»,
sia con gesti liturgici come alzare le mani e inginocchiarsi-prostrarsi (cf. v. 6)

Il contenuto (la legge)

È la legge a essere letta, accolta e venerata.
Essa è quanto di più caro conservano gli israeliti
in un momento storico di disfatta e di umiliazione,
è il raccordo più immediato con Dio, l’espressione della sua volontà.

Va ricordato inoltre che il testo biblico era letto in ebraico, la lingua sacra,
ma commentato in aramaico, la lingua del popolo.
Qualcosa di analogo a quanto succedeva da noi prima del Concilio Vaticano II:
in chiesa si pregava in latino,
salvo l’omelia che commentava il testo biblico nella lingua del popolo.

Un antico aforisma rabbinico afferma che
«ogni parola della Bibbia ha settanta volti».
Il sacerdote deve svelare questi volti,
deve perlustrare il testo in tutte le sue sfumature:
il termine tecnico per indicare lo studio della Bibbia è «esegesi»,
che in greco significa «tirar fuori» tutti i tesori, tutta la forza,
tutta la spiritualità della pagina biblica.

Reazione alla lettura

Dopo la lettura della Bibbia e la spiegazione del senso di quanto letto,
il terzo atto è il «comprendere»:
l’originale ebraico del nostro testo usa qui il termine sapienziale
che indica la comprensione saporosa, intensa,
alimentata dall’intelligenza e dal cuore.

La Parola di Dio, infatti, non è una fredda pietra preziosa sigillata in uno scrigno,
ma è una realtà viva che deve permeare l’esistenza arida
come la pioggia feconda anche il deserto (Is 55,10-11).

Da questo triplice processo, che coinvolge l’orecchio e il cuore,
sbocciano due atteggiamenti apparentemente antitetici,
ma in realtà complementari.

Pianto: Da un lato affiorano agli occhi le lacrime:
«Tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge» (v. 9b)
La Parola infatti coinvolge la vita, di cui fa una radiografia
che potrebbe mettere a nudo pecche e infedeltà;
in effetti il pianto testimonia la discrepanza tra l’ideale e lo stato di fatto

Gioia: Ma come suggerisce l’altra grande guida della nuova comunità postesilica,
il governatore Neemia,
l’ultima parola di Dio non è mai quella del giudizio
bensì la promessa del perdono:

L’invito alla serenità interiore
che diventa comunione di beni e condivisione con gli alti,
radica la sua motivazione nel giorno di festa:
«Questo è il giorno consacrato al Signore; non fate lutto e non piangete!» (v. 9).

Conclusione

La suggestiva frase conclusiva «La gioia del Signore è la vostra forza» (v. 10) dell’antica liturgia
è stata adottata dalla nostra liturgia eucaristica
che la propone come uno dei possibili saluti rivolti dal celebrante all’assemblea.

In entrambi i casi si tratta della gioia che deve invadere il giorno del Signore,
dopo aver ascoltato la sua Parola
ed essersi sintonizzati con essa in vista di un salutare rinnovamento di vita.

Foto: Esdra legge il Libro della Legge / lalucedimaria.it

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