Bestie
Bestie. Il capitolo 7 dal quale sono tratti i due versetti della Prima Lettura di oggi si apre con una drammatica visione notturna. Dall’oceano che, nell’antico Medio Oriente, era il simbolo del mondo ostile e del caos, emergono quattro enormi bestie: un leone, un orso, un leopardo e una quarta bestia spaventosa, terribile, dalla forza eccezionale; stritola ogni cosa con i suoi denti di ferro (Dn 7,2-8).
Il linguaggio e le immagini sono apocalittiche; i riferimenti e le allusioni alla storia dei popoli vanno capiti.
Il simbolismo delle quattro bestie è spiegato dall’autore stesso (Dn 7,17-27). Rappresentano i quattro grandi imperi che si sono succeduti e che hanno oppresso il popolo di Dio. Il leone indica il regno sanguinario di Babilonia, la maledetta; l’orso è l’immagine del popolo della Media, vorace e sempre pronto ad aggredire; il leopardo con quattro teste è il simbolo dei persiani che scrutano in ogni direzione in cerca di preda; la quarta bestia, la più spaventosa, raffigura il regno di Alessandro Magno e dei suoi successori, i diadochi. Di questi, uno si presenta particolarmente sinistro, Antioco IV Epifane, il persecutore dei santi fedeli alla legge di Dio. Egli detiene il potere proprio nel tempo in cui è scritto il libro di Daniele.
La storia d’Israele è stata un susseguirsi di regni crudeli e impietosi con i deboli. Hanno violato i diritti dei popoli e si sono imposti con la violenza e la sopraffazione, si sono comportati da bestie.
Il mondo sarà sempre vittima di dominatori arroganti che fanno della forza il loro dio? Il Signore assisterà indifferente all’oppressione del suo popolo?
Al veggente è dato contemplare un’altra scena grandiosa: in cielo vengono collocati dei troni e un vegliardo, che rappresenta lo stesso Dio, si asside per il giudizio e pronuncia la sentenza: alle bestie viene tolto il potere e l’ultima viene uccisa, fatta a pezzi e gettata nel fuoco (Dn 7,9-12). Poi cosa accade?
È a questo punto che si inserisce il brano della nostra lettura. Daniele continua la sua rivelazione: «Guardando nelle visioni notturne, ecco apparire, con le nubi del cielo, uno simile a un figlio d’uomo» al quale il vegliardo, Dio, affida il potere, la gloria e il regno.
Figlio d’uomo è un’espressione ebraica che significa semplicemente uomo. Dopo tante bestie, ecco finalmente comparire un uomo. L’uomo è immagine di Dio e la sua vocazione è quella di dominare gli animali (Gn 1,28; Sal 8,7-9).
Chi è costui? Chi rappresenta?
Non viene dal mare come le quattro bestie, ma dal cielo, cioè da Dio. L’autore del libro di Daniele non si riferiva a un singolo individuo, ma a Israele che, dopo la grande tribolazione affrontata sotto Antioco IV Epifane, avrebbe ricevuto da Dio un regno eterno, un regno che non sarebbe mai tramontato. Tutti gli altri popoli gli sarebbero stati sottomessi, senza essere oppressi, perché il suo re avrebbe avuto un cuore d’uomo.
Con questa profezia, scritta durante la persecuzione dell’empio Antioco IV Epifane(167-164 a.C.), l’autore voleva infondere coraggio e speranza nelle persone pie del suo popolo. L’oppressione era ormai alla fine; ancora pochi anni e Dio avrebbe consegnato a Israele il dominio del mondo.
Quando si è compiuta questa profezia?
Dopo due o tre anni, Israele conquistò infatti l’indipendenza politica. Era dunque giunto il regno del «figlio d’uomo»?
Come sempre accade quando l’autorità è intesa come potere e dominio, anche i nuovi liberatori, i Maccabei, si trasformarono presto in oppressori e sfruttatori.
La profezia si è compiuta solo con l’avvento di Gesù, il «figlio d’uomo» che ha dato inizio al regno dei santi dell’Altissimo (Mc 14,62). Tutti i regni che si sono susseguiti prima di lui si sono ispirati al medesimo brutale principio: la competizione. Il forte ha soggiogato il debole, il ricco si è imposto al povero, il più capace ha asservito il meno dotato. Nuovi dominatori si sono installati al posto dei loro predecessori, senza rendere più umana la convivenza dei popoli, anzi peggiorandola, perché pensieri e sentimenti rimanevano identici: voracità, crudeltà e sopraffazione.
Gesù ha interrotto per sempre il susseguirsi di questi imperi feroci, ha capovolto i valori ponendo al vertice non il potere, ma il servizio. Ha introdotto un criterio nuovo, quello del cuore d’uomo, che è l’opposto del cuore crudele delle bestie.
Raccontavano i rabbini che, in una notte oscura, un uomo accese una lampada, ma il vento la spense. La accese una seconda volta e poi una terza, ma di nuovo fu spenta. Allora disse: aspetterò che sorga il sole. Allo stesso modo Israele fu salvato dall’Egitto, ma la sua libertà fu spenta dai babilonesi; venne salvato di nuovo, ma fu subito oppresso dai medi, dai persiani e dai greci. Allora disse: attenderò il sole, il regno del messia.
Gli ebrei stanno ancora aspettando che sorga questa luce. Anche noi la attendiamo perché ancora non brilla in tutto il suo splendore, ma sappiamo che è già sorta: è Gesù di Nazaret, il cui regno «è come la luce dell’alba, che va aumentando in splendore fino a quando è giorno pieno» (Prv 4,18).
Fernando Armellini, «Ascoltarti è una festa». Anno B. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2003, pp. 587-589.
Foto: Daniele 7,13-4 la quattro bestie / letteraperta.it