Uomo e donna nel progetto divino
Nel Vangelo di oggi, Gesù si appella al testo di Gn 2,24 che richiama l’unità amorosa di uomo e donna nel contesto del matrimonio. La Prima Lettura riprende proprio quel passo a cui fa riferimento Gesù.
Per una corretta comprensione del nostro brano, va subito precisato che esso non va letto come un sensazionale servizio giornalistico in grado di fornirci informazioni precise sullo svolgimento dei fatti accaduti agli albori dell’umanità. Siamo di fronte a una pagina di alta teologia e quindi di preziosa catechesi, fatta con un linguaggio simbolico-sapienziale, imbevuto della luce della rivelazione, che va decodificato.
Tre sono i segmenti della Prima Lettura: la creazione degli animali (vv. 18-20), la creazione della donna (vv. 21-23), il superamento della solitudine nell’unità (v. 24).
Nel primo segmento è di scena un personaggio che noi siamo soliti chiamare in italiano Adamo. Nel testo originale ebraico, tuttavia, è chiamato ha’ adam, letteralmente “l’uomo”. Perciò non si tratta tanto di un certo Adamo storico, né solo del primo uomo, ma è l’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi: è l’umanità.
Quest’”uomo” si sente solo, sperduto, senza un aiuto che gli sia simile.
Dio coglie questo limite dell’uomo: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda».
La solitudine, intesa come isolamento forzato e mancanza di comunicazione, è bollata come male da Dio stesso («Non è bene»). Gesù Cristo farà conoscere Dio come comunione di persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. La vita intima con Dio è unità nella comunione. L’uomo, “creato a immagine di Dio” (cfr. Gn 1,26) sente indispensabile l’esigenza di relazionarsi agli altri, cercando l’intesa e, più ancora, la comunione.
Il muro di questa solitudine è abbattuto in due momenti distinti.
Il primo passa attraverso il fascino dell’universo, simboleggiato negli animali: «Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati… Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche…».
Nel linguaggio biblico, “imporre il nome” significa penetrare nei segreti di un essere, scoprirne la struttura e la finalità. È, quindi, l’esperienza della scienza, del lavoro, della cultura.
Ma l’uomo, giunto alla sera della sua avventura razionale e operativa, si sente ancora incompleto e insoddisfatto: non ha trovato un aiuto che gli fosse simile, o, meglio, stando, secondo il testo originale, all’ebraico kenegdō, “che gli stesse di fronte”, quasi un suo specchio.
Dal seguito del racconto risulta che l’”aiuto” di cui qui si parla non è un altro adam-maschio, essere ragionevole come il primo e perciò perfettamente pari a lui, capace di comprenderlo, di dialogare, di discutere, ma l’adam-donna, in quanto “simile” e nello stesso tempo “diversa” dall’adam-maschio.
Ecco, allora, il secondo momento decisivo, che coincide con il secondo segmento della Prima Lettura: la creazione della donna.
Anche se la descrizione della creazione della donna può prestare il fianco a una lettura maschilista (la donna come appagamento dell’uomo) il testo si muove su un altro piano. Continuando con il suo linguaggio simbolico-sapienziale, l’intento dell’autore è quello di mostrare che la persona umana si realizza solo nell’amorosa reciprocità complementare. L’idea si costruisce a tappe successive.
Dapprima il Signore «fece scende un torpore sull’uomo, che si addormentò».
Sarebbe una banalità intendere il particolare come un surrogato di anestesia prima dell’intervento chirurgico. Il significato, profondo e nobile, sta nel sottrarre l’uomo alla partecipazione diretta della creazione. Egli non potrà mai vantarsi con la sua donna di averla vista nascere, ma conserverà il ricordo di averla ricevuta in dono, in modo misterioso e gratuito.
Un po’ enigmatico è il senso da attribuire alla costola. La scelta della costola è ricondotta da alcuni studiosi alla polisemia del termine sumerico til che significa sia “vita” sia “costola”: la donna è stata creata con la costola dell’uomo, cioè con la sua stessa vita. Di fatto, il senso, al di là delle varie interpretazioni, sta nel fatto che la donna è creata con il medesimo materiale dell’uomo, un materiale vivente che ha già ricevuto “l’alito di vita” (cfr. Gn 2,7). Per la creazione degli animali, invece, Dio aveva proceduto a plasmare dal suolo, senza insufflare la sua vita (cfr. v. 19). L’uso del materiale umano preesistente assume quindi un grande valore in vista dell’uguaglianza e della comune dignità dei due esseri.
Finora l’iniziativa è stata di Dio. Ora Egli responsabilizza l’uomo e sottopone al suo giudizio la nuova creatura. La risposta dell’uomo diventa il primo canto d’amore della storia. Il testo, finora in prosa, si fa poesia: «Questa volta essa è carne della mia carne, osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta» (v. 23).
La prima frase è un riconoscimento di familiarità, secondo l’uso di un’espressione biblica ( cfr. 2 Sam 5,1; 19,13), mentre la seconda sottolinea addirittura l’identità, espressa nell’omofonia del nome.
Per capire quest’ultimo particolare, si fa notare il gioco verbale del testo ebraico che conosce una uguaglianza lessicale tra uomo (‘iš ) e donna (‘iššâ), gioco che si perde nella traduzione, salvo poter rendere “uomo” e “uoma”.
Il terzo segmento della Prima Lettura aggiunge un tocco di grazia e un significato pieno a quanto già maturato. Il v. 24, infatti, ricorda che l’uomo abbandona il focolare domestico con gli affetti più cari («abbandonerà suo padre e sua madre») (visione prospettica perché, fino a questo momento, esiste solo la prima coppia) per unirsi alla sua donna («e si unirà alla sua moglie») e per formare con essa un’unità con la perifrasi “un’unica carne” («e i due saranno una sola carne»).
Adesso è chiaro dove voleva andare a finire tutto il ricco simbolismo di immagini e gesti, con cui il il narratore jahvista ci ha descritto la formazione della donna: è il “mistero” del reciproco ricercarsi e integrarsi dell’uomo e della donna; un “mistero” di comunione e di intimità che li lega per un comune, provvidenziale cammino che si percorre nel matrimonio. E per tutta la vita.
Foto: Bella composizione di geranio parigino / agroevergreen.it